Concessionarie, fallimento in pronta consegna. Colpa della Cina?

La crisi a catena dell’automotive è dovuta ai ritardi della pandemia e ai problemi con i pezzi provenienti dalla Cina, ma le più colpite sono le concessionarie: mancano veicoli e liquidità. Abbiamo raccolto la testimonianza degli esercenti e delle associazioni di categoria.

Il mercato italiano dell’auto nel periodo gennaio-ottobre di quest’anno ha registrato il -20% delle immatricolazioni rispetto agli stessi mesi del 2019 (dati ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibile).

Secondo le dichiarazioni di Antonio De Stefani Cosentino, presidente di Federauto (Federazione Italiana Concessionari Auto), l’attuale situazione mondiale e la pressione sul settore dell’automotive rischiano di compromettere i già delicati equilibri delle reti di vendita, che ancora non sono stati in grado di metabolizzare le pesanti ricadute negative causate dalla pandemia.

Ma quali sono i problemi che vivono oggi le concessionarie, e quali gli scenari che si aprono per i prossimi mesi?

Concessionarie in diminuzione già prima della pandemia. E dopo?

Il mondo delle concessionarie aveva già vissuto una trasformazione dal 2007 al 2020, con una riduzione da 2.785 a 1.294 unità attive (il 35% in meno rispetto al 2019). Questo soprattutto a causa della chiusura delle realtà più piccole o della loro unione a soggetti di maggiori dimensioni, a cui non è seguito però un aumento dei margini aziendali. Una situazione dovuta, secondo le associazioni di categoria, a uno scenario sempre più complesso, che richiede un maggior impiego di risorse umane e che deve rispondere a sfide nuove, come la richiesta di strutture più digitali.

In questo scenario si è inserita la pandemia, prima con le chiusure e poi con i ritardi nelle consegne da parte delle case automobilistiche, a causa della crisi della disponibilità dei semiconduttori e dell’aumento dei costi delle materie prime.

A cascata, questo ha generato il fermo della maggior parte delle linee, la concentrazione dell’impiego delle componenti disponibili sulle auto di maggior valore o sui modelli più richiesti (a seconda della strategia delle case costruttrici) e l’impoverimento delle dotazioni di serie, a cui si sono sommate difficoltà nell’aftermarket e un contingentamento dei ricambi. Il tutto proprio nel periodo in cui le concessionarie cercavano di far risalire i volumi d’affari, dopo lo stop del 2020.

Concessionarie, nuovi ordini fermi: “Come si può aprire la panetteria se manca il pane?”

Ferdinando Balzano della Autocarbonia, concessionaria nel Sud Sardegna, lamenta ordinativi fermi da settembre 2021.

“Le stesse case costruttrici non sono in grado di darci dei tempi certi nelle consegne, e noi ci troviamo costretti a rinunciare a degli ordinativi, non potendo indicare una data nel contratto. Al momento stiamo consegnando le auto ordinate nei mesi scorsi, che sono comunque arrivate in ritardo. Se non fosse per quelle, il salone sarebbe vuoto. Come si può aprire la panetteria se manca il pane?”, si chiede Balzano.

A mancare però non sono solo le auto nuove, come testimonia Balzano: “Non potendo fare le consegne non stiamo nemmeno ritirando l’usato per la permuta. Al momento ci sarebbe soprattutto richiesta di auto a basso budget, il cui prezzo però si è alzato sensibilmente perché scarseggia tutto l’usato in generale. È aumentato anche il prezzo delle auto delle flotte aziendali che compriamo e rivendiamo, e che oggi invece non ci sono sul mercato. Stessa cosa per i rientri dai noleggi, che generalmente ritiravamo e rivendevamo. Non potendo sostituire le macchine al cliente i contratti vengono allungati, e non c’è disponibilità neanche di queste auto”.

La crisi a cascata che colpisce tutto l’automotive

Per Massimo Cocco, amministratore unico di Automobili Cocco S.r.l. (concessionaria Citroën e Peugeot sempre nel Sud Sardegna, 7 milioni di fatturato annui), si sta fermando un intero meccanismo che riguarda tutto l’automotive.

“La crisi ci colpisce anche sul lato finanziario, un problema sostanzialmente nuovo nel mondo delle concessionarie. L’IVA sul prodotto auto è al 22%, e tenendo conto che il costo medio va dai 15 ai 20.000 euro si tratta di una cifra consistente. Come tutti i commercianti, siamo stati abituati fino ad oggi a compensare l’IVA a credito con quella a debito. Quando vendiamo generiamo IVA a debito, ma attualmente (non avendo le fatturazioni delle auto che vorremmo acquistare) non stiamo generando IVA a credito con cui decurtarla. Al momento stiamo pagando ingenti somme di IVA ogni mese; si tratta di centinaia di migliaia di euro e noi siamo concessionari medio-piccoli, che operano in un bacino d’utenza di 60.000 persone. Concessionari più grandi si trovano a pagare anche diversi milioni di IVA, dovendo fronteggiare una carenza finanziaria generata da questa mancata compensazione.”

