Aldo Riggi, strategy manager, sull’idea di nazione

Le differenze nell’idea di libertà e di nazione in Cavour e Mazzini, attraverso la penna dello storico Federico Chabod. La traccia B1 della maturità 2023 svolta da Aldo Riggi, strategy manager e studente magistrale in Scienze Storiche all’Università di Milano

Il tema di Aldo Riggi

Nazionalità, libertà, umanità. Intorno a queste tre parole ruota la riflessione di Federico Chabod qui proposta.

La forza del principio di nazionalità (che Chabod si guarda bene dal chiamare nazionalismo), vista come “idea motrice” del XIX secolo è qui solo accennata. Eppure, quella forza motrice è dirompente e rappresenta un elemento che innesta nell’Europa, soprattutto di fine secolo, quella tensione enorme fatta di rivalità fra potenze consolidate ed emergenti e popoli ansiosi di acquisire la propria autonomia che sfocerà nel dramma collettivo che per l’Europa sarà il primo conflitto mondiale. Tuttavia, la chiave di lettura proposta qui da Chabod di quella forza motrice sembra non percepire minimamente quanto gravida di drammi sia quella forza.

L’occhio è puntato sull’Italia risorgimentale e su due degli attori principali di quel momento così particolare, fondamentale ma anche contradditorio, che fu il processo di unificazione del nostro Paese.

Bene dice Chabod quando individua il legame forte che fra nazionalità e libertà si instaura nel nostro movimento risorgimentale. L’autore ne coglie gli elementi in Cavour, rappresentante di una classe politica che si sente italiana oltre che piemontese, ancor prima di compiere il “miracolo” dell’Unità. Ma quel passaggio cui fa riferimento Chabod, da una libertà intesa come libertà interna dei singoli Stati a una libertà intesa come libertà dall’occupazione e dall’influenza straniera, rappresenta un nodo fondamentale della riflessione di Chabod, in cui ogni parola è pesata al grammo.

Si coglie nelle affermazioni dell’autore l’aspirazione che lui percepisce nel primo Cavour di avviare il proprio Paese (il Piemonte Sabaudo, non l’Italia, in questo caso!) verso un regime più liberale (ma non certo democratico) dove anche l’ammodernamento di infrastrutture e amministrazione svolgono un ruolo fondamentale (guardando alla Francia e all’Inghilterra).

Questo processo però si arresta, o comunque si presenta come meno semplice del previsto, e quindi quasi naturale conseguenza per Chabod è la scelta di Cavour di passare dal progetto di modernizzazione e liberalizzazione della società piemontese a quello di raggiungimento dell’indipendenza, e quindi dell’unità nazionale (ancora una volta trovando in Francia e Inghilterra dei partner essenziali, però).

Il passaggio non è banale, ma soprattutto non è indolore. Dalle parole di Chabod, quello che non traspare (se non indirettamente attraverso il paragone successivo con Mazzini) è quanto contraddittorio sia questo passaggio, quanti nodi irrisolti lasci alle spalle il vedere nell’unità nazionale il fine supremo, in nome del quale, se non abbandonare, quanto meno porre in secondo piano la liberalizzazione e l’ammodernamento degli Stati che andarono poi a comporre l’Italia.

L’unità del Paese diviene un altare a cui Cavour e una intera classe politica sacrificano molto, forse troppo. Il risultato sarà quel Paese che, come recitava la famosa frase di D’Azeglio, aveva raggiunto l’unità geografica, ma non l’unità del suo popolo (non a caso, spesso, la frase è attribuita erroneamente proprio a Cavour). Un Paese in cui tensioni tremende emergeranno già a fine secolo, quando i nodi di una gestione economica inadeguata e l’arretratezza di vaste aree interne verranno al pettine, presentando un conto salato che l’Italia pagherà con il sangue (quello delle piazze milanesi di fine Ottocento cannoneggiate da Bava Beccaris, per esempio).

Alla luce di questo, ben diversa è la visione mazziniana, ricorda giustamente Chabod. Ancora una volta Cavour e Mazzini vengono messi uno accanto all’altro, ma l’autore saggiamente non li fa andare a braccetto (come tanta storiografia oleografica aveva fatto e ancora purtroppo fa, parlando del nostro Risorgimento).

La libertà di Mazzini passa per l’unità, ma non scende a patti con i “prìncipi”. Dice Chabod, ancora: “Egli è repubblicano appunto perché vuole la libertà: piena, assoluta, senza mezzi termini e riserve”. Ancora una volta parole gravide e ricche di senso dello storico aostano, che ben tratteggiano l’idealismo mazziniano. Quell’idealismo che non scende a patti in alcun modo, e che gli vale le condanne a morte comminategli proprio dallo stato piemontese per anni amministrato da Cavour. Condanne che verranno ritirate, più per imbarazzo che per convinzione, solo pochi anni prima della sua morte.

