Grandi Dimissioni, il meno che diventa più: sottrarre aiuta ad aggiungere

Non è un fenomeno nuovo, eppure non abbiamo ancora ricerche che aiutino a comprenderlo davvero. Ma le Grandi Dimissioni comportano degli aspetti positivi legati alla qualità della vita e non solo, come raccontano Paolo Legrenzi, docente di Psicologia Cognitiva e Alice Siracusano, CEO di LUZ.

Quando si parla di Grandi Dimissioni in Italia, le reazioni sono le più disparate e spesso controverse. C’è chi glissa dicendo “succede solo negli USA”, o chi esclama “ma è da più di un anno che se ne parla!”. C’è poi chi afferma assertivo che il mondo sta cambiando e usa #grandidimissioni come hashtag per qualsiasi contenuto pubblichi sui social e riguardi indistintamente il lavoro.

Eppure, come ha sottolineato Paolo Legrenzi, professore di Psicologia cognitiva all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dal palco di Nobìlita, durante il panel “Grandi Dimissioni, Grandi sentimenti”, usare la parola “dimissioni” è un voler mettere l’accento sul meno, quando invece andrebbero sottolineati gli aspetti positivi che derivano da queste scelte. Ossia i cosiddetti “più” che si guadagnano, innanzitutto nel trovare altri spazi legati alla qualità della vita.

Con Legrenzi e Alice Siracusano, CEO e cofondatrice di LUZ – anche lei a Nobìlita per raccontare la sua esperienza personale di “antesignana” delle Grandi Dimissioni – cerchiamo di capire perché abbandonare il lavoro oggi è tutt’altro che una sconfitta. E perché è giusto che di questo cambiamento culturale si parli ancora. Anzi, oggi forse ancor più di prima.

Il lavoro come realizzazione della persona, non solo sostentamento

In effetti il cambiamento di mentalità c’è, checché se ne pensi, come mi spiega al telefono Legrenzi, autore tra l’altro del libro Quando meno diventa più.

“L’evoluzione della specie umana ha sempre premiato l’aumento delle risorse materiali. Controllare più territori, più cibarie, più clan, per centinaia di migliaia di anni ci ha fatto sentire meno vulnerabili e ci ha permesso di superare periodi di grandissima incertezza e grandi ostilità. Nell’ultimo secolo, quando le risorse materiali sono diventate sovrabbondanti, c’è stata una sorta di inversione di tendenza, non solo legata alla ricerca della frugalità, ma al fatto che viene visto come positivo intervenire meno sulla natura e sull’ambiente che si ha intorno. Anche se le strategie additive sono pur sempre le più facili da mettere in atto.”

Tutto questo ha una ricaduta sul mondo del lavoro e su come viene visto oggi: “Non solo come mezzo di sostentamento, ma anche come realizzazione della persona, e ciò fa sì che si preferiscano delle soluzioni che una volta sarebbero state considerate meno vantaggiose. Certo, non tutti condividono questa mentalità sottrattiva, ma di fatto c’è”.

L'intervento di Paolo Legrenzi al Nobìlita Festival.
L’intervento di Paolo Legrenzi al Nobìlita Festival Photo@DomenicoGrossi

Grandi Dimissioni in Italia: non abbiamo ancora numeri tali per capire quali sono le cause

Secondo Legrenzi, però, sulle Grandi Dimissioni non abbiamo numeri tali che ci aiutino a comprenderne davvero le cause: “Del fenomeno conosciamo solo il risultato finale, ma non sappiamo esattamente come mapparlo. Andrebbe fatta una ricerca su un campione rappresentativo grande per non far emergere il caso del singolo imprenditore che offre, per esempio, venti posti da tornitore e non li trova, o per non puntare su ricerche parziali. Dovremmo invece saper rispondere a quesiti come: quante persone rinunciano a certi lavori a fronte di altri? È vero che le persone oggi non vogliono fare lavori che prima erano privilegiati? E ancora, che alcuni non li accettano perché i costi di trasporto sono aumentati?”.

Quando si parla di Grandi Dimissioni, ancora oggi non si riescono a disegnare dei confini netti. Ecco perché bisogna distinguere tra due grandi ipotesi che comportano lo stesso esito.

“Una è che non ci siano persone formate a fare quel lavoro. In questo caso c’è una domanda, ma non c’è un’offerta preparata, e non sarebbe neanche la prima volta che succede”, riconosce il docente. “Si può rimediare formando le persone, come fanno già alcune aziende supplendo ad alcune carenze della scuola”.

“La seconda ipotesi è che le persone siano meno disponibili, ed è una differenza molto importante: se sono preparate e non vogliono fare certi lavori, è un cambiamento più grave e profondo che investe ogni settore. Significa che il lavoro avrà meno peso nell’orizzonte di vita. E ciò avrà altre conseguenze, sulla famiglia tradizionale o sul fatto che per avere un reddito non si accetterà più qualsiasi lavoro”.

D’altra parte sembra che le nuove generazioni abbiano già interiorizzato questo cambio di rotta: “Il loro atteggiamento motivazionale è diverso rispetto a quanto era usuale: contano meno sia la carriera che il successo. C’è più interesse per l’immateriale. A che cosa è legato? È qualcosa che riguarda solo le nuove generazioni? Sono le motivazioni che finora ci mancano per capire il tutto”.

