Barilla equipara il congedo parentale, ma l’Italia è fatta di un’altra pasta

“Papà, butta la pasta” dovrà aspettare: al di là delle scelte di welfare aziendale c’è un Paese che non può permettersi di crescere figli e ha bisogno di genitori che lavorino. È l’economia nazionale contro l’economia domestica

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Mi perdoneranno, lorsignori, l’amaro sarcasmo che qualcuno troverà fuori luogo: anche io volevo però unirmi al coro di quanti si congratulano con Barilla per essersi resa conto dell’ovvio.

L’ovvio è che nel 2023 la questione della crescita dell’infante non è prerogativa della madre ma anche del padre. Con una operazione di welfare aziendale e di comunicazione verso l’esterno da piccolo capolavoro la Barilla annuncia di aver pareggiato le dodici settimane di congedo post parto della mamma (che non sono esattamente dodici sempre, ma non è questo il punto) anche per il papà. Facendosi carico del 100% dello stipendio, oltre che (immagino) dei dieci giorni che attualmente garantisce lo Stato.

Ora, comprendere che il primo passo per la crescita di Barilla, dell’Italia, del sistema Italia e degli italiani sia permettere alle donne di lavorare è lapalissiano. E non entriamo in questa sede in quel discorso che in via Mantova, a Parma, un decennio fa ha creato più di un problema alla famiglia Barilla, dove “c’è casa” ma non c’era spazio per le famiglie LGBT (quando Guido Barilla alla Zanzara si rese protagonista di un nefasto invito alle persone omosessuali a “mangiare altra pasta” se non erano d’accordo con gli spot con la famiglia tradizionale). Da allora la responsabilità di Barilla verso l’esterno è notevolmente cambiata, con tanto di packaging che evocano l’amore tra donne attraverso uno spaghetto che ricorda quello birbante di Lilli e il Vagabondo. Queste sono cose che interessano un certo target di italiani e un certo target di riviste che non si rassegna al fatto che la famiglia arcobaleno esiste, consuma e detta anche le scelte di marketing inclusive (che qualsiasi divinità in cui credete sia lodata). Quindi scurdammece ‘o passato e veniamo a quel presente che ci ostiniamo a chiamare futuro, ma che è già qui.

Sapere che a dividersi le responsabilità della crescita del bambino siano i due genitori è un primo passo verso un domani che in questo momento doveva già essere costruito. L’esempio che viene dai cugini europei è lampante: dalla Spagna, che ha già abbondantemente equiparato i congedi di mamma e papà dando a entrambi i genitori 16 settimane, ai clamorosi esempi che vengono dalla Scandinavia. In Italia, dove pensare di arrivare a fine mese per famiglie obbligate al monoreddito presume il più delle volte un incosciente eroismo, l’ovvio è sapere che il sistema patriarcale è collassato parecchi anni fa, nelle economie domestiche, sotto i colpi di una congiuntura globale ancora oggi terrificante – ma l’impianto legislativo questo ancora non lo sa.

In questo quadro si chiede alle famiglie (e il governo Meloni ne ha fatto anche un ministero) di procreare e procreare e procreare, che sia la Previdenza che il resto dello Stato a livello di conti non se la passa proprio bene e abbiamo bisogno di carne fresca da mandare al macello. In contemporanea, però, resta il fatto che papà lascia sola mamma dopo dieci giorni, e mamma lascia solo il bambino che ancora è in allattamento dopo tre mesi. Di contro, con l’Assegno Unico lo Stato offre una mancetta che spesso a stento è sufficiente per pagarsi latte in polvere e integratori.

Quindi complimenti a Barilla, ma non serve a nulla se l’Italia resta l’Italia. Come a Napoli, ad esempio: qualche mese fa mentre cercavo di capire come funzionassero i nidi comunali per mio figlio mi sono imbattuto nell’articolo di Bianca De Fazio, Repubblica, che recitava che su “oltre tremila richieste di ammissione ai nidi comunali” ne sono state accettate “solo 1.900”. Con oltre la metà delle famiglie richiedenti a guardare le tasse ugualmente pagate, ed esclamare “ohibò, perché noi no?”. Per poi chiamare ai nonni, dove possibile, e giustificare l’imposta cura del nipote con il “così si mantengono giovani”.

Quindi complimenti, Barilla. Ma le imprese, il tessuto imprenditoriale tutto, dovrebbe avere l’interesse di mettere in condizioni di produrre donne e uomini, mentre qui in Italia non sappiamo nemmeno se una donna dopo la gravidanza e il parto è davvero in grado di tornare al suo posto a dare il suo brillante contributo, perché manca tutta la rete di supporto per permetterglielo, ancorati come siamo a quella immagine di donna angelo del focolare a cui non permettiamo di essere tale neanche se volesse.

Il tutto in un Paese in cui – e qui vado a memoria – l’80% di forza lavoro trova spazio nelle PMI italiane e non certo in Barilla, né in altri grandi gruppi di quelli che hanno il nido aziendale. Con gli stipendi tra i più bassi d’Europa e il potere d’acquisto al palo come quello di vent’anni fa, che non permettono di ricorrere a soluzioni private se non dando fondo a portafogli già ampiamente svuotati, gridare al miracolo di Barilla è in realtà mettere nero su bianco che l’italiano è così poco avvezzo a quanto dovrebbe essere già suo da rendere l’Italia stessa un dramma costante.

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