Suicidi in divisa: forze disarmate contro la sofferenza

La piaga dei suicidi tra le forze dell’ordine è un fenomeno silenzioso ma pervasivo: tra di loro c’è un suicidio ogni cinque giorni, quasi il doppio rispetto al resto della popolazione. Le origini del fenomeno con l’opinione di Cleto Iafrate, dell’Osservatorio Suicidi in Divisa

04.11.2023
Suicidi in divisa, i berretti delle varie forze dell'ordine italiane ammassati

Sono tantissimi i casi di suicidio tra le forze dell’ordine registrati in questi ultimi anni in Italia. Solo nel 2022 se ne sono verificati 72. 57 nel 2021, 51 nel 2020. Quest’anno se ne contano già 37. Le più colpite sono l’Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato. L’ultima tragedia si è consumata il 31 ottobre scorso a Casumaro, in provincia di Ferrara, dove un maresciallo dei Carabinieri di 29 anni si è sparato un colpo di pistola alla tempia mentre era in caserma.

La triste conta è tenuta da Cleto Iafrate, fondatore e gestore della pagina Facebook Osservatorio Suicidi in Divisa (OSD), che da otto anni raccoglie e cataloga numeri, testimonianze e approfondimenti sul fenomeno.

L’Osservatorio fondato da Iafrate non è di tipo istituzionale – cosa che ad oggi non esiste – ma si basa sulla raccolta di informazioni da fonti aperte. “Nel corso di questi otto anni ritengo di aver fatto la mia parte”, ha scritto sul gruppo. “Adesso non ha più senso continuare a contare le vittime, dovrebbero intervenire le istituzioni, andrebbe creata una commissione parlamentare d’inchiesta che indaghi a fondo sul fenomeno e, all’esito dei lavori, suggerisca al Parlamento una serie di riforme da adottare in tempi brevi”.

Iafrate si è sentito abbandonato in tutti questi anni di ricerca e di sensibilizzazione sul tema. “Non mi sento di ringraziare i rappresentanti del mondo accademico, dai quali mi sarei aspettato molto di più. Infatti il fenomeno dei suicidi non è slegato dagli assetti ordinamentali e organizzativi dei corpi rigidamente gerarchizzati in cui sono inseriti i tutori dell’ordine”.

Il numero di agenti di polizia morti per suicidio è più del triplo rispetto a quelli feriti a morte nell’esercizio delle loro funzioni

I suicidi in divisa, frequenti e silenziosi: la strage di cui quasi nessuno parla

Il fenomeno suicidario nelle forze dell’ordine e nell’esercito è grave: i numeri rilevati in Italia mostrano infatti che in questo settore l’incidenza di suicidi è quasi il doppio rispetto alla media della popolazione.

Secondo i dati riportati dall’associazione Cerchioblu, organizzazione non governativa che si occupa delle condizioni psicologiche degli operatori delle forze di polizia, tra il 2014 e il 2019 si sono registrati 258 casi di suicidi, così suddivisi: 74 nella Polizia di Stato, 74 nell’Arma dei carabinieri, 30 nella Guardia di finanza, 40 nella Polizia penitenziaria e 40 nella Polizia locale. Anche in questo caso non si tratta di dati ufficiali, perché non esiste un censimento pubblico del fenomeno.

Secondo i dati ISTAT aggiornati al 2018, in Italia si registrano ogni anno circa 4.000 morti per suicidio. Il tasso dei suicidi nella popolazione si attesta allo 0.60 per mille, ma tra gli agenti di polizia sale all’1 per mille, addirittura all’1.30 per mille tra gli agenti di Polizia penitenziaria.

In media tra le persone in divisa avviene un suicidio ogni cinque giorni; anche se il numero effettivo potrebbe essere più alto, perché circa il 30% non viene pubblicato su fonti aperte, spesso per la volontà dei famigliari di tenere riservato il fatto.

Non solo: il numero di agenti di polizia morti per suicidio è più del triplo rispetto a quelli feriti a morte nell’esercizio delle loro funzioni. Ad esempio, nel 2022, gli agenti che avevano un’età compresa tra i 45 e i 64 anni nell’88% dei casi hanno utilizzato l’arma di ordinanza per uccidersi.

Una situazione tragica, che però non trova molto spazio sui mass media e nel dibattito pubblico.

Le cause della strage: all’origine dello stress delle divise

Il 2 giugno 2022 il maresciallo dell’esercito Carlo Chiariglione, presidente dell’associazione ASSOMILITARI, ha pubblicato una lettera aperta indirizzata al Presidente della Repubblica per sollecitare un suo intervento sul tema, denunciando l’esistenza di un clima intimidatorio e omertoso nelle caserme.

“Purtroppo, chi osa denunciare atti irregolari o illegali, con il fine di farlo desistere viene puntualmente fatto oggetto di intimidazioni, minacce, diffamazione, demansionamento, abbassamento delle note caratteristiche, azioni disciplinari, trasferimenti punitivi, azioni screditanti, denunce penali e, infine, il congedo”, si legge nella lettera. Una situazione che, se unita al forte stress legato a questo tipo di professione, può portare spesso all’insorgenza di disturbi di tipo depressivo e a pensieri suicidari, fino al compimento di gesti estremi.

“Le amministrazioni militari possono mettere sul lastrico un lavoratore, sospendendolo dal servizio e dallo stipendio sulla base di un’accusa che poi potrebbe anche rivelarsi infondata”
Cleto Iafrate, Osservatorio Suicidi in Divisa

Analizzare le cause di un suicidio non è mai semplice, poiché le variabili da prendere in considerazione sono tante e ogni persona ha una storia e un vissuto diversi, che possono incidere sul singolo caso. Come spiegano gli esperti, ci sono però alcuni elementi ricorrenti nei suicidi tra le persone in divisa, come il forte stress psicofisico a cui sono sottoposte per via del lavoro particolare che svolgono.

