Ferrari: c’è chi dice no

Andrea che rifiuta l’offerta della Ferrari è una sconfitta culturale figlia di un vecchio modo di pensare le Risorse Umane

Ha dimostrato grande concretezza e spirito pratico Andrea Gianello 28 anni, residente a Cologna Veneta, da 6 anni alle dipendenze della Bertolaso, azienda che produce macchine per l’imbottigliamento a Zimella, sempre in quel di Verona.

Per quanto giovane, Andrea ha maturato un’esperienza ormai consolidata come tornitore, una delle figure più richieste fra le aziende della meccanica di precisione, ancor più prezioso se tanta esperienza è nelle mani di un ragazzo che ha di fronte una storia lavorativa ancora lunga.

Mercoledi, l’Arena, il giornale di Verona, ha pubblicato la notizia che in breve ha fatto il giro della rete: Andrea, contattato dalla Ferrari, ha sostenuto un colloquio di selezione al termine del quale gli è stata fatta un’offerta di 1700 euro lordi mese più un premio di produzione spalmato su 12 mesi.

Il ragazzo, fatti due conti in tasca, verificato il costo degli affitti a Maranello, le trasferte nel weekend per raggiungere famiglia e fidanzata (e addirittura ha calcolato l’usura dell’auto), è stato costretto a rifiutare malgrado il grande amore per il cavallino rampante.

Il motivo: quanto percepisce oggi in Bertolaso è più interessante dell’offerta della Ferrari.

Il brutto modo di pensare dei divulgatori del web

A differenza di alcuni post che sono circolati sui social a firma di qualche consulente che insegna la vita agli altri e qualche guru in cerca di click facili, non mi sembra che ci sia niente da stupirsi sul fatto che un candidato contattato da un’azienda possa rifiutare un’offerta se è meno interessante dell’attuale. Capita tutti i giorni e non mi risultano particolari discussioni in merito. Mi chiedo se il motivo di così tanto rumore sia dovuto al fatto che qualcuno abbia rifiutato una proposta dalla Ferrari, e quindi si sia andati a “profanare un simbolo religioso” (ma non credo che Andrea sia il primo, né l’ultimo candidato che dica di no ad un brand iconografico), oppure se il motivo di tanta indignazione è dovuta al fatto che Andrea abbia 27 anni.

Una sconfitta culturale

Ciò che dovrebbe invece far riflettere è l’occasione mancata dell’ufficio del personale della Ferrari, uno fra i tanti che divulga una comunicazione di inclusione e meritocrazia ma che al momento dell’agire si è lasciato scappare un candidato che oggi è un valore aggiunto straordinario oltre che un investimento sul futuro unico nel suo genere. “Walk the Talks”, dicono gli Americani: rendete concrete le parole.

In un’epoca in cui abbiamo letteralmente allontanato i giovani dalle fabbriche e dalle officine rincoglionendoli con il canto dell’innovazione e delle startup che di certo non sono temi per i quali il nostro Paese ha una particolare reputazione, trovare un ragazzo giovane, che ha un’esperienza consolidata ma un’età in cui ancora tutto si impara e tutto si migliora e non riuscire ad attrarlo con una proposta adeguata ed un piano di carriera, la si può chiamare in un solo modo: sconfitta culturale.

“Giovane” non vuol dire “sottopagato” e le altre logiche che non funzionano più

Continuare ad affrontare il mercato con le logiche di tre anni fa (che erano le stesse da trent’anni e che fortunatamente la pandemia ha spiazzato) rivela un difetto tipico di quelle aziende abituate da sempre a dettare le regole del mercato non sentendo la necessità di confrontarsi con il mondo esterno, convinte che basti ancora il brand per fare la differenza.

Questi due anni di pandemia e i fenomeni che ne sono scaturiti – due su tutti: le grandi dimissioni e la difficoltà a trovare personale in tutti i settori – dovrebbero aver insegnato alle aziende un cambiamento radicale nel loro approccio con i candidati in generale e con le nuove generazioni in particolare.

Generazioni che non sono più affascinate dal “marchio” e che inseguono invece una autonomia personale – economica e familiare – che è il vero nervo sociale scoperto di questa epoca. Non a caso, le statistiche raccontano di figli che non riescono a lasciare la casa dei genitori o che – emigrati nelle grandi città – a 30 anni vivono in appartamenti periferici condivisi con altre due o tre persone come ai tempi dell’università.

Aziende come Ferrari, che hanno grandi fatturati in crescita, avrebbero l’opportunità di traslare il concetto di innovazione dall’ingegneria del prodotto alle risorse umane, ma hanno deciso di non farlo, puntando solo sull’ingegneria e trattando l’argomento Personale come qualsiasi media azienda della bassa emiliana.

Possibile che Ferrari non abbia un “programma talenti” (parola tanto di moda) che supporti – per esempio – i primi due anni di affitto con appartamenti destinati a risorse come Andrea? Eppure sono quasi certo che siano previste agevolazioni per dirigenti che guadagnano dieci volte lo stipendio proposto ad Andrea.

Quando per una volta “piccolo è bello”

Fa quasi tenerezza – per una volta – vedere da una parte un ragazzo così concreto ma anche così fedele all’azienda che ha creduto in lui all’inizio, facendolo crescere. E fanno riflettere – e Ferrari in questo può solo trarne una lezione esemplare – le parole di Cristina Bertolaso, (CEO e pure donna! Quando il destino si accanisce):

«Stimo Andrea come persona e come lavoratore e spero proprio che rimanga con noi. Abbiamo fiducia nelle sue conoscenze e capacità, tanto che in produzione lui attualmente si sta occupando del cuore della macchina e il cuore, come quello umano, non si può mica affidare a chiunque».

E aggiunge: «Credo che le aziende del territorio meritino di essere valorizzate perché danno ai giovani la possibilità di crescere professionalmente e umanamente. Per noi l’aspetto umano è fondamentale, al pari di quello lavorativo. Diamo molta importanza al dialogo e cerchiamo di capire quali siano le reali inclinazioni dei nostri dipendenti per esaltarle al meglio. In Bertolaso, inoltre, i giovani hanno la possibilità di viaggiare, di conoscere altri Paesi e realtà diverse. Ad Andrea siamo affezionati, non vorremmo proprio perdere un bravo ragazzo come lui».

Game, set, match se consideriamo che queste parole arrivano da una regione che negli ultimi anni non ha brillato per storie manageriali e che in questo caso ha dimostrato come la fiducia e la continuità si costruiscono giorno dopo giorno, investendo sulle persone e sul loro futuro.

E intanto Andrea la butta lì: “Chissà che non mi chiami la Red Bull” ha detto agli intervistatori.

Preparato, concreto e anche ironico.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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