Ancona in saldo

Un giovedì come tanti e un po’ di tempo libero per passeggiare per il centro di Ancona. Salta all’occhio che, a parte qualche signora in giro per il mercato delle erbe e alcuni professionisti che escono dai loro studi, non c’è molto movimento. Osservo le persone in fila dentro le farmacie e i negozi di […]

Un giovedì come tanti e un po’ di tempo libero per passeggiare per il centro di Ancona. Salta all’occhio che, a parte qualche signora in giro per il mercato delle erbe e alcuni professionisti che escono dai loro studi, non c’è molto movimento. Osservo le persone in fila dentro le farmacie e i negozi di telefonia e gli avvocati che si intrattengono con i loro clienti nei pressi del Tribunale; in sottofondo sento il vocio sommesso che viene dalle bancarelle e i suoni articolati da qualche extracomunitario che chiede monete.

Ho l’impressione di assistere a una vita semi-anestetizzata, dove il torpore avvolge anche gli edifici, i monumenti e le panchine. Mi accorgo con un pizzico di malinconia che non si tratta solo di un mio stato d’animo: lo confermano le saracinesche abbassate e i locali sfitti nelle arterie adiacenti al corso principale. Com’è possibile che il centro urbano di una città che vanta più di duemilaquattrocento anni di storia, capoluogo sia della Provincia che della Regione, sia così poco appetibile?

 

Il centro che chiude, non solo ad Ancona

Da buona anconetana (siamo permalosi, ma quanto ci piace l’autocritica) penso subito che sia colpa della scarsa inventiva dell’Amministrazione comunale e della mentalità chiusa e poco accogliente del cittadino locale. Tornata a casa decido di approfondire la questione. Anche altri centri si stanno svuotando? Si tratta di un fenomeno che investe il territorio a livello nazionale?

Individuo uno studio di Confcommercio che ha censito 113.000 attività di esercenti ubicate in quaranta diversi Comuni e ha tracciato l’evoluzione dei settori Turismo e Commercio, in Italia, tra il 2008 e il 2016. La ricerca ha sviscerato tredici categorie economiche situate sia dentro che fuori i nuclei centrali delle città e ha portato alla luce, nel caso dei centri storici, la forte moria di punti vendita di stampo tradizionale e un aumento positivo dei soli venditori ambulanti e dei negozi di telefonia. Dal web emergono i nomi di insospettabili città sotto stress: Rimini, Udine, Como, Empoli, Sansepolcro, Brescia, Cremona, Catania, Cesena, Verona.

Alcune forze politiche hanno identificato come causa del problema la sempre più massiccia presenza di centri commerciali, la creazione di inaccessibili Z.T.L., il commercio abusivo di matrice straniera, ma anche gli affitti troppo elevati, la pressione fiscale, il calo generalizzato dei consumi, le dinamiche demografiche e la scarsità di zone di sosta. Sembrano sottrarsi a questa condizione i centri urbani che più si avvicinano agli standard qualitativi delle grandi città europee: cura del verde, eventi culturali diversificati, popolazione più giovane e aree pedonali facilmente raggiungibili grazie a efficienti metropolitane o autobus e a parcheggi disseminati a ridosso delle zone interdette alla libera circolazione.

 

Il parere dei commercianti anconetani

Che cosa sta succedendo ad Ancona? Come mai perfino i punti vendita più solidi, nati negli anni Sessanta, hanno chiuso o hanno deciso di spostarsi? Decido di parlarne con C., titolare di terza generazione di uno dei negozi di ottica più conosciuti. L’attività è stata avviata da suo nonno nel 1956, un uomo che a cinquant’anni, spinto dall’amore per il mare, ha deciso di trasferirsi nelle Marche, lasciare il lavoro come progettista di motori per l’aeronautica e mettersi a studiare ottica.

Vorrei chiederle a bruciapelo qual è il segreto di tanta longevità, ma mi trattengo e la lascio parlare liberamente dello shopping in centro. Mi racconta che non arriva più tanta gente, è complicato trovare parcheggio e quello più capiente è costoso (2,30 euro all’ora); è inoltre venuta meno la diversificazione merceologica, perché sono quasi tutte attività in franchising e da un certo punto in poi del corso si vende, per lo più, solo biancheria intima. Sono gli stessi brand che animano i centri commerciali e le persone preferiscono andare lì, dove trovano sia posti auto che altri passatempi.

Il canone di locazione dei negozi di Corso Garibaldi può arrivare a superare i 12.000 euro mensili. Chiedo se la difficile sopravvivenza degli esercenti sia imputabile a ciò; C. mi sorprende dicendo che l’informazione in mio possesso è veritiera, ma che esistono locali in affitto a 700/800 euro mensili anche sotto la Galleria Dorica (una piccola galleria commerciale costruita negli anni Cinquanta a metà di Corso Garibaldi). Basta quindi trasferirsi per ovviare al problema.

