Giovani in Lombardia, diciott’anni e non sentirli: “Come se avessimo due anni in meno”

L’esperienza dei giovani lombardi durante e dopo la pandemia, con nessun supporto psicologico, straniati dal ritorno a scuola e taglieggiati dallo sfruttamento sul lavoro: “Chi governa ci lascia soli”

Giovani in Lombardia, seduti su un muro coperto da murales

di Sara Gennaro

 

È sempre una questione di soldi?

Me lo chiedo in occasione delle elezioni regionali in Lombardia, mentre analizzo la situazione disastrosa lasciataci in mano. Faccio parte dei giovani dimenticati dallo Stato e non mi è difficile assumere una posizione radicale in merito. Ci hanno lasciati indietro su temi apparentemente distinti tra loro: la sanità e il lavoro. Ma se fosse invece tutto connesso? Se per uscire dall’appellativo della generazione più povera ci fosse bisogno di una riforma del sistema sanitario e lavorativo? Se per rompere quel circolo vizioso ci dovessimo chiedere: è davvero sempre una questione di soldi?

Noi giovani lasciati indietro: “Tornati a scuola niente era come prima”

Quando scoppia il COVID-19 in Lombardia Alessandro ha 14 anni, si trova al primo anno di liceo. In giro non si capisce molto di ciò che succede. Sembra di vivere in un mondo apocalittico in cui tutti agiscono secondo la filosofia del “prima io”. In quel momento i giovani come lui non hanno ancora l’età per eleggere dei politici che li rappresentino, né tantomeno la voce per esprimere un sentimento di dissenso. Ne risulta una sensazione di impotenza di fronte al mondo, che sembra averli dimenticati, questi giovani. Gli chiedo come si è sentito in quel periodo.

“Capisco che dal punto di vista governativo la situazione fosse complicata. Eppure, mi sembra che la Regione, come lo Stato, prendesse sempre la decisione più semplice. Tanto, alla fine, [la decisione] ricadeva su di noi”, mi spiega.

E quindi che cos’è successo ai giovani? Quali sono state le conseguenze di una serie di decisioni convenienti? “Siamo stati spinti su una dimensione disfunzionale”, racconta. “Cercavamo di riprodurre la socialità normale di tutti i giorni in un modo anormale: non puoi costruire una simil-società attraverso un telefono, eppure noi lo abbiamo fatto. E lo abbiamo fatto in un modo così tossico – aggrappandoci gli uni agli altri come se da ciò dipendesse la nostra vita – da farci perdere di vista il mondo reale. Tornati a scuola niente era come prima. Sembravamo sopravvivere in un reparto psichiatrico”.

Aumenta la sofferenza psicologica, ma la Lombardia blocca lo psicologo di base

Sentendo quest’ultima frase molto vicina a me, apro una parentesi sul supporto psicologico offerto – o non offerto – da Regione Lombardia a seguito del periodo pandemico.

Una veloce ricerca sul tema espone un grande problema attraverso i dati. Secondo l’OMS, a seguito del primo anno di COVID-19 sono aumentati del 25% i casi di ansia e depressione. I più colpiti sono i giovani e le donne. Mi domando, quindi che provvedimenti siano stati presi in risposta a questo disagio.

Con enorme dispiacere comprendo che la Regione ha fatto l’esatto opposto del richiesto, fermando il Progetto di Legge che istituiva uno psicologo di base. Eppure so per certo che ansia, depressione, comportamenti autolesionisti e disturbi alimentari sono tutti fenomeni che hanno preso il sopravvento in noi giovani. Alessandro mi confida di conoscere almeno una ventina di ragazzi che hanno trovato in questi un ostacolo da affrontare.

Comprendiamo all’età di quindici anni che la salute mentale è una questione di soldi. È inevitabile che lo diventi, quando le liste d’attesa del pubblico diventano immense e quando i privati fanno pagare un centinaio di euro a incontro.

“Ci insegnano a lavorare male, non pagati e a rischio”: i giovani adulti chiamano il lavoro con il suo nome

Del COVID-19 Alessandro mi ha parlato con grande amarezza. Ho colto nei suoi occhi la pesantezza di aver perso due anni di gioventù spensierata. Nonostante la minaccia del virus sia passata, i suoi effetti si fanno sentire ancora a distanza di anni.

Mi confessa che a pochi mesi dal compimento dei diciotto anni si sente ancora un sedicenne. Non è la prima volta che ne sento parlare: è una sensazione che pesa sulle spalle di noi giovani, dalla quale si fa fatica a liberarsi. Soprattutto se consideriamo la difficile transizione verso il mondo del lavoro per la quale la scuola non sembra prepararci sufficientemente.

“La scuola non ci prepara, anzi normalizza il lavoro finalizzato alla sola esperienza tramite l’alternanza scuola-lavoro. Ci insegnano a lavorare non pagati e sotto un rischio costante. Noi giovani siamo pronti a lavorare, ma a lavorare male”, mi spiega Alessandro.

Dall’ansia e l’impossibilità di uscirne, anche a causa della mancanza degli aiuti dalla Regione, a pensieri come questo, su un tema che dovrebbe rappresentare il futuro. Mi chiedo quali possano essere le ulteriori ripercussioni che graverebbero sulla salute mentale di noi giovani una volta entrati nel mondo del lavoro. Mentre porto avanti questa ricerca, la domanda che ho in testa è: quante situazioni precarie possono accumularsi sulle spalle dei giovani prima che crollino del tutto?