Indipendenza, unità e libertà: questo il trinomio che Chabod ricorda del Manifesto della Giovine Italia, un trinomio che tende verso un principio ancora più alto, quello dell’umanità. Lo spirito nazionale di Mazzini, ci dice chiaramente Chabod, tende prepotentemente verso l’umanità, intesa come l’unione di tutte le patrie, che sono sicuramente da intendere come tutte le patrie europee. L’europeismo di Mazzini (che lo porterà a risolvere il suo movimento nella Giovine Europa) appare come una fusione fra patria e umanità, una umanità in cui possa nascere una Europa nuova, differente da quella degli imperi, dei papi, dei re dispotici.

Il passaggio qui non è semplice. Sembrerebbe difficile poter conciliare lo spirito nazionale, il patriottismo così fortemente sentito, con una visione di una umanità intesa come realtà in cui tutti i popoli europei dovrebbero ritrovarsi, uniti, liberi. Difficile per noi che, con il senno di poi, come già detto, vediamo gli effetti di quello spirito nazionale che diventa nazionalismo, che spinge a visioni sempre più aggressive del ruolo di ciascun popolo all’interno sia del contesto continentale che mondiale, e che porterà al grande conflitto del 1914.

Chabod però non commette questo errore; lui, che pur di quel nazionalismo aveva visto tutti gli effetti più nefasti, fino all’epilogo della Seconda guerra mondiale che lo aveva visto anche partecipare alla Resistenza.

L’autore comprende che quella aggressività non appartiene alla visione di Mazzini. La sua umanità è fatta di un’Europa di popoli liberi, non solo capaci di autodeterminarsi raggiungendo l’unità nazionale (Italia e Germania), ma anche liberi dalle istituzioni oppressive nate dalla Restaurazione, in una visione in cui non ci può essere libertà se non è di tutti e per tutti, cioè di tutti i popoli europei e per tutti i popoli del continente, in una unità che concilia le diversità.

La visione di Mazzini non si realizzerà, come abbiamo già detto. L’Europa prenderà una strada opposta, ma di questo percorso lui non sarà spettatore. La patria mazziniana assumerà nel tempo connotati sempre più sinistri, aggressivi, inconciliabili con quella umanità invocata dal patriota genovese. Già nel 1911 l’Italia stessa mostrerà chiaramente, con l’aggressione all’Impero Ottomano per la conquista della Cirenaica, di interpretare la propria libertà come libertà di azione, libertà di acquisire nell’ambito delle grandi potenze Europee un ruolo che, a giudizio di tanti, le spettava. Un primo passaggio a cui ne seguiranno altri, come soprattutto l’ingresso nel conflitto mondiale, da alcuni ambiti della società e della cultura del nostro Paese visto come il compimento ultimo del nostro Risorgimento, e per questo indicato come Quarta Guerra di Indipendenza, un ultimo sforzo necessario per ottenere la libertà della nazione.

Quale Patria, quindi? Quale Nazione?

Non possiamo dimenticare chi sia stato Federico Chabod, leggendo queste sue riflessioni.

Oltre che storico fondamentale nel ricostruire soprattutto il contesto internazionale in cui si è mosso il nostro Paese fra Ottocento e Novecento, partigiano ma anche sostenitore, al termine del conflitto, dell’autonomia valdostana, fino ad arrivare alla presidenza della Regione che gli aveva dato i natali.

Non si può non pensare che nelle riflessioni di Chabod, soprattutto sul pensiero mazziniano, si rifletta una visione in cui anche Chabod era stato capace, non solo nella sua riflessione storica, ma anche nel suo impegno civile, di conciliare nazionalità e internazionalismo, localismo e multiculturalità, in un’Italia e in un’Europa profondamente ferite da due guerre mondiali, dalla tragedia di nazionalismi che avevano cercato di affermarsi attraverso il genocidio o mascherati paradossalmente da movimenti internazionalistici, come era accaduto in Unione Sovietica.

Lo Chabod che rivendica l’autonomia della sua valle e che aveva combattuto il nazifascismo, forse si richiamava proprio a quell’idealismo mazziniano che ambiva a conciliare nazionalità e patria, interessi particolari dei singoli popoli e gli interessi generali di un intero continente. In quell’umanità in cui tutte le patrie si risolvono, o si dovrebbero risolvere, sembra potersi riassumere il messaggio mazziniano, ma anche quello di Federico Chabod, al contempo sia storico che uomo d’azione, dove l’azione è quella più nobile che si traduce in politica volta a conciliare le diversità, e non a esaltarle fino ad arrivare alla prevaricazione dell’uno sugli altri.

È questo, forse, il messaggio che ancora oggi possiamo provare a recepire dallo storico e dalle sue riflessioni sul pensiero mazziniano e sul nostro risorgimento. Un invito che nel mondo di oggi appare più che mai attuale, un mondo dove sembrano risvegliarsi mostri che pensavamo sopiti da un pezzo, mostri che rivendicano ancora supremazie irrazionali e autodistruttive anche per la vecchia terra d’ Europa.

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