C’erano un italiano, un greco e un danese. Viaggio in Europa tra i medici di base

Tre Paesi europei, tre tipi di formazione (e di retribuzione). Vediamo che cosa significa studiare e praticare da medico a latitudini diverse.

La figura del medico di base, che negli ultimi anni in Italia si era troppo spesso ridotta a stampatore di ricette mediche o giù di lì, è riemersa in tutto il suo spessore con lo scoppio della pandemia. Tra le vittime del coronavirus figurano infatti anche quei medici di famiglia che si sono spesi senza sosta, accanto ai loro assistiti, nonostante la pericolosa esposizione al COVID-19.

In Italia questo ruolo è passato da primo cruciale anello della sanità, sempre a disposizione notte e giorno, quasi un’icona sociale soprattutto nelle sterminate campagne del Bel Paese, alla rivoluzione normativa degli anni Ottanta, che dovendo giustamente garantire un’esistenza regolata e dignitosa anche ai medici di famiglia, ha via via ridotto l’impegno, i compiti e le responsabilità di questi sanitari.

E oggi? Percorriamo un viaggio virtuale in Europa per capire quali oneri e quali onori sono ancora in carico ai medici di base, partendo dalla formazione per finire su mansioni e stipendi.

Medici in Danimarca: socialità nei campus, salari e benefit elevati in carriera

Il piano di studi forse più curioso è quello danese.

Durata, cinque anni. La prima cosa che si legge spulciando il sito dell’Ospedale universitario Winsløwparken di Odense, dove si tengono le lezioni di medicina, è la grande attenzione riposta al benessere dello studente, all’inserimento nella vita di gruppo fatta di film club, di bevute tra amici… e anche di didattica. Un’organizzazione internazionale che pianifica soggiorni di studi in cliniche all’estero. Tutor e introduzione propedeutica nel campus per potersi muovere e orientare senza indugi nella cittadella universitaria, per conoscere i propri compagni di corso e cominciare subito a collaborare.

Le sessioni di studio iniziano a settembre e a febbraio, per gruppi di dieci-quattordici studenti al massimo, cui viene assegnato come tutor uno studente di medicina più anziano, che funge da supervisore. La frequenza è obbligatoria e spalmata tra le 8 e le 18. Nella presentazione del corso universitario viene spiegato che, per stimolare l’apprendimento autonomo, si tengono lezioni e lavori di gruppo; seguono esercitazioni di laboratorio, formazione professionale e soggiorni in clinica. Grande spazio viene riservato anche agli studenti e ai professionisti stranieri che vogliono lavorare in Danimarca, compresi i rifugiati.

Il salario base netto di un medico contrattualizzato parte da 53.000 euro l’anno, che dopo cinque anni scatta automaticamente a 58.000 circa. Moltissimi i benefit, da appartamenti riservati con o senza riscaldamento autonomo (una discriminante di peso a queste latitudini) a premi per chi conclude gli studi in tempi brevi, alla possibilità di avere introiti da lavoro autonomo, fino a straordinari pagati a peso d’oro, a seconda dell’anzianità professionale del medico. L’assistenza avviene prevalentemente online e per telefono, e se si vuole una visita a domicilio è necessario prenotarsi con un modulo virtuale.

Vivo a Copenaghen da molti anni – ci racconta Alessandro, ingegnere – e posso dire che prima di darti un antibiotico ti fanno penare assai. Fino a dieci anni fa, inoltre, in farmacia c’erano pochissimi prodotti da banco e quasi tutto da ricetta. Ne deduco che, in linea di massima, in Danimarca non ci sono medici di base che fanno ‘da zerbino’ alle case farmaceutiche. Inoltre tendono a sperimentare farmaci solo quando uno va in pensione o in casa di cura.”

In Italia il medico di base è figlio dell’Illuminismo

Passiamo per il nostro Paese, dove a colpirci, come sempre, è la storia.

Il medico di base in Italia, infatti, nasce nel secolo dei lumi, a Padova, per mano di due lungimiranti medici-scienziati: Antonio Vallisneri, che rimettendo in discussione ogni sua stessa teoria medica, applicò il rigore del metodo scientifico (galileiano), ma non alla prassi medica, e Bernardino Ramazzini, che combattendo l’uso di pozioni stregonesche da parte dei colleghi, fu un grande innovatore nel campo clinico-terapeutico e inventò la medicina del lavoro. Siamo tra il Seicento e il Settecento.

Nessuno mai prima aveva pensato di studiare le malattie professionali, di comprenderne le ricadute sociali, facendo così il primo passo verso la medicina pubblica. Ne seguì il passaggio dalla clinica individualizzata a quella epidemiologica, la stessa che oggi interessa lo studio del COVID-19. Attraverso l’analisi di malattie che si diffondevano in luoghi sovraffollati e con scarsa igiene, infatti, Ramazzini ha gettato le basi del concetto di “igiene sociale”, benché la sua posizione, innovativa nello smantellare insane credenze come quella per cui non sarebbe servito lavarsi, non avesse avuto un seguito sul piano politico-sanitario.

