Dopo averlo intervistato, mi sono iscritta alla sua newsletter: sui minori, e della scarsa cultura politica e sociale, riempie pagine su pagine, il cuore e l’impegno ce l’ha lì.
Scrive che “Nel 2050, secondo l’ISTAT, le nascite scenderanno sotto la soglia dei 350.000 bambini. Servono politiche intelligenti e lungimiranti, bisogna garantire ai giovani innanzitutto casa e lavoro, e alle coppie con figli servizi di accudimento a costi accessibili, o ancor meglio gratuiti, almeno fino ai tre anni, ma pure fino ai 14 anni e negli orari e periodi dell’anno in cui le scuole sono chiuse e i genitori invece lavorano, e inoltre attività ludiche e sportive gratuite. E invece rischiamo di perdere il finanziamento del PNRR per gli asili nido e sembra che l’infanzia sia lontana dai pensieri della politica”.
Torno allora a riascoltare meglio il passaggio in cui mi parlava accorato della follia politica di negare asilo nido e poi provare a prendere in mano il cruccio della dispersione scolastica: se non si mettono le basi, non crescono altezze. E il passo successivo è il lavoro minorile, figlio di tutte le riflessioni messe in campo. Piccoli uomini, spesso veri e propri bambini, predati da economie illegali, mafiose, malate, ingrate. Non di rado sono minori sfruttati dalle famiglie stesse, che scelgono di sottrarli alla società e a forme di istruzione per estorcergli una forza lavoro buona a far campare madri, padri, nonni, fratelli e sorelle. Col paradosso che il minore si sente già grande perché responsabile, e non sa di essere solo un bambino e che a breve non lo sarà più senza averlo mai vissuto.
“I dati italiani confermano che l’età media delle baby gang negli anni è scesa, e scende ancora. Dovrebbe farci riflettere sull’inadeguatezza delle solite politiche in atto. Motivo per cui a Napoli, col Comune e con lo scrittore Maurizio de Giovanni, da poco eletto presidente della Fondazione Premio Napoli, stiamo definendo un progetto tanto bello quanto ambizioso e complesso: invitare tutte le mamme delle zone socialmente più disagiate a recarsi al nido più vicino alla propria zona di residenza per ritritare un libro per il figlio, dove il libro è un gancio emotivo, è la buona scusa per farle arrivare fin là e farle entrare in contatto con un mondo che altrimenti non respirerebbero mai. Non si tratta di un progetto calato dall’alto, istituzionale, che predica di risolvere situazioni di malessere quando è tardi, bensì di un progetto che fa leva su operatori e volontari appassionati che hanno voglia di trasmettere un benessere, infonderlo. Propongono alle madri di tornare per ascoltare musica con altri bambini, aderire ai punti di lettura, vivere una socialità protetta”.
A Paolo Siani, prima di salutarlo, chiedo che idea abbia in testa lui della parola minori. Se ne occupa da una vita e li vede e li cura tutti i giorni.
“Anche quando stavo in Parlamento ho sempre contrastato questa definizione, perché se diciamo che una cosa è piccola sottintendiamo che c’è qualcosa di più grande. Per me un minore va da zero, meglio se prima di zero, fino ai diciotto anni, ma con particolare cura alla fascia zero-sei, e soprattutto tredici-diciotto, che è la vera terra di nessuno, perché non è il campo del pediatra, non c’è ancora il medico di famiglia, c’è il contrasto coi genitori, c’è l’abisso dentro. Chiamiamoli come meritano: persone di minore età ma con gli stessi diritti di tutti gli altri. Non devono esistere minori e maggiori”.