Salute digitale, un’app al giorno leva il medico di torno?

Diagnosi a distanza, ma non solo. Il digitale sbarca nel mondo della sanità: quali conseguenze per il Servizio sanitario nazionale, e che rischi corrono sanitari e pazienti?

Mentre l’americana FDA ha autorizzato, per la prima volta nella storia, una terapia somministrabile esclusivamente in realtà virtuale tra le pareti di casa e in autogestione (si chiama RelieVRx, VR sta per Virtual Reality, la promessa terapeutica è il sollievo dal dolore cronico alla schiena), in Italia sono da poco approdate sul tavolo delle Regioni le linee guida proposte dal ministero della Salute per la diffusione della salute digitale.

Una zattera di salvataggio? Troppo facile: dobbiamo metterci al riparo dalla mancanza di 20.000 camici bianchi, un’emorragia inarrestabile causata dal mancato bilanciamento tra pensionamenti, licenziamenti e nuove assunzioni. In realtà il rischio che questa rivoluzione si trasformi anche in un’onda anomala di innovazione è tutt’altro che scongiurato. La buona notizia è che possiamo attrezzarci nel modo dovuto già adesso.

Nicoletta Prandi sul palco del Nobìlita Festival partecipa al panel "I costi invisibili del digitale" insieme a Mario Tozzi, Sabrina Carreras e Alessandro Garofalo.
Nicoletta Prandi sul palco del Nobìlita Festival partecipa al panel “I costi invisibili del digitale” insieme a Mario Tozzi, Sabrina Carreras e Alessandro Garofalo Photo@DomenicoGrossi

La salute digitale: se il 4.0 travolge anche la sanità

 Che cosa intendiamo per salute digitale? Definirla – e intenderla – solo come medicina a distanza sarebbe un errore: perderemmo di vista l’orizzonte cui puntiamo, ovvero assicurarci i migliori standard terapeutici e assistenziali con parità di accesso alle cure, senza discriminazioni. Consideriamola invece per quello che è, ovvero un salto quantico per il nostro SSN. Purtroppo sono poche le sollecitazioni (da parte dei medici in primis, ma anche dei giornalisti e delle comunità di cittadini o di lettori) a colmare la voragine che si è aperta nel dibattito pubblico su questi temi.

La conversione dell’ambiente in cui interagiranno curante e paziente spalanca scenari inediti, dei quali dobbiamo prendere consapevolezza, iniziando da quelli che impattano direttamente sul vissuto professionale dei sanitari. Come sarà regolamentata, dal punto di vista contrattuale e da quello delle relazioni sindacali, l’attività professionale svolta esclusivamente (a tendere) online? È la prima volta che i sanitari saranno autorizzati a operare in uno stato di parziale privazione. Non parliamo solo del corpo del paziente, ma anche delle componentiinformazionali” così preziose che il curante può dedurre o cogliere osservando dal vivo la persona assistita: il tono della voce, la prossemica, persino la sincerità delle risposte.

Quali saranno, allora, i nuovi profili di responsabilità sanitaria? Sarà motivante lavorare a distanza? Studi scientifici dimostrano che l’attenzione umana davanti ai monitor inizia a calare sensibilmente già dopo mezz’ora dalla permanenza davanti a un computer. Una visita a distanza effettuata di sera, al termine di una giornata trascorsa a lavorare online, assicurerà gli stessi standard di una visita effettuata in presenza alle dieci del mattino? E in quale misura avremo ancora il diritto di richiedere una visita in presenza? Una nuova consapevolezza digitale collettiva è la chiave indispensabile per aprire davvero le porte della democrazia 5.0.

È stato illuminante il recentissimo racconto di un primario del più prestigioso ospedale newyorkese in area oncologica. A causa del COVID-19, il percorso di pre-ricovero dei pazienti da sottoporre a intervento era stato totalmente digitalizzato (a esclusione degli esami) tra visite, colloqui preparatori con i medici e aspetti amministrativi. Dopo due mesi, il guaio: erano più gli interventi chirurgici che venivano rinviati la mattina stessa dell’operazione, a sala operatoria già allestita, perché le visite a distanza non avevano fatto emergere aspetti clinici cruciali ai fini della corretta pratica chirurgica, di quelli condotti a termine. Inutile aggiungere che il percorso di digitalizzazione è stato poi rallentato, in funzione di una migliore messa a punto delle relazioni medico-paziente.

