Farmacisti, tutti ricchi? Non i collaboratori

“Contratti rinnovati in ritardo e 25 centesimi all’ora di premio per il COVID-19”: un farmacista su due pensa di cambiare lavoro, e chi sceglie di fare il freelance giura di guadagnare il doppio lavorando la metà. Ne parliamo con Lino Gorrasi (CONASFA), Francesco Imperadrice (SINASFA) e professionisti del settore

Farmacisti collaboratori, una farmacista di spalle al bancone

“La goccia che ha fatto traboccare il vaso? È stato quando a una signora anziana che mi aveva chiesto l’Aspirina, ho domandato se prendesse altri farmaci e di che tipo. Assumeva anticoagulanti e per quello le ho suggerito di rivolgersi prima al suo medico. Appena la signora è uscita, il titolare mi ha chiamato nel suo ufficio e ha cominciato a inveirmi contro, dicendomi “si ricordi che chiunque metta piede nella mia farmacia, deve uscirne con un sacchetto in mano”.

È stata l’ultima esperienza come farmacista collaboratore di Vito D. “Quel giorno mi sono sentito così umiliato che ho pianto in macchina per tutto il tragitto di ritorno a casa”, ricorda. Dopo quell’episodio, accaduto ormai oltre una ventina di anni fa, Vito D. ha deciso di reinventarsi e ha aperto un negozio di articoli sanitari nel suo paese in provincia di Bari.

Quella dei farmacisti collaboratori non è diventata una vita difficile solo in tempi recenti, ma una considerazione accomuna tutti coloro di cui abbiamo raccolto l’esperienza per questa inchiesta. È stato un coro unanime di “se potessi tornare indietro, non farei lo stesso percorso di studi”. Una riflessione confermata da una recente ricerca Profili, Pharmacy Scanner, che su un panel di duecento farmacisti collaboratori intervistati prevede che di qui a cinque anni un farmacista su due cambierà lavoro.

Da collaboratore a farmacista freelance: “Lavoro la metà del tempo e guadagno il doppio”

Molti di loro, soprattutto donne, non riescono a coniugare tempi e ritmi di lavoro (40 ore settimanali, turni festivi, etc.) con la vita privata e si stanno indirizzando verso l’alternativa dell’insegnamento. C’è poi la questione economica: “La mia prima busta paga”, dice Oriana C., che lavora da dieci anni in una farmacia in una piccola città del Nord, “è stata di 1.450 euro. Ogni due anni scatta un aumento di 50 euro lordi. Di fatto mi ritrovo oggi con uno stipendio che è aumentato di un centinaio di euro netti da quando ho cominciato, ma sono aumentati i compiti che sono chiamata a svolgere, soprattutto dopo il COVID-19. Senza voler offendere nessuno, ma se avessi saputo che sarei stata di fatto equiparata alla commessa di un grande magazzino, avrei evitato di stare cinque anni sui libri”.

Per avere un quadro di sintesi immediato della situazione delle farmacie oggi in Italia basta andare sul sito di Federfarma, nella sezione annunci. La maggior parte delle inserzioni è di farmacie che cercano personale, arrivando a offrire “incentivi sulle vendite” e formazione sul campo per neolaureati. Poche richieste, e per la maggior parte di farmacisti che hanno smesso il camice da collaboratore per indossare quello da professionista a partita IVA. Ne abbiamo contattato uno che presta la sua opera da freelance (la definizione è sua) in alcune città della Campania. Ha accettato di parlare, ma niente nome: l’unico dato personale che ci ha fornito è l’età, quarant’anni.

“È da un paio d’anni che lavoro con partita IVA”, racconta. “Prima lavoravo come dipendente. Rispetto ad allora ho il vantaggio di scegliere i giorni e gli orari in cui lavorare e guadagno molto meglio. Il mio stipendio da farmacista collaboratore oscillava dai 1.300 ai 1.600 euro: troppo poco per la mole di lavoro svolto e l’impegno. Il compenso di un farmacista con partita IVA oscilla dai 25 ai 35 euro all’ora; lavorando in maniera continuativa si possono portare a casa a fine mese anche più di 3.000 euro. Lavorare come collaboratore è demotivante, sia dal punto di vista sociale, sia sotto il profilo economico. Oggi, lavorando la metà del tempo di prima, guadagno il doppio dello stipendio medio di un farmacista collaboratore”.

