Gregory Bateson scriveva che “i maggiori problemi nel mondo sono il risultato della differenza tra il modo in cui la natura lavora e il modo in cui le persone pensano”. Quella del genere umano è la storia di questo confronto tra progresso lineare del pensiero umano e fenomeni non lineari della natura; è la corsa […]
Bari, la guerra e la pandemia: San Nicola è lontano, la Russia di più
Il santo patrono del capoluogo pugliese è una figura che ha sempre messo d’accordo cristiani e ortodossi. Ha dato alla città un ruolo ponte nei confronti dell’Est, e soprattutto della Russia. La guerra, però, rischia di cambiare ogni cosa.
In pochi sanno dell’enoteca georgiana nascosta tra i vicoli di Bari vecchia. È ignota a molti autoctoni che vivono fuori dalle mura, ma non è raro trovarci qualche abitante della città antica che entra e chiede una bottiglia di bianco, «che oggi è pesce». L’addetto alle vendite gli propone due vitigni dai nomi impronunciabili («rkatsiteli o tsolikouri?») e riceve in risposta un «fai tu». Con il mestiere del commerciale consumato, il commesso sceglie una bottiglia e piazza il colpo: quello era uno dei vini preferiti di Stalin. Centro pieno, l’avventore è convinto; sorride, porterà a tavola un aneddoto di sicuro effetto, insieme a un pezzo di familiare esotismo russo.
Congedato il cliente, tempo qualche domanda e l’addetto dice qualcosa in più sul negozio: le vendite vanno bene, i baresi sanno accogliere le novità. Si tratta dell’unica enoteca georgiana in Italia, aggiunge, e spiega che quando il titolare ha dovuto scegliere dove aprirla non ha avuto dubbi. Non a Roma, non a Milano, ma a Bari, la città di San Nicola, di cui è un grande devoto. E in effetti il locale sorge a pochi metri dalla basilica dedicata al santo patrono.
Uscendo, il santo osserva dalle nicchie e dagli angoli, dagli alti e dai bassi. La sua effigie si nasconde tra le pietre bianche del centro storico, erosa dal tempo e dalle occhiate. Percorrendo quei vicoli, la sua presenza non è solo una questione di fede.
Storia di un santo atipico: San Nicola, patrono di due mondi
Il patrono del capoluogo pugliese è una superpotenza agiografica.
Si tratta di uno dei santi più venerati al mondo, perché il suo culto è condiviso tra cattolicesimo e ortodossia. La sua figura storica è unica anche al netto degli abbellimenti della mitografia cristiana successiva: vescovo di Myra vissuto tra il IV e il V secolo d. C., nell’epoca tumultuosa di transizione tra il paganesimo e il cristianesimo imperiale, è stato uno dei promotori attivi della nuova religione.
Non era un santo, San Nicola. Litigioso e insofferente alle ingiustizie, era noto per mettersi di traverso ai governanti e comparire ieratico in sogno ai potenti (come all’imperatore Costantino). In più di un’occasione è riportata la sua avversione fisica nei confronti delle divinità di epoche precedenti, come nel caso della distruzione di un tempio di Artemide “fino alle fondamenta” o dell’abbattimento di una quercia sacra al dio pagano Svetovit di fronte ai suoi costernati fedeli. Tra i resoconti del Concilio di Nicea, poi, ci si imbatte nel vescovo di Myra mentre prende a schiaffi Ario per difendere la natura divina di Cristo. Nei miti più antichi che lo riguardano il suo rapporto col divino è assai meno plastico rispetto a santi più recenti, nessuna estasi, niente stimmate, ma miracoli intercessori che proteggono gli svantaggiati o risanano le ferite del corpo.
Bari se n’è appropriata nel 1087, con una traslazione (leggasi: trafugamento) realizzata per mano di 62 marinai approdati a Myra con la scusa di smerciare un carico di cereali sulla rotta di Antiochia. I baresi si dicevano – e si dicono ancora – che non si trattava di furto, ma di un salvataggio delle sacre spoglie dalle orde musulmane.
Così, il 9 maggio dello stesso anno, le ossa del santo approdarono nella città pugliese, dove servì uno scontro intestino tra la comunità bizantina e i sostenitori dei nuovi dominatori normanni per definirne il sito di riposo. Al termine delle ostilità, i baresi eressero una basilica in luogo del palazzo del catepano, il governatore bizantino. La vecchia classe dirigente che faceva spazio alla nuova identità cittadina, mentre Bari riguadagnava la sua rilevanza in un’età di sconquasso geopolitico che minacciava di travolgerla.
Il santo, in questo senso, ha davvero operato meraviglie.
Da Myra a Bari, da Bari all’Oriente. Origini e conseguenze geopolitiche del culto nicolaiano
Non erano ancora passati cinquant’anni dallo scisma che aveva diviso la chiesa in due dottrine parallele. I pellegrini ortodossi, tuttavia, cominciarono a raggiungere Bari poco tempo dopo la traslazione, un flusso che non si è più interrotto in 935 anni di storia. Fino a un mese fa.
Già a quell’epoca il culto di San Nicola cominciava a espandersi nei Balcani e nelle Russie. Le direttrici della sua diffusione furono le acque del Mar Nero e quelle dei grandi fiumi dell’Europa orientale, particolare non casuale per il patrono più venerato dai marinai: prima a Kiev, poi nel principato di Vladimir, poi nella Russia moscovita con il miracolo della cacciata degli invasori mongoli, messi in fuga da una visione terrificante del santo armato di spada. A partire dal XII secolo si moltiplicarono i resoconti dei suoi viaggi e dei suoi atti prodigiosi, sovente suscitati dall’adorazione di immagini sacre.