Qual è allora il nocciolo della questione? Lo delinea in breve: occorre un business plan ben fatto, competenza professionale e cura del cliente. La loro clientela è per il 60% una clientela storica, fidelizzata di generazione in generazione prima dal nonno e poi dalla madre (che ama passare ancora molto tempo in negozio). Il loro modo di lavorare si basa sia sulla qualità del prodotto che sulla consulenza tecnica e sull’esperienza. C. vende, per esempio, una linea di occhiali esclusiva a livello regionale, che la gente viene a comprare appositamente.

Le chiedo se ritiene che le aperture straordinarie, il turismo e il fatto che settimanalmente approdino nel porto le navi da crociera possano rappresentare un punto di svolta. Mi risponde che Ancona è e non è una città di mare, nel senso che non c’è un vero lungomare dove i turisti possano intrattenersi, e chi transita qui è alla ricerca di luoghi freschi e di monumenti da visitare – come il Duomo – che spesso si rivelano chiusi. Mi fa notare che le aperture prolungate o domenicali comportano un aumento dei costi di gestione che non sempre si rivelano vincenti, soprattutto se si parla di personale specializzato.

Continuo la mia piccola indagine andando a parlare con E. dipendente di una grande catena commerciale. Mi ribadisce che dal suo punto di vista lo spostamento nelle vie adiacenti è per alcuni il solo modo di abbassare i costi fissi legati alla locazione, e che per realtà con pochi dipendenti diventa oneroso restare aperti nel weekend, sia in termini di denaro che di qualità della vita. Quando si organizzano eventi come la notte bianca, i saldi o il mercatino delle specialità europee l’anconetano risponde bene, ma tipicamente ha gusti basici; si irrigidisce se si parla di acquisti online, ed è propenso a spendere meno rispetto al cliente che viene da Macerata o Civitanova Marche, di norma più estroso e incline all’acquisto di oggetti perché visti su Instagram o indossati da blogger.

Mi rivela che il sabato e la domenica sono i giorni più redditizi perché arrivano clienti non appartenenti a categorie abituali (impiegati, casalinghe e studenti), e nonostante il fatto che attualmente i passeggeri delle navi (tra cui anche australiani e argentini) non hanno più l’impatto economico che avevano all’inizio, visto che i tour operator li portano fuori città con i pullman per andare a visitare il Santuario di Loreto o le Grotte di Frasassi, sono ancora molti gli esercenti che vedono nelle crociere la possibilità di incrementare le loro entrate e osservano per questo motivo un orario prolungato. Una notizia che mi conferma anche F., da anni retail store seller di un negozio di abbigliamento del corso.

 

Ridare linfa al centro di Ancona

In un contesto in cui Confesercenti ha da poco annunciato che nei primi nove mesi del 2018 hanno cessato la loro attività circa 20.000 negozi indipendenti appartenenti a più settori merceologici (non si parla dunque del classico negozietto di quartiere), ha ancora senso sperare che le vendite spot del periodo natalizio o di un modaiolo Black Friday importato da oltreoceano risolvano tutto? Non sarebbe meglio analizzare il tema da più punti di vista e comprendere che è l’immagine del centro storico che va rinnovata? Le va restituita la sua intrinseca dignità e la sua naturale capacità di tornare a essere un mercato a cielo aperto.

Se Confcommercio auspica agevolazioni fiscali a sostegno dell’apertura/sopravvivenza delle attività, sarebbe altresì importante favorire un ricambio generazionale che svincoli il centro dalla speculazione e avvii una trattativa con le associazioni immobiliari per ridurre i canoni di locazione. Come in un circolo vizioso, i locali lasciati in abbandono per lunghi periodi minano profondamente l’attrattiva di un centro urbano come fulcro della vita sociale; diventano ricettacolo di sporcizia e delinquenza e allontanano eventuali investitori. Il conseguente degrado estetico provoca nel tempo un sentimento di progressiva perdita di ricchezza che danneggia la customer experience e la percezione di appartenenza.

La storia di Ancona è una storia di gente di mare, ed è emblematico il fatto che la città dimostrò la capacità di resistere a numerosi assedi, ma non si avventurò mai in campagne di espansione. Nessuno chiede un cambio di rotta repentino, ma un’evoluzione che ponga le basi per un miglioramento sì. Come suggerisce Les Brown, “la perfezione non esiste – ma puoi sempre fare meglio e puoi sempre crescere”.

 

Desidero ringraziare C., E. e F. (a cui si aggiungono altre lettere dell’alfabeto) per la preziosa collaborazione. Non sono citate in chiaro per ragioni legate a politiche aziendali o a preferenze personali; d’altro canto chi turberebbe mai intenzionalmente la naturale riservatezza anconetana?

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