Studi precari e lavoro in nero, la vita dei giovani con problemi da adulti

Proprio per approfondire questo aspetto ho intervistato Lucrezia, ragazza diplomata in piena pandemia. Al momento sta compiendo i primi passi verso il mondo del lavoro, portando avanti allo stesso tempo gli studi universitari. Sono curiosa di conoscere anche il suo punto di vista sul tema e le chiedo di parlarmi del passaggio improvviso da fine liceo in DaD a mondo degli adulti.

Mi sembrava di non aver chiuso un capitolo della mia vita, almeno non nel modo in cui me l’ero immaginato”, mi spiega. “Iniziare l’università in una situazione precaria è stato destabilizzante”. Come lei, tanti altri giovani si sono trovati nella stessa situazione e adesso sono chiamati a entrare nel mondo del lavoro portandosi dietro un bagaglio emotivo di un peso rilevante. Le chiedo quindi di raccontarmi la sua esperienza a riguardo.

“Tra il primo e il secondo anno di università ho cambiato corso universitario. In quel periodo ho iniziato a lavorare. Facevo la babysitter in nero, non avevo un contratto definito. Lì per lì l’ho accettato perché sapevo che sarebbe stato un lavoro provvisorio”, mi racconta, e riconosco in questa storia un’esperienza comune tra i giovani. Sebbene riconosca la sua situazione di privilegio, non dovendo pagare da sola il corso universitario, Lucrezia riscontra un grande senso di incertezza nel mondo del lavoro; una giovane appena uscita da una situazione ansiogena come il COVID-19 si è trovata a gestire anche l’ansia di un lavoro irregolare.

Mi racconta di una sua amica: “Ha dovuto lavorare un anno in nero prima di essere assunta. Il settore era della ristorazione, e non era sicuro: doveva stare a contatto con il pubblico e lavorare in una cucina, non si trattava di un lavoro d’ufficio. Lì l’ansia poteva essere calmata da un contratto regolare, ma il lavoro in nero è ancora troppo diffuso”.

Lombardia, quanto mi paghi? Stage sottopagati e fuori busta in prestigio

C’è poi la tematica degli stage, in particolare degli extra-curriculari.

Il problema è chiaro: la Lombardia raggiunge dei record per una bassissima retribuzione minima. 300 euro nella pubblica amministrazione, 400 nel privato, se forniti buoni pasto, e 500 nel privato senza buoni pasto. “Il problema poi varia da città a città, ma a Milano, ad esempio, con 500 euro al mese non ci vivi”, mi dice Lucrezia.

Le chiedo perché i giovani accettino di lavorare in queste condizioni. Mi spiega: “Le situazioni sono due. C’è gente che lo accetta perché deve pagarsi tutto da sola, e quindi non ha scelta; poi c’è chi lo accetta perché è cresciuto con l’ottica del prestigio, dove lavorare per un certo tipo di azienda è già una retribuzione in sé”.

Lucrezia mi spiega poi che molti lasciano da parte la cura di sé per un lavoro mal pagato. Torno quindi alla questione da cui tutto è partito e le chiedo quanto spazio possa avere, la cura della propria salute, in questa continua precarietà. Ho già dedotto la risposta, ma le sue parole mi colgono comunque alla sprovvista.

Non si riesce ad avere supporto a un prezzo accessibile. La sanità è ridotta a servizi scadenti e code infinite. La priorità viene data solo nelle situazioni di emergenza.”

Comprendo quindi che i giovani in Lombardia non verranno ascoltati fino a quando le ripercussioni non saranno fisiche, concrete ed evidenti.

I giovani interessano a qualcuno? In Lombardia rispondono gli investimenti

A seguito di queste interviste, torno al punto di partenza: è davvero sempre una questione di soldi?

Decido di modificare in parte la domanda, e mi chiedo: è mancanza di interesse o di soldi? Secondo Lucrezia è chiaro: “Il governo che abbiamo avuto fino a adesso in Lombardia ha preso una strada precisa a livello di investimenti”.

Mi sento quindi di concludere che negli interessi lombardi non siamo compresi noi giovani, e le decisioni prese lo hanno dichiarato forte e chiaro. Non è sempre una questione di soldi per chi governa, eppure lo è per noi: noi, che abbiamo attribuito importanza alla salute mentale, lo psicologo non ce lo possiamo permettere.

Noi, che abbiamo vissuto e continuiamo a vivere una forte ansia causata da virus, conflitti globali e cambiamenti climatici, ci carichiamo tutto in spalla e andiamo avanti.

Noi, che andiamo avanti perdendo pezzi, entriamo nel mondo del lavoro e veniamo sfruttati e sottopagati. Finiamo per vivere anche il lavoro come fonte d’ansia; che futuro possiamo avere?

Mi chiedo quindi se possa esistere una via d’uscita da questo circolo vizioso, ma la domanda è troppo astratta e rimane sospesa in aria. Dentro di me temo che tra cinque anni, alle prossime elezioni regionali, saremo ancora fermi qui. Di diverso ci sarà che i giovani di oggi lasceranno spazio ai giovani di domani, che a loro volta sperimenteranno che cosa significa essere lasciati indietro.

 

 

 

Photo credits: tisostengo.com

CONDIVIDI

Leggi anche