Frammenti di un discorso amoroso

#Prologo Per cominciare il titolo: come spesso mi accade, a Roland Barthes ci sono arrivato per genio e per caso, dopo una moltitudine di pensieri e di parole che c’entravano sì con la mia Napoli, ma non mi davano calore. È successo nella libreria della stazione, ero in attesa del treno A.V. 9616 destinazione Roma […]

#Prologo

Per cominciare il titolo: come spesso mi accade, a Roland Barthes ci sono arrivato per genio e per caso, dopo una moltitudine di pensieri e di parole che c’entravano sì con la mia Napoli, ma non mi davano calore.

È successo nella libreria della stazione, ero in attesa del treno A.V. 9616 destinazione Roma quando la mia amica serendipity ha deciso di darmi una mano. Il libro era nello scaffale della critica letteraria; l’ho aperto a pagina cinque, ho letto il titolo – Come è fatto questo libro – e ho scorso rapidamente la pagina. In treno mi sono tornati in mente “mettere in scena”, “analisi”, “enunciazione”; la sera ho tirato giù la mia copia dalla libreria e ho letto: “[…] mettere in scena non già un’analisi ma un’enunciazione. Quello che viene proposto è, se si vuole, un ritratto; ma questo ritratto non è psicologico, bensì strutturale: esso presenta una collocazione della parola: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all’altro (l’oggetto amato), il quale invece non parla”. 
È stato così che ho deciso: otto hashtag invece che ottanta parole per ritrarre la mia Napoli con tutto l’amore che ho e una sufficiente dose di senso critico, perché anche di quello, se le vuoi bene veramente, non devi fare a meno.

 

#Bellezza

“Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo.”

Lui è Stendhal, l’annotazione è dell’8 marzo 1817. Avrei potuto scegliere Goethe e tanti altri; la verità è che alla voce bellezza Napoli non sfigura neanche se la paragoni al paradiso, proprio come ha scritto E. A. Mario in una delle sue più belle liriche.

Difficile dire qualcosa di più. Però si può dire qualcosa di diverso: per esempio che la bellezza può essere per Napoli una straordinaria occasione (kairos) per cogliere e moltiplicare le opportunità, per allungare l’ombra del futuro sul presente, per ricollocare in un nuovo sistema di relazioni reciproche le parole, le idee, le decisioni e le azioni finalizzate allo sviluppo.

 

#Cultura

“Bisogna trovare la cultura sostanziosa. Se la troviamo, la prenderanno tutti gli affamati.”

Questo è Lev Tolstoj, il discorso quello pronunciato nel 1884 e pubblicato in Avanzi popolo (Millelire, Stampa Alternativa). Perché mi piace la cultura sostanziosa mi pare evidente: perché Napoli è mille culure, infiniti terabyte di storia e di cultura, ma poca capacità di tradurre le possibilità in risultati. E mi piace la relazione tra cultura sostanziosa e affamati. Al tempo di internet e dell’intelligenza artificiale mi piacciono gli affamati di sapere e di saper fare, gli affamati e folli di Steve Jobs, perché anche se non si laureano alla Stanford University di affamati così Napoli ne tiene un sacco.

 

#Lavoro

“L’ignorante non si conosce mica dal lavoro che fa ma da come lo fa.”

Cesare Pavese, La luna e i falò (Einaudi), Nuto che dice ad Anguilla questa frase bellissima. La Napoli intelligente che piace a me non può fare a meno di questa idea del lavoro, di questa connessione tra il lavoro fatto bene, la cultura e la dignità delle persone. Alla fine l’idea del lavoro ben fatto è semplice: creare la comunità, la blockchain, delle persone che quando fanno una cosa cercano di farla bene, qualunque cosa debbano fare: progettare il Sydney Harbour Bridge, insegnare in una scuola di periferia, lavare i pavimenti prima di tirare giù la saracinesca del bar.

 

#Organizzazione

“A Napoli i congegni tecnici sono quasi sempre rotti: soltanto in via eccezionale, e per puro caso, si trova qualcosa di intatto.”

