Facciamo il punto sull’investimento dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza previsti dal Piano Scuola 4.0, con uno sguardo alle spese principali, ai criteri di investimento e ai progetti di maggiore interesse
Appenninol’Hub: i paesi non si salvano con le ricette miracolose
Intervistiamo Andrea Zanzini, coordinatore dell’incubatore di impresa per le aree interne: “Portare nei territori ciò che ancora non c’è”.
Ventuno progetti pilota per la rigenerazione dei paesi a rischio abbandono all’interno del PNRR, nella linea A; nella linea B progetti locali per la rigenerazione culturale e sociale.
Così nel Piano Nazionale Borghi si mira appunto alla rigenerazione, al ripopolamento e alla valorizzazione del grande patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni presente nelle aree interne. Un enorme valore paesaggistico e culturale, dal grande potenziale per la crescita economica del nostro Paese.
Nell’avviso pubblico del ministero della Cultura sulla linea B dell’attrattività dei borghi si legge: “Al fine di dare nuova linfa al tessuto socio-economico di questi luoghi attraverso la riqualificazione degli spazi pubblici, la rigenerazione del patrimonio storico-architettonico insieme all’attivazione di iniziative imprenditoriali e commerciali che creino ricadute occupazionali sul territorio”. Ma chi accompagna gli enti pubblici – e non solo – nella presentazione dei progetti per ottenere i finanziamenti?
L’abbiamo chiesto ad Appenninol’Hub, incubatore d’impresa per le aree interne, che si occupa di supportare le amministrazioni pubbliche locali in percorsi di pianificazione strategica territoriale anche in ottica PNRR. La loro base operativa o meglio le due basi operative sono a Rimini e l’altra a Novafeltria – comune che non arriva a settemila abitanti che è sede dell’Unione dei comuni della Valle del Marecchia e che vede gran parte del suo territorio all’interno dei confini dell’Emilia Romagna anche se in realtà tocca in parte anche Toscana e Marche. Quello che da subito percepisco non appena li contatto è la forte predisposizione nel comprendere chi hanno davanti quando iniziano un progetto di paese: non partono dai luoghi o dai territori, ma partono dai loro abitanti e non si presentano come dei dispensatori di “ricette miracolose”. Tutt’altro.
E questo lo si evince dal supporto che l’incubatore offre: accompagnare gli abitanti nello sviluppo delle proprie competenze al fine di creare nuova occupazione anche attraverso la rigenerazione di servizi essenziali che rispondano a logiche di sostenibilità, al fine di migliorare le condizioni di vita degli abitanti dei borghi valorizzando le ricchezze dei luoghi e aumentando così il tasso di economia diffusa.
Ne parliamo in esclusiva per SenzaFiltro con Andrea Zanzini, che di Appenninol’Hub è il coordinatore.
“Abbiamo seguito da vicino e supportato diversi progetti, e siamo stati chiamati anche da altri Comuni d’Italia per presentare progetti per lo sviluppo delle aree interne. Abbiamo seguito così sia la parte burocratica che quella progettuale. Posso dirti che lavorando anche con altri consulenti ho potuto vedere diversi progetti interessanti, altri un po’ meno. Ti spiego cosa intendo quando definisco un progetto interessante: nello sviluppo di questi progetti non bisogna applicare delle semplici ‘ricette’, ma occorre costruire all’interno dei territori quello che ancora non c’è. È necessario farlo partendo dalle risorse, dalle capacità, dalle visioni, dalle aspirazioni degli abitanti e anche degli altri stakeholder, seguendo un preciso metodo di lavoro.”
Senza parlare quindi di ricette miracolose, come occorre agire per ripopolare i paesi e quale tipologia di lavoro vi si potrebbe creare?
La prima nostra esperienza – che rappresenta anche una di quelle a cui siamo rimasti più legati – è quella del forno di San Leo: un borgo dove abitano circa cento persone, con pochissimi giovani. In questo caso abbiamo ricucito una ferita: quando il forno chiuse anche per i pochi abitanti, rimanere a San Leo divenne quasi impossibile. Sono stati i giovani del luogo – e non solo – ad avviare l’impresa volta a far rinascere il forno. Un’impresa che oggi conta cinque dipendenti e ha causato la rinascita del paesino.
Spesso poco al di fuori dei paesi a rischio spopolamento è possibile trovare realtà produttive e industriali che hanno chiuso. Avete seguito anche casi di aziende che hanno riaperto dopo la chiusura?
