Donne sull’argine di una crisi di nervi

Un’ingegnera incaricata di progettare strade e argini si confronta con l’etica e l’umanità di un ambiente di lavoro chiuso e maschilista. È la trama di “Nina sull’argine” di Veronica Galletta, che recensiamo.

Non ci si deve spaventare quando ci si trova davanti a termini tecnici: canale scolmatore, vasca di dissipazione, giunto di dilatazione, pile, getto dell’impalcato, chiavica vinciana, risalto idraulico, platea di fondazione e così via. Ci si fa il callo, leggendo Nina sull’argine, di Veronica Galletta, Minimum Fax, perché Nina, come l’autrice, è un ingegnere (ingegnera non le piace), e senza termini tecnici il suo mestiere non lo si può spiegare. Ma il romanzo ci parla di una donna che fa un mestiere da uomini, di un cantiere dove sono tutti uomini, e di pregiudizi caratteristici di una mentalità difficile da scalfire. Perché Nina è il direttore dei lavori, e l’idea che dall’assessore del comune al geometra appaltatore, dai collaudatori agli operai che si alternano nelle complesse fasi della costruzione di un argine, tutti, tutti debbano dipendere da una donna, e per di più meridionale, è quasi inaccettabile.

La storia di Nina, donna ingegnere dalla Sicilia alla bassa padana

Andiamo con ordine. Nina è di origine siciliana, è al suo primo incarico, e si trova a lavorare in una regione lontanissima da casa, la bassa padana. I ricordi di Siracusa, di Ortigia, del sole dell’isola li ha, ma non ha rimpianti. Ha scelto, la sua casa non è più lì. Ora è alle prese con la costruzione di un argine su un fiume.

Nina soffre i problemi personali e un paesaggio particolare, perché questo è anche un libro di atmosfere, di sentimenti contrastanti, di ambienti ostili. Spina, frazione di Fulchré, è tutto salvo che un posto accogliente, specie per chi viene dal sole del Meridione. Nebbia, che quando è troppa suscita ansie e dubbi. Freddi polari, pozzanghere ghiacciate, umidità divorante, la galaverna. E c’è anche un amore appena finito, e la solitudine. Solo una gatta, Nerina, a fare le fusa quando si torna a casa.

L’incarico è difficile per molti motivi: la diffidenza degli interlocutori e il loro maschilismo; la scarsa affidabilità di un subappaltatore; l’esigenza politica dell’amministrazione comunale, che vuole vantare la conclusione dei lavori nei tempi previsti, a costo di lavori imprecisi; e infine perché gli argini, se non stabilizzati, si spostano continuamente, e l’opera deve essere conclusa prima che le piene primaverili si portino via degli impianti non terminati. Poi ci sono gli ambientalisti, ostili alla costruzione, necessaria per evitare esondazioni ma invasiva sul territorio. Ci sono dicerie di operai finiti male e anziane signore che si oppongono agli espropri. Nulla di semplice.

Non c’è passo che non nasconda un’insidia: se ti chiamanosignora” invece che ingegnere è perché hanno già deciso che non si fidano di te, e se rivendichi la qualifica sembra che tu sia inutilmente ostinata. Ma Nina è una donna tenace, pur con le sue fragilità, e si fa strada tra le ironie e gli sgambetti di chi vorrebbe sostituirla con qualcuno più duttile e meno rigoroso di lei.

Etica contro umanità (e uomini contro donne) sul lavoro

Tuttavia proprio quando comincia a lavorare a un cantiere facile il suo capo, che le aveva detto esplicitamente che avrebbe preferito un uomo, viene arrestato per corruzione insieme a quindici tra ingegneri e funzionari, e il lavoro difficile arriva a lei.

Il momento più delicato si profila quando Nina scopre che un subappaltatore sta lavorando in modo impreciso, sostiene di aver perso le tavole di progetto, non ha fatto i provini del calcestruzzo necessari. E alle proteste di Nina si schermisce: ho mal di cuore, mia moglie è ammalata, gli operai sono impegnati in un altro cantiere… Nina teme che il lavoro sia fatto male, chiede una verifica, il collaudo dimostra che il cemento non ha la tenuta richiesta. E la strada che doveva essere inaugurata per Pasqua resta chiusa.

L’incontro che segue, con l’assessore, ha i toni che si temono in questi casi. “Lei è giovane, inesperta, puntigliosa, lasci fare a noi, lei potrebbe essere mia figlia, lasci perdere, le diamo un incarico più leggero, se no si dimetta”. Nina non si lascia ammansire: “Io non mi dimetto, se volete sollevatemi dall’incarico, poi vedremo per quali motivi e ve ne prendete la responsabilità”. Intanto i collaudi si rifaranno, ma finché non sono corretti la strada non si inaugura.

Perché leggere Nina sullargine

Il mestiere dell’ingegnere è già difficile di per sé, ed essere una donna complica un impegno già intricato. Perché per noi, digiuni di costruzioni, pare impossibile che si riescano a tenere insieme tante compatibilità, tanti limiti minimi e massimi di tolleranza, tante professionalità. Non c’è pezzo del lavoro descritto il cui completamento non paia, a noi profani, un miracolo.

“Ci sono ruoli, incarichi, compiti ben precisi e definiti, regolati da una normativa molto chiara in alcune parti, del tutto nebulosa in altre”. E qui le zone d’ombra rendono i confini inapplicabili.

Ci sono però anche momenti di allegria, quando si completa un lavoro, quando arriva un tecnico che usa con grande perizia una macchina e risolve i problemi, quando tutto il cantiere sembra essere un organismo unitario, che vive e lavora in simbiosi, senza conflitti né gelosie.

C’è, in questa visione di un lavoro di cui tutti sono orgogliosi, di un’umanità compatta che si sente capace di condividere sforzi e soddisfazioni, qualcosa di quasi mistico. E che Nina sia donna allora se lo dimenticano tutti, e quello che è fatica in un momento si tramuta in gioia, perché essere contenti del lavoro che si è fatto è una delle cose più belle della vita.

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