Massimo storico raggiunto dall’export dell’agricoltura made in Italy: si parla di 60 miliardi nell’UE e distanze accorciate nei confronti della Francia. Peccato che la competitività dell’Italia si basi su sfruttamento e salari bassi
Caporalato intellettuale, il Consiglio di Stato ci mette la firma
Tra i neologismi del 2017 da inserire nei dizionari, dopo l’inflazionato fake news e prima dell’orribile gelicidio, un posto d’onore se lo merita l’espressione caporalato intellettuale. È un fenomeno dell’ultimo quinquennio e di fatto indica la tendenza a sfruttare chi fa una professione intellettuale (architetto, ingegnere, medico, consulente) mortificandolo con la richiesta di lavorare per una retribuzione scandalosa e […]
Tra i neologismi del 2017 da inserire nei dizionari, dopo l’inflazionato fake news e prima dell’orribile gelicidio, un posto d’onore se lo merita l’espressione caporalato intellettuale. È un fenomeno dell’ultimo quinquennio e di fatto indica la tendenza a sfruttare chi fa una professione intellettuale (architetto, ingegnere, medico, consulente) mortificandolo con la richiesta di lavorare per una retribuzione scandalosa e a volte addirittura gratis. Qua non parliamo del cosiddetto equo compenso; è qualcosa di estremamente più grave.
Caporalato intellettuale, definizione del
Intendiamoci: il caporalato inteso come sinonimo di sfruttamento è sempre esistito, e non occorre ricordare gli immigrati che raccolgono pomodori o il mondo dell’edilizia e dei mercati ortofrutticoli con gli scaricatori. La differenza in questo caso è che a tenere sotto l’ascella il bastone del caporale non sono dei cattivi senza scrupoli con la cicatrice sulla faccia, ma addirittura la pubblica amministrazione.
Alcune avvisaglie si erano registrate a cavallo tra il 2016 e il 2017 quando il Ministero dell’Interno aveva pubblicato due bandi cercando degli addetti stampa che lavorassero gratis, regolarmente iscritti all’Albo dei Giornalisti professionisti e con “pluriennale e consolidata esperienza”. L’apoteosi si è raggiunta però lo scorso ottobre quando il Consiglio di Stato, chiamato a giudicare in appello una controversia tra il Comune di Catanzaro e gli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, ha dato un vestito giuridico a una prassi aberrante.
Riassumiamo: il comune di Catanzaro doveva redigere il piano urbanistico con annesso regolamento ma non aveva il becco di un quattrino per pagare ad architetti e ingegneri un lavoro il cui valore viene stimato in 800 mila euro; a inizio 2016 pubblica allora un bando nel quale prevede un incarico professionale a titolo gratuito con il pagamento simbolico di un (1) euro e la promessa di ripagare le spese documentate e preventivamente approvate, per un massimo di 250 mila euro.
Tutti gli ordini professionali locali e nazionali (ingegneri, agronomi, geologi, architetti, collegi dei periti e geometri inclusi) vanno fuori dai gangheri per quella che considerano una presa in giro, fanno ricorso al TAR e vincono. Il Comune fa appello al Consiglio di Stato, che lo scorso 9 marzo boccia il TAR e legittima il bando gratuito (scusate: un euro in effetti viene dato) del capoluogo calabrese.
Le motivazioni formali della sentenza
Ebbene, i giudici della 5 sezione (presidente Severini, consiglieri Troiano, Lotti e Prosperini, estensore Fantini), nelle motivazioni della clamorosa sentenza pubblicate lo scorso ottobre sostengono due concetti. Primo: una prestazione professionale gratuita non è sinonimo di scarsa qualità. Secondo: in tempi di economia immateriale la remunerazione del professionista non è fatta solo di danaro ma può risiedere anche in altri “vantaggi apprezzabili”, tipo – non viene precisato ma si intuisce – il vedere associato il proprio nome a un lavoro complesso di cui magari si parla sui giornali. L’importante, sostengono i giudici, è che ci sia una gara vera con offerte serie e criteri che consentano di salvare il principio della concorrenza, ossia la scelta tra i professionisti che si candidano.