Lino Gorrasi, segretario CONASFA: “Otto anni di ritardo sul contratto dei farmacisti collaboratori”

Ma come è possibile che un professionista della sanità come il farmacista percepisca stipendi che non possono certo essere considerati congrui con gli anni di studio e la tipologia di servizio svolta? L’attività di studio e aggiornamento di fatto non si interrompe mai, ma prosegue con gli ECM, i corsi periodici da frequentare per il riconoscimento di crediti. L’unico esame che i farmacisti non devono più sostenere è quello di Stato per l’iscrizione all’Ordine, perché da due anni il conseguimento della laurea in Farmacia (assieme a quelle in Psicologia, Medicina veterinaria e Odontoiatria) è ritenuta abilitante ai fini della professione, con il solo obbligo di almeno 30 crediti formativi universitari che devono essere attribuiti a seguito dello svolgimento di un tirocinio pratico-valutativo nell’ambito del corso di studio.

Il nodo, allora, è tutto nel contratto che viene applicato. Al tavolo con Federfarma per il rinnovo siedono le delegazioni di FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTuCS, articolazioni di categoria dei tre sindacati italiani più rappresentativi, ma che si occupano di lavoratori di terziario, turismo, commercio e servizi.

Dice il dottor Lino Gorrasi, segretario nazionale CONASFA, l’Associazione Nazionale Professionale dei Farmacisti Non Titolari: “L’ultimo contratto è stato siglato nel 2021 con otto anni di ritardo, e scadrà nel 2024. Fanno rientrare i farmacisti in una tipologia di attività distante da quella sanitaria. Potrebbe esserci dietro una strategia: se rientrassimo come servizio sanitario, in parte dovremmo gravare sulle casse dello Stato. Non è l’ASL, forse, che ci dice quando dobbiamo stare aperti? La strada giusta sarebbe quella di un sistema misto tra servizio pubblico e servizio privato”.

“Per questo”, aggiunge, “rispetto alla scadenza del contratto il prossimo anno abbiamo deciso di muoverci con anticipo, e in settembre come CONASFA abbiamo partecipato a Bari a un tavolo organizzato dall’Ordine con Federfarma per cominciare a imbastire una trattativa in vista del rinnovo”.

Francesco Imperadrice, presidente SINASFA: “Alcuni colleghi ‘premiati’ con 25 centesimi all’ora durante il COVID-19”

Sullo spostare il contratto dei farmacisti collaboratori nel comparto della sanità privata concorda anche Francesco Imperadrice, presidente del SINASFA, il Sindacato Nazionale Farmacisti Non Titolari.

“Quello del contratto del commercio è davvero un paradosso”, dice, “e si pensi che per avere il rinnovo abbiamo dovuto aspettare nove anni. Il contratto scadeva nel 2013, e nonostante debba essere rinnovato ogni quattro anni il nuovo accordo è stato sottoscritto solo nel 2019. Quindi per dieci anni i farmacisti collaboratori sono rimasti ancorati a una normativa economica risalente al 2009, con stipendi il cui potere d’acquisto era tangibilmente diminuito. E nel nuovo contratto non c’è stato riconosciuto un solo euro di una tantum, come era invece accaduto con i precedenti”.

Qualcosa di simile è successo per i farmacisti collaboratori anche negli anni del COVID-19: “Siamo stati in prima linea, osannati come eroi dai giornali, ma non abbiamo avuto alcuna premialità sotto il profilo economico: anche solo per una questione di dignità professionale un riconoscimento sarebbe stato il minimo”, dice il presidente SINASFA, che poi specifica: “I colleghi si sono ritrovati in busta paga un riconoscimento economico a dir poco ridicolo: ottanta euro lordi, in pratica due euro al giorno, 25 centesimi all’ora”.

“Eppure”, riflette Imperadrice, “il farmacista è una persona importantissima, è il professionista di riferimento per molti soggetti deboli: sapeste quanti di questi entrano in farmacia per chiedere l’indicazione di uno specialista o se determinati tipi di prodotti prescritti dal medico sono proprio indispensabili perché devono fare i conti con la pensione sociale che non basta mai”.

“Una volta mi chiamò il papà di una collega”, racconta. “Presidente, mi scusi, ma com’è che da quando mia figlia si è laureata, io non ho più il piacere di averla una domenica a pranzo?”. Era stata l’ultima arrivata in una farmacia aperta 365 giorni all’anno ed era stata contrattualizzata proprio perché facesse tutti i festivi”.

“E non dimentichiamo”, puntualizza la dottoressa Oriana C., “che se io sbaglio a leggere una prescrizione e fornisco un farmaco sbagliato, sono responsabile sia sotto il profilo civile, sia eventualmente sotto quello penale. Il lavoro di farmacista in sé mi piace, potrebbe essere anche un lavoro appagante e stimolante, se non fosse per come la nostra figura è percepita”.

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