Alice Siracusano nel dietro le quinte del Nobìlita Festival.
Alice Siracusano nel dietro le quinte del Nobìlita Festival Photo@DomenicoGrossi

Alice Siracusano: “Non trovavo più corrispondenza tra il ruolo che volevo dare al mio lavoro e quello che facevo”

Basta leggere la descrizione della pagina LinkedIn di LUZ per capire come l’agenzia fotografica fondata da Grazia Neri si sia evoluta diventando oggi un’agenzia di content marketing che, in un mondo contrassegnato dalla disintermediazione, punta ancor di più sulla qualità dei contenuti: “Accettiamo la responsabilità di essere un mezzo di comunicazione nell’era digitale: stimoliamo conversazioni incentrate sull’umanità”. E in questo cambiamento Alice Siracusano, che incontro nella sede di LUZ in via Castel Morrone a Milano, ha avuto e ha un ruolo rilevante.

La sua storia, se volessimo incastrarla in qualche definizione, potrebbe essere quella di chi a un certo punto cambia azienda e lavoro perché non si trovava bene dov’era. Ma oltre a essere riduttivi, non sarebbe neanche la verità. O meglio solo in parte, perché Alice, anni 38, dopo aver lavorato in aziende come Yoox, Google e Samsung, è approdata a LUZ – prima come dipendente, oggi come CEO e cofondatrice – dopo un profondo percorso interiore.

“Ho lavorato in contesti legati all’hi-tech in cui il mondo della tecnologia è molto presente ed è molto evidente il tema della disintermediazione. A un certo punto mi sono interrogata sul potere che avevano queste aziende di condizionare la vita delle persone. Mi sono sempre appassionata alla comunicazione per il potere positivo che può avere, ossia creare maggiore consapevolezza e condivisione di informazioni, ma non trovavo corrispondenza tra il ruolo che volevo dare al mio lavoro e quello che facevo. Gestivo budget molto alti per campagne di comunicazione che spesso portavano a interazioni la cui efficacia era difficilmente misurabile, in cui le persone venivano considerate come ‘bersagli’ e rappresentate in maniera molto stereotipata. Nel 2015, complice una polmonite che mi ha costretta un mese a casa, ho cominciato a riflettere su di me e sull’esigenza di una comunicazione più autentica. E sul fatto che chiedessi troppo a me stessa nello svolgere un lavoro in cui non mi riconoscevo”.

Per lei fondamentale è stato iniziare un percorso di coaching servito “a mettere a fuoco come potessi esprimermi al massimo in quello che facevo. È allora che ho incontrato una persona che lavorava in LUZ, agenzia che nasce con il fotogiornalismo ma che, a causa del digitale, stava vivendo una crisi di settore enorme e stava pensando di chiudere. Dalla chiacchierata era emerso che loro avevano il contenuto e io di mio potevo rappresentare il canale, visto che conosco bene il digitale e le sue dinamiche. In questo modo potevo andare verso il tipo di comunicazione che stavo ricercando, portando nuove competenze nell’ambito del marketing e del brand journalism. Ho poi chiesto di diventare socia, ed eccomi qui”.

Grandi Dimissioni? Meglio parlare di Great Reshuffle e di riqualificazione delle persone

A Nobìlita Alice ha parlato sia di riqualificazione delle persone che di Great Reshuffle (che in italiano suona più o meno come “grande rimpasto”).

“Riqualificare vuol dire partire dalle persone che sono già nel mondo del lavoro e investire su un’indagine interiore da fare continuamente affinché possa influire sulle condizioni di tanti. Significa, specie con chi lavora già da tempo, capire se ha ancora la consapevolezza dell’impatto che può avere con il suo lavoro o se, con l’andare del tempo, l’ha persa. Chi ha la responsabilità di gestire le persone deve avviare un dialogo maieutico per capire tutto questo. Perché quando una persona non riesce più a vedere il riscontro di quello che fa quotidianamente è un problema. In LUZ, oltre a portare avanti dei percorsi di coaching per tutti i dipendenti, usiamo tanto il gioco perché consente di esprimere il proprio sé più autentico, così come stabiliamo dei momenti in cui possiamo scambiarci riflessioni e ognuno può raccontarsi che cosa ha fatto durante il fine settimana”. Il tutto, quindi, all’insegna di un ascolto continuo.

Quanto al Great Reshuffle, la CEO di LUZ pensa sia l’evoluzione della Great Resignation. Bisognerebbe infatti andare nella direzione di avviare una forma di collaborazione tra azienda e dipendenti – così come con i clienti – anziché una guerra tra le parti. Necessaria per arrivare a un cambiamento condiviso da e con tutti, e per evitare di disperdere denaro ed energie per rimpiazzare le persone.

“Non è solo chi si dimette a cambiare prospettiva, ma dobbiamo riflettere anche su quanti decidono di cambiare senza per forza rinunciare a qualcosa. Devono essere le aziende a mantenere un dialogo costante e a proporre il reshuffle, così come abbiamo fatto anche in LUZ. Cosa significa? Che, in base al momento in cui una persona si trova, dobbiamo darle il ruolo più giusto: sul lavoro possono influire delle dinamiche personali, dei cambiamenti interiori o altro”. Il che può portare a un disallineamento tra quello che si fa e quello che si è, e questo vale anche per chi ha dei ruoli di responsabilità.

“Se una persona si trova in una situazione simile, allora meglio puntare a darle responsabilità diverse, più operative e meno strategiche e offrirle nuovi strumenti affinché possa intraprendere un percorso differente. Il tutto mantenendo lo stesso stipendio. Ci tengo però a dirlo: non si tratta di soluzioni preconfezionate, né semplici da attuare: che la nostra sia una piccola azienda indubbiamente ci aiuta, ma resta il fatto che se tu imprenditore lavori per i lavoratori, vedrai che i lavoratori lavoreranno per l’azienda”. E se le Grandi Dimissioni hanno qualcosa da insegnarci, a prescindere dalle cause del fenomeno, forse oggi è proprio questo.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina un momento del panel del Nobìlita Festival “Grandi dimissioni, grandi sentimenti”, Foto di Domenico Grossi

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