Gli agenti di polizia, ad esempio, assistono a circa duecento eventi critici nell’arco della loro attività. Questa costante esposizione a situazioni tragiche, cruente o pericolose può portarli a dover elaborare, con maggiore frequenza rispetto alle persone comuni, diversi traumi in un arco di tempo ristretto. Non a caso, il tasso di depressione per questa categoria è cinque volte superiore a quello della popolazione civile. Una condizione delicata che, per questo, andrebbe monitorata periodicamente.

Se regole e gerarchie aggravano il problema

A queste problematiche si deve sommare un forte senso del dovere e un sistema di regole ferree, fatte anche di punizioni e di gerarchie da rispettare, che appesantiscono una situazione già di per sé molto delicata e complessa.

Per Cleto Iafrate dell’OSD andrebbe approfondita meglio la questione delle sanzioni disciplinari e dei trasferimenti non richiesti all’interno del settore.

“Grazie ai vari interventi legislativi posti in essere prima con la ‘riforma Brunetta’ e poi con quella ‘Madia’, il procedimento disciplinare non deve essere più sospeso per la contestuale presenza di un giudizio penale, cioè è venuta meno la pregiudiziale penale. In questo modo le amministrazioni militari (in barba al carattere rieducativo che dovrebbe avere la pena) possono mettere sul lastrico un lavoratore, sospendendolo dal servizio e dallo stipendio sulla base di un’accusa che poi potrebbe anche rivelarsi infondata.”

In situazioni come queste il rischio di gesti anche estremi aumenta: “Sarebbe opportuno procedere con la sospensione dal servizio (e dallo stipendio) solamente a seguito di sentenza penale passata in giudicato”, sostiene Iafrate.

Le prime reazioni alla piaga dei suicidi in divisa

Di fronte a quella che è diventata una vera e propria emergenza, la politica sta finalmente iniziando a svegliarsi dal suo lungo torpore.

Tra le iniziative legislative recenti sul tema rientra la proposta di istituzione di un vero e proprio Osservatorio nazionale per il sostegno e il supporto psicologico del personale delle Forze di polizia. L’Osservatorio avrebbe lo scopo di monitorare e raccogliere in modo sistematico tutti i dati relativi ai suicidi, ai tentativi di suicidio e alle situazioni di disagio degli operatori delle Forze di polizia, con l’obiettivo di elaborare programmi di miglioramento delle condizioni di vita del personale delle Forze di polizia, incluse azioni concrete di supporto e sostegno psicologico.

A giugno scorso, inoltre, è diventata legge la modifica al regolamento di servizio dell’Amministrazione di pubblica sicurezza, con cui è stato introdotto l’articolo 48-bis, che prevede delle misure da attuarsi in presenza di disagio psicosociale. La norma indica come, in questi casi, “il dirigente dell’ufficio o il comandante del reparto provvede a ritirare senza ritardo, anche per il tramite di personale a tal fine delegato, l’armamento individuale”.

L’articolo 61-bis, infine, stabilisce come, nei casi in cui vi sia stato ritiro temporaneo dell’armamento individuale, vengano proposti al dipendente degli appositi percorsi di sostegno psicosociale. Gli esiti di tali percorsi sono valutati ai fini del successivo nulla osta. Per Iafrate si tratta di un deterrente importante per cercare di prevenire gli atti suicidari tra le forze dell’ordine o armate che, come abbiamo visto, utilizzano molto spesso l’arma d’ordinanza per compiere l’atto estremo.

L’11 ottobre scorso, invece, il deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli ha presentato un’interrogazione parlamentare ai ministri dell’Interno, della Difesa e dell’Agricoltura per chiedere “quali iniziative i ministri interrogati abbiano adottato o intendano adottare per approfondire le cause dell’alto tasso di suicidi tra le forze dell’ordine, in particolare tra i carabinieri forestali, e se non si ritenga necessario agire con urgenza adottando misure e strumenti volte ad accertare fattori di rischio al fine di prevenire il ripetersi di eventi suicidari”.

Per quanto riguarda la loro sindacalizzazione, le forze armate hanno raggiunto un importante traguardo solo di recente, precisamente ad aprile 2022, quando la legge ha permesso loro di unirsi in associazioni sindacali, anche se con competenze limitate rispetto ai sindacati ordinari, dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2018. Da subito, il loro contributo alla causa si è dimostrato prezioso.

L’Associazione sindacale dei Carabinieri UNARMA, per esempio, ha messo a disposizione degli iscritti il servizio Team Blue, progetto di prevenzione dei suicidi che offre supporto psicologico in forma anonima a tutti gli operatori di polizia e militari. Gli agenti possono interagire con i professionisti di Team Blu attraverso un numero di cellulare dedicato con una linea WhatsApp, una chat su Facebook con Messenger, un profilo Skype e una linea fissa.

Anche il Corpo della Guardia di Finanza ha adottato misure di contrasto al fenomeno, stipulando una convenzione con l’Ordine nazionale degli psicologi e avviando dei centri di ascolto psicologico presso i comandi Regionali del Corpo.

Il Sindacato Autonomo dei Finanzieri (SAF), invece, ha istituito uno sportello di ascolto psicologico rivolto agli iscritti all’organizzazione sindacale e ai famigliari.

 

 

 

Photo credits: informazionefiscale.it

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