Ora, le sentenze vanno lette dall’inizio alla fine e se lo fate vi renderete conto che le toghe in questione hanno argomentato la loro decisione basandosi sulla solida giurisprudenza nazionale ed europea, codice degli appalti incluso. Una sentenza ben motivata e in punta di diritto. Tant’è che quando si arriva alla fine ci si convince che in effetti, perbacco, hanno proprio ragione loro: non solo si può lavorare gratis per lo Stato, ma forse è anche opportuno farlo. Poi si va in bagno, ci si lava la faccia con l’acqua fredda, ci si guarda allo specchio e ci si chiede: “E se da domattina proponessero a me di lavorare gratis?”.
Una sentenza scollata dalla realtà
Inutile girarci intorno. La sentenza del Consiglio di Stato sul bando del Comune di Catanzaro è uno dei chiari casi di scollamento tra il nostro sistema giuridico e la realtà fattuale dell’economia e del mondo del lavoro dell’anno di grazia 2017. Si saranno appoggiati anche a precedenti sentenze granitiche, ma uno si domanda: com’è possibile che un magistrato della Repubblica non capisca che chiedere a un professionista di lavorare gratis, financo per pubblicità, significa legittimare un effetto domino deleterio? In primo luogo solo i professionisti già affermati potranno permettersi di partecipare a bandi gratuiti, e siamo davvero sicuri che non ne approfitteranno per sottopagare o non pagare affatto i giovani architetti o ingegneri che lavorano per loro? In secondo luogo, sarebbe bastato chiedere un parere (questo sì gratuito) a un qualsiasi maresciallo della Guardia di Finanza, uno di quelli che ogni giorno nuotano nel mare magnum delle fatture false, per farsi spiegare che sistemi come questi incentivano i professionisti a fare la cresta sulle note spese.
Poiché, come dicevo, le sentenze vanno lette dall’inizio alla fine, ci sono però quattro righe rimaste inosservate negli articoli dei giornali che hanno riportato la clamorosa decisione.
Scrivono i giudici in coda al punto 3: “Non si vede per quale ragione le considerazioni dell’economia immateriale non possano essere prese in considerazione quando giovano, come qui patentemente avviene, all’esigenza generale di contenimento della spesa pubblica”. Tant’è che l’assessore comunale all’urbanistica Modestina Migliaccio Santacroce ha subito commentato: “È una sentenza storica quella emessa dal Consiglio di Stato, che ha riconosciuto la legittimità dell’incarico di redazione del Psc a titolo gratuito. Finalmente viene tutelata l’esigenza generale di contenimento della spesa pubblica e, al contempo, assicurata al professionista una utilità costituita dal potenziale ritorno di immagine insita nell’appalto dei servizi di redazione del Piano strutturale del comune di Catanzaro con lo sblocco del relativo bando”.
(Lav)oro alla patria
Insomma, tra i principi che consentono allo Stato italiano di chiedere di lavorare a scrocco c’è anche il contenimento della spesa pubblica. Benissimo. Ma allora perché si chiede solo ai professionisti? Quando Mussolini chiedeva di dare l’oro alla patria almeno lo chiedeva a tutti. Se il concetto è quello di fare un favore alle casse della pubblica amministrazione si dovrebbe applicare lo stesso meritorio principio ai dipendenti comunali e regionali, ai poliziotti, agli infermieri e agli insegnanti, chiedendo di contribuire alla causa con la devoluzione di un’ora di lavoro al mese per alleggerire il debito pubblico.
Soprattutto, deve essere chiaro sin dall’inizio dove e come verranno impiegati i soldi del lavoro che si devolve alla patria. Potremmo cominciare proponendo la cosa ai sindacati e, visto che siamo in piena campagna elettorale, chiedere a partiti e movimenti di inserire la proposta nei loro programmi, così, tanto per vedere di nascosto – come avrebbe detto Jannacci – l’effetto che fa.
Photo by Sebastian Pichler on Unsplash
Leggi anche
Il contratto collettivo nazionale stipulato da Assodelivery con UGL non convince Marco Lombardo che lo considera un “ritorno al cottimo” strumentalizzato.
Il politico Alessandro Zan, intervistato in esclusiva da SenzaFiltro, si rifiuta di stampare il suo libro con la tipografia di Trebaseleghe in seguito al patteggiamento della dirigenza sulle accuse di sfruttamento dei lavoratori e caporalato. Ma l’editoria sembra non essere interessata alle ragioni etiche: questione di costi e benefici.