Per Cleto Iafrate dell’OSD andrebbe approfondita meglio la questione delle sanzioni disciplinari e dei trasferimenti non richiesti all’interno del settore.
Per quel che riguarda le richieste di trasferimento, sono considerate degli ordini da chi appartiene ai ranghi militari. “I motivi alla base della richiesta possono essere anche molto banali o futili – afferma il fondatore dell’OSD – come incompatibilità ambientale o motivi di servizio. Tutti elementi che non possono essere verificati nel concreto”. Per Iafrate “l’ordinamento militare è un sistema che garantisce omertà e impunità e che, per via della sua natura coercitiva, può esercitare delle pressioni sui membri che ne fanno parte”.
“Il fenomeno del suicidio militare è ‘antico’; tenuto sotto chiave dal ministero della Difesa, che raramente ha fornito numeri e quando lo ha fatto, sono stati numeri parziali”, scrive Claudio Pirillo, psicologo specializzato in Diritto e Procedura Penale Militare, direttore del Dipartimento di psicologia giuridica e forense presso la Federiciana Università popolare di Roma-Cosenza, nel suo libro Psicologia del benessere per le FF.AA. e le FF.PP. (2018).
“Dai dati messi a disposizione dal V Ufficio del Gabinetto del ministero della Difesa (arco di tempo dal 1976 al 1991) si rileva nel periodo osservato ‘una frequenza media annua di decessi per cause diverse di circa 500 unità nelle tre armi e nel Corpo dei Carabinieri. In particolare negli ultimi due anni osservati, le morti per suicidio rappresentano la terza causa di decesso, con una frequenza percentuale del 7%, preceduta dai decessi causati da malattie, con il 35.5%, e da quelle per incidenti automobilistici, che si colloca al primo posto con una frequenza percentuale del 40.4%’. Nell’arco di tredici anni – continua Pirillo – il fenomeno si mostra quasi triplicato e presenta un picco nel 1986 con 47 decessi, mentre negli ultimi quattro anni sembra essersi notevolmente ridotto”.
Lo psicologo sottolinea anche come il ministero della Difesa distingua l’andamento dei decessi per suicidio in base al livello gerarchico (Ufficiali, Sottufficiali e Truppa) e per condizione di stato “in servizio” (cioè all’interno delle caserme o strutture militari) o “fuori servizio” (cioè in licenza o comunque fuori dalle strutture).
Dall’analisi dei dati “Si nota, come probabilmente la letteratura non avrebbe fatto attendere, la frequenza molto più elevata di suicidi tra i militari di Truppa, con una media del 70% rispetto a quelli avvenuti tra gli ufficiali e i sottufficiali, che sono il 30% del totale dei decessi avvenuti nelle strutture, soprattutto negli ultimi anni del periodo in osservazione. Un terzo elemento interessante – prosegue Pirillo – emerge, ancora, dal raffronto tra le variabili ‘in servizio’, ‘fuori servizio’. Qui si nota una frequenza sistematicamente maggiore dei decessi avvenuti fuori dalle strutture militari, durante la fruizione di permessi o licenze. Dall’altro canto, però, va notata una tendenza all’aumento. Infine, l’analisi del confronto tra le variabili Ufficiali vs. Sottufficiali conferma il dato presente in letteratura mostrando una frequenza percentualmente maggiore dei suicidi tra i sottufficiali. Come si è visto, il comportamento suicidario offre un trend di incremento molto sensibile nell’arco dei 13 anni osservati”, conclude l’autore.
Da questi dati e dalle cronache degli ultimi anni emerge quindi un quadro preoccupante del fenomeno, che è stato e continua a essere sottovalutato dalle Istituzioni, e che sembra colpire in misura maggiore, come dimostra anche la storia di Lamin Ben Yahia, le cariche più basse delle gerarchie militari, mentre si trovano in situazioni di particolare stress o vulnerabilità psicologica.
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