I passi successivi nei secoli portarono alla gestazione del medico moderno, tra ospedalizzazione per i poveri e la nascita della medicina come “arte di difesa”, in particolare dalle pandemie (seconda metà del Settecento), fino alla medicina “liberatrice” che rompe col passato, con la nascita nell’Ottocento di cliniche a Milano e Pavia.

Siamo ad oggi. Il medico di medicina generale, o meglio medico di assistenza primaria, perché ha ottenuto la convenzione con il sistema sanitario nazionale e quindi può essere scelto come medico di famiglia, diventa tale dopo un corso di studi durato nove anni: sei per la laurea a ciclo unico, tre anni di specializzazione. Lo stipendio varia secondo il numero di pazienti che ha, e viene calcolato in base a molti altri elementi, come la data di laurea, il numero di assistiti con più di 75 anni, il numero di pazienti cronici e altro. Il medico di famiglia percepisce circa 4.600 euro netti al mese.

Medici di famiglia, in Grecia sono ancora una novità

Scendiamo a Sud, in Grecia. Anche qui la durata complessiva del percorso di formazione (Scuola di Specializzazione) dei medici di base è di cinque anni. Comprende trentatré mesi di addestramento in strutture ospedaliere, di cui: sedici mesi nel settore di Medicina Interna, Cardiologia, Pneumologia, Dermatologia e Neurologia; otto mesi in Chirurgia Generale, Ortopedia, Traumatologia; quattro mesi in Pediatria e Ginecologia, tre mesi in Psichiatria, due in laboratorio biochimico, microbiologico, ematologico.

Durante questo periodo gli specializzandi lavorano sia nelle cliniche di degenza che negli ambulatori che accettano pazienti con appuntamenti fissi. A seconda delle esigenze della struttura sanitaria, possono anche offrire i propri servizi nell’ area del pronto soccorso durante tutto il tempo del percorso formativo. Si aggiungono poi ventisette mesi di assistenza sanitaria di base (primary care) così suddivisi: un mese di introduzione, uno al SSUEM, uno dedicato ai seminari universitari nel dipartimento di Sanità Pubblica, e i rimanenti ventiquattro mesi nei cosiddetti Centri di Salute (Health Centre).

Quali sono le principali differenze tra l’Italia e la Grecia? Ci risponde il dottor Dimitrios Stagkikas, primary care physician, cioè medico di base nel comune di Metsovo, nella regione greca di Ioannina, ma laureatosi in Medicina e Chirurgia nel 2004 a Bologna.

“La prima differenza – spiega – è la durata del percorso formativo. In Italia sono tre anni. A mio parere forse sono pochi per un medico che deve diagnosticare quotidianamente una gamma di malattie che vanno dal raffreddore all’ictus. La seconda è il modo di accedere alla Scuola di specializzazione in Medicina Generale. In Grecia c’è la lista di attesa (che negli ultimi anni si è accorciata perché molti greci neolaureati vanno all’estero per proseguire con la propria carriera), mentre in Italia, giustamente, i candidati sostengono esami di ammissione.”

“Inoltre il medico di famiglia in Grecia può essere medico di medicina generale, internista o pediatra. In tutte le categorie i medici possono svolgere la loro attività come pubblici ufficiali del Servizio Sanitario Nazionale, oppure in privato e convenzionati col SSN. Un sistema sanitario, secondo me, deve essere organizzato avendo come pilastro il medico di famiglia, che deve svolgere un ruolo intermediario fra paziente e ospedale. Se no, l’accesso diretto – e spesso inutile – dei pazienti alle strutture sanitarie terze le porta a soffocare. Un esempio classico di questo malfunzionamento è il mio Paese: purtroppo in Grecia l’istituzione del medico di famiglia per ogni cittadino si trova ancora agli esordi. È avvenuto appena tre anni fa, e sotto la pressione dell’UE. Da allora è stata data la possibilità a ogni cittadino di scegliere il dottore di fiducia facendo la domanda direttamente al medico. Se il paziente rimane insoddisfatto ha il diritto di cambiare medico dopo un periodo minimo di sei mesi.”

E siamo al portafoglio. “Lo stipendio netto di un medico di base che lavora in aziende pubbliche parte da 1.100 euro al mese e sale fino a 1.900 per capi e dirigenti. A questo si aggiungono i compensi per gli straordinari (turni pomeridiani e notturni), che possono variare a seconda delle ore lavorative. Dopo dieci anni di lavoro, dunque, un medico di famiglia percepisce circa 1.600 euro al mese, più 800 euro per gli straordinari (sette pomeriggi-notti, cinque feriali e due festivi). Un medico privato convenzionato col SSN può ricevere fino a duecento visite al mese e percepire fino a 2.000 euro al mese (lordi)”.

“La proposta di legge del precedente governo di sinistra prevede che un medico di base possa avere un massimo di 2.250 pazienti nel suo registro e che riceva una somma di retribuzione pro capite e per coefficiente a seconda del gruppo di età degli assistiti. Dovrebbe inoltre dedicare quattro ore al giorno al suo ambulatorio esclusivamente per i pazienti convenzionati. Per le visite a domicilio le spese sono a carico del paziente. L’attuale governo di destra però ha in mente un altro tipo di riforma, e comunque, a causa della pandemia, questa proposta è rimasta bloccata”.

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