Carpi, distretto moda: collezione autunno-inverno di licenziamenti

La crisi pandemica minaccia di dare il colpo di grazia al distretto della moda di Carpi, in crisi dagli anni Novanta: chiude Navigare, importanti riduzioni di organico per la Blumarine, a rischio centinaia di posti di lavoro. L’opinione dei sindacati.

Quello della moda di Carpi è stato negli anni uno dei distretti che più ha fatto crescere e sognare la provincia modenese. La grandeur della memoria del passato aleggia ancora tra i capannoni delle zone industriali dell’area, ma la realtà si scontra da tempo con numeri difficili, che testimoniano la sofferenza di un settore su cui dal 2020 è arrivato a pesare anche il COVID-19.

I dati della Camera di Commercio mostrano un calo dei ricavi medi del 30-40% nel 2020 rispetto al 2019 (con picchi sino al 50%), e una riduzione delle imprese attive del 3,9%. Secondo l’analisi congiunturale del secondo semestre del 2021, i livelli del 2019 restano ancora lontani, soprattutto a causa dei consumi interni, che non fanno arrivare il recupero della produzione ai livelli pre-pandemia. Una problematica che si ripercuote anche sui redditi da lavoro dipendente, come confermano i numeri di CNA, che registrano un calo compreso tra il 20% e il 25%.

Anche se malandato, tra crisi aziendali e licenziamenti, il distretto per ora continua a restare in piedi, in attesa di scoprire che cosa succederà nel 2022, con la fine della Cassa integrazione COVID il 31 dicembre di quest’anno.

Carpi, nel distretto della moda il COVID-19 dà il colpo di grazia alle PMI

Le aziende più grandi sembrano aver retto il colpo: marchi come LiuJo, Twinset o Gaudì non mostrano di avere problemi di tenuta o necessità di ricorrere in futuro alla Cassa Straordinaria Genova, a cui si andrà ad attingere dopo la fine dell’anno.

Come spiega Roberto Giardiello (referente FEMCA CISL per Carpi), preoccupano soprattutto le piccole e medie aziende del settore, che stanno usufruendo della Cassa integrazione COVID e che “stanno tirando avanti sino a gennaio, per poi chiudere. Aziende di 5-10 dipendenti, il cui numero non è ancora chiaro, ma che nel complesso rischiano di lasciare a casa almeno duecento lavoratori sul territorio. Tra questi tanti dipendenti in età avanzata, che faranno più fatica a ricollocarsi”.

Aziende su cui gli effetti della pandemia pesano troppo, come l’aumento del costo dell’energia e delle materie prime, e che non riescono a reggere come le imprese di maggiori dimensioni. Preoccupa per Giardiello anche la situazione dei negozi legati alle imprese del settore, sia per i posti di lavoro che per l’impatto sull’immagine di queste aziende.

“Si parla di realtà che magari avevano anche trenta punti vendita sparsi in giro per l’Italia o l’Europa, e ne hanno chiusi la metà durante il lockdown. Li riapriranno? Opteranno per le vendite online? Molti dei lavoratori di questi negozi sono stati spostati alla sede centrale o in altri punti vendita, magari distanti centinaia di km, e si sono licenziati non potendo far fronte a un trasferimento.”

Distretto moda di Carpi, i nomi di chi chiude (e di chi si salva)

La pandemia è arrivata a colpire un settore già fiaccato negli anni da un calo costante. I sindacati evidenziano l’impatto negativo di chiusure e riduzioni di organico di alcuni storici marchi non dovute solo al lockdown e alle altre problematiche legate al COVID-19.

Sergio Greco, referente FILCTEM CGIL Carpi, fa una carrellata tra le situazioni note alle cronache di questi giorni: “Tra i nomi più famosi quello di Blumarine, una storia amara per uno dei marchi che avevano fatto la storia del distretto carpigano. Le promesse di rilancio in cui si era impegnato Marco Marchi, che aveva rilevato nel 2019 il gruppo Blufin (di cui fa parte il marchio Blumarine) non si sono avverate, a causa della difficile situazione di bilancio ereditata a monte dall’azienda, oltre che per l’attuale scenario”.

Così, dopo la scadenza della Cassa integrazione speciale a fine novembre, per circa quaranta lavoratori è rimasta solo la possibilità di aderire a un accordo semestrale per incentivare l’esodo e per la ricerca di una collocazione tramite un servizio privato, a carico dell’azienda. Molti dei dipendenti nel frattempo sono riusciti a trovare soluzioni alternative, tuttavia resta una certa delusione per la mancata ripresa.

Negli stessi giorni il distretto ha visto anche la chiusura della Manifattura Riese (titolare del marchio Navigare), la cui proprietà aveva reso nota la scorsa primavera la decisione di avviare la liquidazione e aprire un’inaspettata procedura di licenziamento collettivo per gli ottantadue lavoratori allora in forza (di questi la metà erano operanti nella sede principale di Carpi e l’altra metà in vari punti vendita distribuiti sul territorio nazionale).