Lui è Alfred Sohn-Rethel, l’anno il 1926, e il titolo del libro Napoli: la filosofia del rotto (Caròla Editrice). La frase mi piace perché sintetizza con profondità e ironia le difficoltà che incontra la città nelle sue quotidiane attività tese a organizzare, a organizzarsi, a conseguire un fine comune, a cogliere risultati. Evasione scolastica, mancanza di lavoro, inefficienza dei servizi sono solo alcuni dei titoli che esemplificano questo dato di fatto. Napoli si rappresenta bene con le eccezioni e le eccellenze, ma le manca una cultura organizzativa condivisa; manca dell’insieme di artefatti, di valori espliciti e di assunti di base orientati all’efficienza, alla qualità sociale e al bene comune di cui avrebbe molto bisogno.

 

#Sistema

“Un sistema è una totalità nella quale diverse parti sono in relazione reciproca; nessuna di queste può mancare, pena l’annullamento del carattere del sistema.”

Questa di Konrad Lorenz (Mondadori) è una definizione di sistema che ritengo particolarmente utile per raccontare un’altra cosa che Napoli non ha, o ha troppo poco: l’approccio sistemico.

Inutile girarci intorno, secondo me a Napoli manca un pensiero generale, forte e condiviso; mancano le istituzioni e le classi dirigenti in grado di mettere in relazione reciproca le diverse parti della società, i diversi stakeholder; mancano i cento uomini di ferro di Dorso, l’ordine mezzano di Genovesi, la società di mezzo. La città che si rappresenta con le eccezioni e le eccellenze manca di regia, di governo dei processi, l’approccio all’innovazione in grado di determinare il cambio di passo.

Sì, l’innovazione c’è, ma non è approccio condiviso; non è idea guida, non è cultura, azione, sistema; non si traduce in general intellect, in capacità di creare nuova conoscenza, di ridefinire i problemi, di ricreare i contesti, di individuare soluzioni. Non c’è la capacità e la volontà che servono per far sì che i casi di eccellenza diventino norma e si facciano, per l’appunto, sistema.

 

#Talento

“Il talento è una fonte da cui sgorga acqua sempre nuova. Ma questa fonte perde ogni valore se non se ne fa il giusto uso.”

Questo infine è uno dei Pensieri diversi (Adelphi) di Ludwig Wittgenstein. È del 1931, lo prendo in prestito per raccontare che la bellezza, la cultura, la storia e la strada hanno fatto di Napoli una città ricca di questa fonte chiamata talento, creatività, capacità di gestire gli imprevisti e di risolvere problemi.

Ancora una volta il discorso cambia quando spostiamo l’accento dalla responsabilità individuale delle persone alla responsabilità della città, delle istituzioni, delle classi dirigenti, insomma di coloro che più di tutti avrebbero il dovere di promuovere contesti favorevoli alla valorizzazione del talento individuale.

 

#Epilogo

L’epilogo serve a riassumere il senso di questo mio ritratto: sono le reti intelligenti e i sistemi di relazione che connettono il talento individuale, l’organizzazione nella quale il talento opera e le caratteristiche del contesto – il sistema – nell’ambito del quale l’uno e l’altra interagiscono che fanno la differenza.

Dato questo sfondo, se vuoi formare la felicità di una città intelligentesmart –, se vuoi mettere a valore ciò che le persone, le organizzazioni e i contesti (territoriali, tecnologici, sociali) sanno e sanno fare, la classe dirigente vale più del leader. Una classe dirigente che sappia valorizzare di più e meglio le sue risorse storiche, culturali e ambientali; che sappia tenere assieme, nel processo del fare, testa, mani e cuore; che sappia definire la propria identità a partire dal lavoro, il lavoroper sé”, quello che implica dignità, rispetto, cultura materiale.

Sì, il senso del mio discorso amoroso è che Napoli ce la fa se si prende cura della sua bellezza e della sua cultura, se tiene assieme il talento, l’organizzazione e il sistema, se fa propria l’idea che fare bene le cose ha senso, è bello, è giusto e soprattutto conviene.

 

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