La prima voce in capitolo che ascolto è quella di Simona (nome di fantasia), 15 anni, che frequenta il liceo delle scienze umane in una provincia della Lombardia. Simona nutre una profonda passione non solo per i libri, ma in generale per i diversi orizzonti del sapere che il sistema scolastico, con i suoi schemi e le sue rigidità, rischia spesso di imbrigliare. La sua è una voce pacata che racconta allo stesso tempo fermezza e voglia, se non necessità, di cambiamento.
Parto subito con il chiederle se nel suo liceo sia previsto un questionario o qualsiasi altro strumento utile per dare un riscontro sul servizio della scuola e sul lavoro degli insegnanti: “Non esiste né per noi né per i nostri genitori”, risponde. “L’unico questionario di restituzione che abbiamo compilato riguardava i rappresentanti d’istituto”.
Simona ci racconta un aneddoto emblematico riguardante il suo liceo. Lei e altri studenti che hanno scelto di non fare religione seguono un’ora di cosiddetta alternativa, e l’organizzazione relativa a quest’ora è un biglietto da visita che dice già tutto. “Non siamo in un’aula ma ci hanno messo nell’antibagno, vicino al lavandino: devo dire che ci va anche bene perché almeno abbiamo le sedie”, racconta con una punta di ironia. “Ci sono altri studenti che l’ora di alternativa la fanno seduti sulle scale”.
Non si poteva trovare di meglio? “Sì, sarebbe stato sufficiente anche fare una convenzione con il locale o il circolo vicini alla scuola: questo avrebbe permesso di trovare uno spazio adeguato. Una soluzione c’è sempre, basta attivarsi per tempo”. E aggiunge: “Quello che colpisce è che non sono mai arrivate delle scuse e non c’è nemmeno la preoccupazione per poter risolvere, come se tutto andasse bene così”.
Simona invece più di una soluzione ce l’avrebbe, ma una voce non ascoltata, o per lo meno non fatta emergere se non per interrogazioni e compiti in classe, è come se non avesse nulla da proporre. Quasi che non esistesse.
A questo proposito mi viene in mente che un questionario a scuola sarebbe utile anche per raccogliere non solo le criticità e istanze degli studenti e delle studentesse, ma anche le loro proposte, perché in fondo sono loro i primi interessati a un miglioramento. Mettere da parte tutto questo è come mandare in frantumi a priori un’occasione preziosa.
Simona ci spiega anche che alternativa nella sua scuola dovrebbe essere una vera e propria materia, ossia educazione al bello. “L’anno scorso mi piaceva perché in quell’ora confrontavamo le nostre idee, quest’anno invece alternativa è semplicemente un’ora dedicata ai compiti. Mentre noi facciamo i compiti, l’insegnante svolge i suoi”.