Abbiamo seguito un percorso di “workers buyout”, cioè di sei lavoratori di un’azienda fallita che, costituendosi in cooperativa, partecipando all’asta del tribunale fallimentare e dopo aver formulato un’offerta di acquisizione, si sono ritrovati a far rinascere l’impresa. Abbiamo poi sviluppato con loro un percorso di accompagnamento e di formazione per passare dalla dimensione di lavoratore dipendente a quella di imprenditore.
Immagino non sia facile passare dall’altra parte della barricata: da lavoratori dipendenti a imprenditori. Avete sviluppato progetti di affiancamento ad hoc per queste persone?
Si è trattato di seguire un percorso di accompagnamento e di formazione dalla dimensione di lavoratore dipendente a quella di imprenditore. E questo avviene soprattutto con le cooperative di comunità, perché quando i soci sono abitanti che hanno fatto tutt’altro nella vita, noi li accompagniamo – a volte anche per un periodo piuttosto lungo – a prendere dimestichezza con la gestione di una piccola impresa, dove sei chiamato a gestire tutte le dinamiche legate all’attività: come per esempio la gestione del personale, del budget e delle normative al fine di evitare, o quantomeno ridurre, il tasso di mortalità di queste nuove imprese, affiancandole nei primi anni di vita. Crediamo fortemente a un metodo che sia partecipativo e di accompagnamento per lo sviluppo d’impresa, con lo scopo preciso di riportare economia e ricreare impatto sociale nelle aree interne.
Torniamo ai progetti concreti che si sono realizzati in ottica PNRR. Ci sono casi di studio che vuole raccontare?
Certo. Penso per esempio al progetto di Casola Valsenio (Comune di circa 2.500 abitanti nel ravennate, N.d.R.) dove la tipicità era legata ai frutti dimenticati e alle erbe spontanee. Lì c’era già stata in precedenza un’azione per valorizzare il progetto, dove in passato l’amministrazione comunale e gli stessi abitanti stavano lavorando insieme ancor prima che intervenissero le associazioni per realizzare un piano di sviluppo del territorio che coinvolgesse le imprese e i giovani del borgo al fine di realizzare un’economia di comunità. Penso alla ripiantumazione delle erbe aromatiche come esempio di tipicità territoriale, che si è ricreata.
Non è ancora una tendenza, ma se i giovani abbandonassero la città per tornare anche all’attività dei campi nelle aree interne potrebbe rappresentare una strada che guarda al passato ma che si rivolge al futuro?
Su questo tema mi viene da pensare alla Fondazione Valmarecchia, che insieme alla Regione Emilia-Romagna ha dato vita alla filiera dei grani antichi, studiandone le peculiarità, visto che sono molto più salutari di quelli attuali avendo un basso contenuto di amido. Si è costituita una cooperativa di agricoltori che li coltivano per poi passare alla commercializzazione, realizzando corsi di formazione per giovani legati al grano antico il cui percorso porta fino alla panificazione: si crea in questo modo una filiera che arriva al forno di San Leo, di cui raccontavo prima. Queste azioni formative sul territorio sono fondamentali per il futuro dei borghi e delle aree interne.
Rimanendo in Emilia-Romagna, c’è anche il distretto della musica.
A Zocca (paese dove è nato Vasco Rossi, N.d.R.) l’amministrazione comunale ha attivato un progetto coinvolgendo la scuola di musica “Massimo Riva” (chitarrista di Vasco Rossi scomparso nel 1999, N.d.R.) per far diventare la musica non solo motore turistico per il territorio, ma anche di sviluppo economico, di formazione e di specializzazione per i giovani. Un progetto legato ai paesi che vede coinvolta anche la fondazione di Vasco Rossi.
Nonostante le polemiche sul Bando borghi è importante sottolineare che se i progetti non rispondono solo a ricette “miracolose”, ma seguono un metodo di sviluppo coerente e sostenibile, anche i paesi delle aree interne – oltre a quelli vincitori dei milioni della Linea A – possono rinascere e ricreare spazi di comunità. Con l’obiettivo strategico di riequilibrare i territori del nostro Paese e un occhio di riguardo alle aree interne, fino a ieri troppo spesso dimenticate.
Sarà davvero il PNRR a cambiare le cose?
Leggi gli altri articoli a tema Geografie del lavoro.
Leggi il mensile 111, “Non chiamateli borghi“, e il reportage “Aziende sull’orlo di una crisi di nervi“.
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