Arrivano le diagnosi tramite app: quale impatto sul SSN?

Nonostante le linee guida del ministero della Salute siano spacchettate in mille tecnicismi burocratici (si distingue tra “televisita”, “teleconsulto medico”, “teleconsulenza medico-sanitaria”, “teleassistenza”, “telemonitoraggio”, “telecontrollo” e “teleriabilitazione”) la sostanza non cambia, perché non sarà certo un manuale degno del dottor Azzeccagarbugli l’unico salvagente disponibile per tenerci a galla tra i flutti di questa transizione.

Consideriamo altri aspetti cruciali. Sul mercato italiano iniziano a essere offerti servizi di symptoms checking. Economici, erogati da operatori privati, concepiti in chiave di triage, teoricamente fungibili con la scelta di ricorrere al pronto soccorso, salvo casi gravi. Il paziente interroga un’app o un programma web based proprietario, e inserisce anche i dati di esami già effettuati, se disponibili, per ottenere una prima indicazione. Quale? Può essere la proposta di una visita specialistica, l’adozione di un periodo di osservazione, la conferma della terapia adottata, più raramente l’indicazione di una nuova.

Nonostante il futuro dei servizi privati di symptoms checking sia presumibilmente il canale B2B, come il settore assicurativo, presumiamo che possano, in futuro, divenire parte integrante del nostro SSN. Come saranno modificati i criteri di accreditamento per tali nuovi operatori privati del mercato sanitario? Sulla base di quali standard? I criteri saranno identici tra tutte le Regioni, anche in virtù della nascita di una piattaforma nazionale comunitaria e interoperabile a livello locale, come annunciato dal ministro Colao?

Esiste poi la grande zona grigia dei falsi positivi digitali, strettamente connessa alle ragioni della medicina difensiva. La piattaforma nazionale per la salute digitale prevede l’integrazione con i sistemi IoT, dispositivi wearable, già oggi suggeriti dagli stessi medici di base. Chi non è stato invitato ad acquistare, magari per poco più di un centinaio di euro, un dispositivo per misurare la pressione a casa o fare un tracciato cardiografico, così da inviare i dati direttamente al medico? Nei prossimi anni scopriremo se il SSN sarà in grado di sopportare, in termini numerici, le richieste di esami o di visite generati dall’integrazione con symptom checker lasciati ciascuno alla propria teorica infallibilità.

Il digitale in sanità porta il rischio dell’invasione dei privati

È l’era dell’intelligenza: usiamo anche la nostra, oltre a quella artificiale, per cogliere il meglio dell’innovazione in campo medico e sanitario (gli algoritmi sono un toccasana per la diagnosi oncologica, per correggere i bias dei medici in fase di diagnosi, per il controllo sempre più puntuale delle patologie croniche e per la personalizzazione delle cure) e per proteggerci dai nuovi rischi digitali. Quello più probabile? Medicina a distanza per tutti, dal vivo per chi può permetterselo.

Come ha spiegato di recente Bart de Witte, tra i più conosciuti esperti di transizione digitale in campo sanitario nonché attivista dei nuovi diritti democratici nella medicina 5.0, «i dati stanno seguendo la concentrazione di capitali», mettendo a dura prova quell’inclusività che ha reso la sanità europea un sistema, anche di valori, invidiato da tutto il mondo.

Nel nuovo ecosistema della salute digitale l’integrazione con piattaforme terze sarà irrinunciabile, pena la perdita di efficienza su ampia scala. Chiediamo a gran voce che il legislatore italiano tuteli prima il nostro diritto alla salute, e solo secondariamente le esigenze commerciali degli operatori. Prima d’ora, gli interessi economici si potevano insinuare attraverso le pieghe della medicina classicamente organizzata; da domani avranno qualche arma in più.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina Nicoletta Prandi, foto di Domenico Grossi

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