Resta però aperta la ferita iniziale: Beatrice Venezi non piace perché inesperta e incompetente, tanta immagine pubblica e poca sostanza tecnica.
“Diciamo una cosa; negli ultimi anni molte orchestre si sono livellate verso il basso, non girano più grandi direttori e quelli che lavorano a livelli alti lo fanno perché spendono i contatti politici giusti. Della Venezi noi musicisti sappiamo bene che non è certo un fenomeno musicale, sicuramente è un fenomeno mediatico, di immagine, per quanto l’esecuzione ci sia sembrata comunque dignitosa; ma magari per i colleghi che hanno contestato è stata la goccia finale. È anche vero, e va detto, che grazie a lei il teatro è stato riempito in ogni posto per due serate consecutive e non sarebbe stato così, in altre situazioni.”
Il pubblico, tranne gli appassionati e i frequentatori assidui dei concerti, non ha conoscenze tecniche così raffinate da cogliere fino in fondo le competenze di un direttore. Il pubblico ascolta, nella maggior parte dei casi si emoziona, la musica gli basta per andare via con la mente un paio d’ore e poi tornarsene più leggero a casa.
Rincara la dose: “Così come, grazie alla Venezi, sono esplosi gli abbonamenti nella stagione diretta da lei qui al Politeama. Però è ovvio che noi musicisti, tecnicamente preparati, abbiamo tutti i diritti di esprimere tra di noi un parere su un direttore, sulla sua tecnica di direzione, sul suo senso della musicalità, su come vive e gestisce le prove con noi”.
Mi continua a spiegare – puntuale, meticoloso, chirurgico – cosa vogliano dire le tre parole un bravo direttore. Io potrei tradurre usandone solo due: competenza, scambio. Entra nel dettaglio di come lavori la Venezi con loro, e forse come prassi: “Si limita a eseguire i brani più e più volte, ripete i passaggi che non sembrano perfetti e puliti ma senza dare grosse indicazioni, lasciando l’orchestra da sola a risolversi i problemi. Lei ha sempre continuato a lavorare solo così ed è toccato a noi, piano piano, senza dire mai nulla, raddrizzare il tiro delle esecuzioni facendo leva su un nostro senso di cooperazione interna, basilare in tutti i lavori, ma nel nostro anche di più. Il fatto denunciato dal collega di Palermo è verissimo, c’ero anch’io, ci sono stato anch’io alle prove; quello che però vorrei dire è che tra musicisti d’orchestra è prassi comune il meccanismo solidale per cui solo con gli sguardi spesso riusciamo a evitare i disastri dei direttori. Forse, con lei, il nostro errore è stato abituarci troppo a farlo anche durante le prove, a renderlo abitudine, appunto fino a farlo anche davanti al pubblico quasi senza accorgercene”.
La sua posizione è netta e sgombera il campo dal ciarpame dei social e dei media che, per complicità o per mediocrità intellettuale, cercano la scorciatoia dell’essere di destra: “Beatrice Venezi solitamente non piace agli orchestrali italiani perché non è preparata come dovrebbe e non ci fa crescere, cosa che dovrebbe essere l’obiettivo di una qualsiasi figura chiamata a guidare un gruppo”.
Lui e la maggior parte dei colleghi siciliani avrebbero preferito che si tollerasse la parziale incompetenza della direttrice e che si tacesse, che non uscisse fuori in tutta la sua cruda realtà. “Con l’episodio legato della Venezi, sul piano delle relazioni interne ci si è proprio spezzata l’orchestra. Se fossero stati precari anche i musicisti che hanno denunciato lo stile Venezi, forse sarebbero stati più tolleranti anche verso la sua incompetenza. È una situazione delicata, credo si capisca”.
Gli ribatto che è proprio grazie alla ribellione di lavoratori invisibili – quelli che scompaiono dietro i “capi” pigliatutto, dietro chi si prende gli onori alle loro spalle e che si traducono in guadagni d’immagine e portafoglio – che le circostanze prendono altri colori e la cultura del lavoro trova una via di fuga per provare a crescere.