Preoccupa poi il numero di veicoli venduti. “A settembre di quest’anno ci sono stati 50.000 veicoli immatricolati in meno”, continua Cocco. “Nel nostro caso siamo a un -5%, che per il nostro fatturato influisce moltissimo. Questo è dovuto in parte alla crisi dei semiconduttori e dei ritardi, e poi al conseguente aumento dei prezzi delle auto. A questo, in un’ottica di lungo periodo, si somma il discorso sull’elettrificazione. La maggior parte della nostra domanda infatti è orientata ad auto medio-piccole, di basso costo. Lo stesso prodotto, elettrico e non termico, vede una maggiorazione di prezzo anche di 10.000 euro. Questo a mio avviso porterà le persone con minor potere d’acquisto a cambiare le auto con minor frequenza, con il rischio per noi di perdere la clientela che sino ad oggi ci ha consentito di fare il nostro valore assoluto”.

In uno scenario di crisi come quello attuale, una tendenza di questo tipo non prospetta un futuro roseo sulle concessionarie, che in questo senso sperano nella ripresa non solo della produzione a pieno regime, ma anche di incentivi all’acquisto da parte dello Stato.

Roberto Scarabel, AsConAuto: “Non solo container e semiconduttori. Così perdiamo credibilità”

“Il primo semestre del 2021 faceva immaginare di poter recuperare i livelli di fatturato del 2019, anche se si sapeva che il tema dei semiconduttori avrebbe portato a un aggravio nei tempi delle consegne”, dichiara Roberto Scarabel, vicepresidente vicario di AsConAuto (Associazione Consorzi Concessionari Autoveicoli). E continua: “La difficoltà di non avere le auto da consegnare comporta tante altre problematiche, che si sommano al fatto di perdere la credibilità di fronte al cliente. In caso di inadempienza da parte della concessionaria, ad esempio, deve essere restituito anche il doppio della caparra, oppure il deposito cauzionale; danni che vengono pagati dalla concessionaria, che ne deve rispondere”.

A tal proposito, la stessa ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) ha chiesto al Governo di estendere a trecento giorni il tempo tra ordine e consegna della vettura (per poter usufruire degli Ecobonus), proprio per far fronte a criticità di questo tipo.

Per Scarabel, quindi, sono le concessionarie le realtà che stanno pagando il prezzo più alto in questa crisi dell’automotive; e aggiunge altri pezzi al puzzle delle problematiche elencate. Come per il sopracitato contingentamento, che sta riguardando anche i pezzi di ricambio, con un impatto (che rischia di essere ancora maggiore) sul lavoro delle officine. Una situazione dovuta in parte all’aumento inatteso dei prezzi dei container dalla Cina, il cui costo troppo elevato non può più essere ammortizzato dai ricavi della vendita della merce, e anche a eventi quali il blocco del canale di Suez o del Porto di Yantian.

“Le case di produzione hanno delegato la maggior parte delle produzioni di componenti alla Cina per mantenere delle marginalità importanti, dovute non solo all’economicità dei pezzi, ma anche all’applicazione del sistema Lean Production, che elimina la necessità di avere dei magazzini. Le fabbriche di automobili oggi sono delle vere e proprio catene di montaggio, che vengono ovviamente bloccate dalla mancanza di pezzi. È semplicistico dare la colpa solo alla Cina, perché il sistema è stato creato da noi, e anche se le case automobilistiche stanno lavorando per cambiare questa situazione ci vorrà del tempo”, conclude Scarabel.

In attesa dell’autonomia dalla Cina, a rischiare sono le concessionarie

Almeno sul piano dei semiconduttori sembra che la situazione si sbloccherà nella seconda metà del 2022, come rassicurano i governi dei Paesi fornitori.

Tuttavia questa è solo parte del problema: l’ANFIA porta infatti la riflessione sull’importanza di ripartire dalla crisi per rafforzare l’impegno nazionale ed europeo sul tema dell’autonomia dalla Cina nell’automotive, sia per le materie prime che per i semiconduttori. Si apre quindi un ulteriore scenario, in cui a Europa e Italia viene chiesto di attivarsi per una reindustrializzazione (in chiave green) per la produzione di microchip, chimica verde e materie prime fondamentali per la creazione dei prodotti del settore automotive e non solo. Un percorso che non può più attendere, e che deve tenere conto della necessità di aumentare la massa critica dell’industria automobilistica, soprattutto rispetto al suo potere d’acquisto delle componenti e delle materie prime sul mercato.

Nel frattempo le misure previste (soprattutto in materia verde) dalla Legge di Bilancio e da quelle del PNRR sono risultate comunque insoddisfacenti per le associazioni di categoria. La mancanza di un intervento strutturale e di un piano strategico rischia di pesare ancora di più in questo scenario di crisi post pandemica e transizione produttiva, sia sulle realtà esistenti che sui livelli occupazionali.

A pagare in prima persona intanto sono le concessionarie, che, in attesa che la situazione si sblocchi, sperano di arrivare in fondo al tunnel senza essere decimate da un’ulteriore selezione della categoria.

Photo credits: ilcrivello.it

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