Concluse le prove preselettive, gli aspiranti insegnanti di sostegno si preparano per scritto e orale: li aspetta una trafila formativa che può portare all’insegnamento di ruolo. Nel frattempo, le università incassano 100 milioni di euro tra corsi e tasse di iscrizione e fioriscono gli enti formatori privati
Francesco Turri, consulente commerciale, sull’attesa nell’era di WhatsApp
L’attesa del mondo antico e quella di oggi, forse, sono la stessa cosa. La traccia C2 della maturità 2023 svolta da Francesco Turri, consulente commerciale in ambito della sicurezza sul lavoro
Diario di un viaggiatore del tempo nell'epoca digitale: davvero una volta eravamo in grado di attendere?
Per comprendere al meglio le dinamiche dei tempi di attesa nell’era dei social, penso sia opportuno cercare di capire come si sia arrivati alla comunicazione istantanea dei nostri giorni. Siamo all’inizio del terzo millennio dalla nascita di Cristo, e già questo fatto mi dà lo spunto per una prima considerazione: l’umanità ha sempre vissuto col “problema” del tempo, tanto che ha voluto individuare il modo per dare un inizio al tempo della civiltà.
Anno zero, dunque, e da quel momento (tra l’altro presunto, ma questa è un’altra storia), le civiltà occidentali hanno iniziato a contare i giorni, le settimane, i mesi e gli anni. In pratica l’uomo ha imparato a contare i tempi di attesa che separavano gli eventi in cui era impegnato: le feste, i tempi di semina, i tempi di raccolto, e soprattutto le guerre. Con queste ultime crebbe anche la necessità di comunicare, e si capì subito che la velocità nella comunicazione era un punto di vantaggio, tanto che si poteva anche morire per portare un messaggio in fretta, come fece il povero Fidippide, che corse per 42 km per informare Atene della vittoria a Maratona.
Per diversi millenni, i sistemi per inviare messaggi sono stati essenzialmente quelli che vedevano impiegati animali, come cavalli e piccioni viaggiatori, o sistemi meccanici come i segnali di fumo e i riflessi in uno specchietto. I tempi erano quindi dettati dalla tecnologia disponibile.
Tra il XVIII e il XIX secolo i messaggi viaggiavano con strumenti antichi ma più organizzati, come per esempio il pony express. In pochi giorni era possibile inviare una lettera da Washington a Philadelphia, o da Londra a Brighton, o da Roma a Napoli. Cavalli e carrozze consentivano di inviare grandi quantità di messaggi in poco tempo, e le attese erano commisurate al livello tecnologico. L’avvento dei treni a vapore migliorò notevolmente la velocità di recapito dei messaggi. Poi arrivarono l’elettricità, il telegrafo, il telegrafo senza fili, invenzioni sospinte da tecnici e scienziati come Marconi, Meucci, Morse, Maxwell e molti altri.
La velocità della comunicazione è stata tra le prime implementazioni attuate con le nuove tecnologie messe a disposizione all’inizio del secolo scorso. Comunicare in modo veloce era un lusso per pochi fino alla seconda metà del Novecento. Per esempio, negli anni Cinquanta le cabine di lusso della nave ammiraglia Andrea Doria consentivano agli occupanti di poter telefonare a casa, ovviamente a patto che a casa ci fosse un telefono.
Non credo ci possano essere dubbi sul fatto che l’umanità abbia da sempre ritenuto di vitale importanza far arrivare i messaggi nel minor tempo possibile, e col migliorare delle tecnologie i tempi si sono decisamente accorciati. E così anche i tempi di attesa.
Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a un incremento tecnologico impressionante, che ha consentito di arrivare a tempi di invio dei messaggi praticamente istantanei. Sembrano lontanissimi gli anni Settanta dove io, da bambino, ricevevo le chiamate dei clienti di mio padre in casa, mettevo giù la cornetta e lo andavo a chiamare in officina, e lui veniva a prendere la comunicazione dopo circa dieci minuti. L’interlocutore dall’altra parte attendeva pazientemente ed era per lui una cosa normale, nessuno ha mai protestato.
Ma l’avvento di internet ha cambiato tutto, e con lui la richiesta di velocità nelle comunicazioni. Come molti altri, ho vissuto passo per passo l’evoluzione tecnologica dei primi modem, le difficoltà di mantenere una connessione stabile e le sbuffate per la lentezza delle prime pagine web. Ma aspettavamo, annoiati e indispettiti: ma aspettavamo. Avevamo dei tempi di attesa, ma c’era una spinta fortissima per aumentare la velocità. Le società di telecomunicazione gareggiavano tra loro offrendo servizi di capacità di carico e scarico (upload e download) sempre maggiori in volume e in velocità. Se ci si pensa bene, stiamo sempre perseguendo quella necessità di far arrivare il messaggio in modo veloce che avevano gli antichi.
Tornando, quindi, sul tema della incapacità di attesa, cioè del fatto che si vuole una risposta immediata a un messaggio immediato, credo che per dare una interpretazione coerente, dobbiamo separare l’aspetto intrinseco del mezzo dall’aspetto culturale del suo uso. Il mezzo è cambiato da 2000 anni a questa parte, ed è cambiato anche il modo d’uso della comunicazione. Prima la necessità di inviare messaggi veloci e sicuri era di e per pochi; oggi è un fenomeno di massa, e influisce sulla ed è influenzato dalla cultura.
Io credo che la nostra capacità di attesa sia esattamente la stessa di molti anni fa, parametrata alla tecnologia esistente. Se ai tempi dei romani un messaggio impiegava qualche settimana o qualche mese per arrivare, per esempio, da Lutezia a Roma, l’impazienza di sapere come era andata quella campagna militare era la stessa di una persona che ha inviato un WhatsApp, ma conoscendo i tempi di attesa nel frattempo si faceva altro. Oggi sappiamo che un messaggio viene inviato e ricevuto in modo istantaneo e ci aspettiamo una risposta con una velocità analoga. Come viviamo l’attesa è una questione di cultura e intelligenza, non sempre al passo degli sviluppi tecnologici.
Cantava Giorgio Gaber nel suo capolavoro intitolato Il tutto è falso:
Non a caso la nostra coscienza
Ci sembra inadeguata
Questo assalto di tecnologia
Ci ha sconvolto la vita
Forse un uomo che allena la mente
Sarebbe già pronto
Ma guardarlo di dentro
È rimasto all’Ottocento.
Leggi anche
Buona parte della stampa sostiene che la utilizzano per copiare, ma per loro è soprattutto uno strumento per migliorare lo studio. Non tutti la conoscono e in diversi addirittura la temono; a scuola non se ne parla. Le opinioni di alcuni studenti di scuola superiore sull’IA
Il sindacato ANIEF chiede un’indennità per gli insegnanti come categoria a rischio contagio da COVID-19, appellandosi al decreto legislativo 81 del 2008. Ma la soluzione migliore sarebbe una buona prevenzione, che il ministero non ha mai messo in atto.