Nel corso dei secoli l’iconografia di San Nicola si era stabilizzata su caratteristiche di immediata riconoscibilità, favorendo la diffusione della sua immagine, e del culto che portava con sé, soprattutto nel mondo ortodosso, nel quale le icone rivestono un ruolo fondamentale. Il taumaturgo rispondeva a molti timori dei popoli slavi (e non solo) in quell’era di invasioni e rivolgimenti politico-culturali: dispensatore di guarigioni, intercessore per le cause di tutti i fedeli, difensore armato del suo gregge, San Nicola assommava su di sé il compito di consolare dai mali del mondo ed esorcizzarli, in epoche in cui nessun’altra entità politica e sociale avrebbe potuto farlo.
Dal XV secolo in poi, in Russia cominciarono a essere realizzate sue icone in forma di “primi piani devozionali”, ritratti fino ad allora riservati alla raffigurazione di Cristi e Madonne, a taglio ravvicinato, dalla clavicola in su. Tra gli ortodossi, quindi, il culto di San Nicola arrivò a competere con i vertici della volta celeste, fino al punto in cui la sua effigie fu seconda solo a quella della Vergine per numero di rappresentazioni.
La sua popolarità non lascia in pace neppure l’Onnipotente. «Se anche ci muore Dio, ci rimarrà sempre San Nicola», ci dicono i fedeli della chiesa ortodossa di Bari citando un vecchio proverbio. «E alcuni russi lo chiamano Russkij Bog, il Dio russo».
Proprio la restituzione di quella chiesa al Patriarcato di Mosca, nel 2012, ha costituito un passo cruciale in un quindicennio di avvicinamento tra il capoluogo pugliese e la Russia, fondato sul rapporto privilegiato dei due mondi con il santo. Un avvicinamento che, fino al 2019, aveva prodotto 106.000 presenze turistiche all’anno (come riporta un’analisi di Coldiretti) e un doppio collegamento aereo, oltre a 452 milioni di importazioni e 66 di esportazioni da e verso la Russia (dati Istat). Tutto azzerato, o quasi, dalla guerra.
La guerra e il silenzio del santo: a Bari è quasi chiusa la porta sull’Oriente
«A Bari nessuno è forestiero» è un detto molto diffuso in città. La rappresenta bene. Ai baresi l’hanno insegnato il santo e il mare. Nove secoli di pellegrinaggi da Oriente hanno lasciato il segno sul capoluogo, che da altrettanto tempo ha nella sua basilica uno dei pochi edifici al mondo dove è permesso il culto sia ai cattolici che agli ortodossi. In spazi diversi, sia chiaro: i primi nella parte superiore, i secondi nella cripta. Non la soluzione al Grande Scisma, ma una forma di compromesso.
Ma a Bari, oggi, tira un’aria strana. È il contrappasso di chi vive nelle zone di confine: quando si rompono gli equilibri è difficile evitare uno strappo doloroso. Sarà forse che San Nicola e i suoi fedeli non si vedono da due anni, visto che l’emergenza Coronavirus ha annullato due edizioni delle festività tradizionali che celebrano il santo il 7, l’8 e il 9 maggio, nelle quali un quadro con la sua effigie viene imbarcato su un peschereccio che poi lo riporta a terra, rievocando l’arrivo delle sue spoglie. Prima di allora, dal 1087 né i baresi né il patrono avevano mai disatteso un appuntamento. Il grande taumaturgo, in un certo senso, si è arreso al COVID-19.
O forse è colpa dell’impotenza del più grande intercessore della cristianità di fronte alla guerra, lui che a colloquio con Putin ci è stato per ben due volte, in privato, nel 2004 e nel 2007. Chissà.
Ci aveva creduto, Bari, al suo ruolo di ponte verso Oriente, e non era la sola. Ci aveva creduto il papa, che l’ha scelta per ben tre volte come meta per i suoi viaggi apostolici, di cui uno recentissimo, ognuno un’occasione di confronto con i dirimpettai ortodossi. Ci aveva creduto anche la politica, con la solita, ipocrita bonomia: qualcuno cominciava già a chiamarla “capitale dell’ecumenismo” mentre i governanti locali abbracciavano gli alti funzionari dello Stato russo; gli stessi che adesso rinnegano, mormorando di sogni infranti e amicizie svanite.
Nove secoli cancellati come un volo Mosca-Bari, se in molti hanno chiesto la rimozione di una targa commemorativa donata dalla Russia dei dittatori, o se il teatro Petruzzelli ha scelto di annullare all’improvviso una collaborazione già compiuta con l’Opera Helikon di Mosca, ritenendola “impraticabile in un momento storico così delicato”. Con tanti saluti alla cultura che unisce.
«I russi sono già scomparsi, sono quasi due anni», ci dice un commerciante del centro storico. «La mancanza forte la sentiamo già», e non è solo una questione sentimentale, ma riguarda anche la loro importante capacità di spesa. Poi torna sulla ferita aperta della festa patronale: «Speriamo che non si faccia neanche l’anno prossimo», aggiunge a mezza voce. «Capace che San Nicola stavolta prende il largo e non ritorna più».
Intanto, nella notte tra il 21 e il 22 marzo, qualcuno ha trafugato parte del tesoro del santo patrono dalla basilica. Come un’incrinatura nel senso del sacro, un gesto impensabile per chiunque, a Bari, fino a poco tempo fa. Oggi non più, e non è chiaro se a permetterlo siano stati i baresi o il santo stesso; da che parte stia il disamore, in un rapporto che sembra aver esaurito i miracoli.
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