L’azienda non aveva numeri da fallimento”, dichiara Greco, in linea con la posizione espressa anche dagli altri sindacati coinvolti. “Ad oggi sono più di cinquanta le persone ancora senza un impiego. La direzione voleva chiudere e basta, e possiamo dire che è stato un successo anche solo ottenere la Cassa integrazione straordinaria sino al prossimo anno”.

La chiusura della Manifattura Riese ha avuto delle conseguenze non solo sui lavoratori, ma anche sulle aziende ad essa collegate. “Nei suoi novant’anni di attività la Migor si era sempre comportata bene verso i suoi lavoratori”, racconta Greco. “Nel 2017 c’era stato un primo allontanamento della Navigare, il che aveva portato a una perdita del 70% del fatturato. Una cosa che ha impattato molto su un’impresa di quaranta dipendenti. L’azienda ha sempre sperato di riuscire a ripartire, soprattutto quando nel 2019 la Navigare era rientrata come cliente. Dopo la definitiva messa in liquidazione di questo marchio, però, la Migor non è più riuscita a ripartire, visto anche l’impatto della pandemia”.

“Fino a ottobre 2022 sarà attiva la Cassa Straordinaria Genova, da cui però non è previsto un ritorno. La Migor oggi sta lavorando con il suo spaccio aziendale, tuttavia, se non dovesse presentarsi un altro compratore o non dovesse succedere qualcosa di particolare, anche questa realtà andrà verso la chiusura definitiva. Parliamo di lavoratori con un’età media di 40/45 anni, soprattutto donne, e pochissime persone potranno andare in pensione quest’anno.”

A queste storie così negative si contrappone per fortuna anche la vicenda a lieto fine della Metaphor, azienda fallita a fine agosto e rinata a ottobre con una nuova proprietà che ha riassunto i quaranta lavoratori rimasti: “Questa è stata una boccata d’ossigeno in una situazione distrettuale molto negativa”, conclude Greco.

Carpi, un calo lungo decenni. E la moda non si riprende dalla pandemia

Nel 2020 la pandemia è piombata su un distretto in calo ormai dagli anni Novanta.

Le 700 imprese superstiti (4.500 addetti) sono quelle rimaste dopo una riduzione del 55,2% dal 1995 ad oggi. Le aziende specializzate nella maglieria, che sino a inizio anni Novanta erano famose in tutto il mondo, costituiscono oggi il 14,8% del totale, mentre il distretto oggi è composto soprattutto da imprese concentrate sul prodotto finito e orientate al segmento donna. Tra queste alcune delle firme più note del mercato, ma anche le tante piccole e medie imprese che sono quelle che oggi stanno soffrendo di più.

Una situazione dovuta soprattutto alla concorrenza straniera (prevalentemente cinese e degli altri Paesi emergenti), che ha cambiato sensibilmente il distretto: in primis spostandolo verso una specializzazione sulle produzioni di alta qualità, e poi sostituendo i subfornitori italiani con operatori stranieri, in grado di assicurare bassi costi di manodopera. Scelte che hanno garantito ai pochi superstiti di tenere in termini di fatturato, ma di perdere in termini di dipendenti.

Una situazione di calo su cui la crisi imposta dalla pandemia pesa più che in altri settori. Infatti, secondo l’indagine congiunturale relativa al secondo trimestre 2021 sull’industria manifatturiera regionale, realizzata da Unioncamere Emilia-Romagna, Confindustria Emilia-Romagna e Intesa Sanpaolo, il recupero dell’attività produttiva è comune a tutti i settori industriali (pur con intensità diverse) tranne che in quello della moda, soprattutto a causa del cambiamento delle abitudini di acquisto dei consumatori.

Le strategie per il rilancio del distretto della moda di Carpi

Il settore ha necessità di interventi urgenti e di azioni di sistema al fine di tamponare un’emorragia in termini occupazionali e di tenuta delle imprese.

Nei mesi scorsi è partito il Tavolo regionale moda, voluto fortemente dai sindacati, che insieme a istituzioni e associazioni imprenditoriali stanno cercando di capire come dare un supporto al settore. Un modello di collaborazione pubblico-privato, per creare un’occasione di confronto diretto con gli operatori del settore moda in un momento di grande cambiamento legato alla transizione digitale ed eco-sostenibile.

A fine maggio è stato poi firmato il protocollo di intesa territoriale “Carpi Fashion System”, progetto creato da Comune, Fondazione CR Carpi, associazioni di categoria, ForModena, Camera di Commercio di Modena e Fondazione Democenter-SIPE al fine di promuovere un rilancio duraturo del distretto. Un approccio collaborativo che, nonostante difficoltà e resistenze, negli ultimi anni ha dato vita nel territorio anche ad alcune aggregazioni industriali (come Cadica, Gruppo Florence, Eccellenze Italiane), che puntano a invertire la tendenza del calo progressivo che da anni colpisce il settore e a resistere alla crisi imposta dal COVID-19.

La speranza è che queste iniziative possano mettere davvero un freno a chiusure e riduzioni di personale, limitando così la contrazione del settore e puntando al rilancio di un distretto ancora ricco di competenze e know-how in grado di farlo brillare a livello mondiale.

Photo credits: cgilmodena.it

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