Ci sono sempre meno edicole: sono 16,5% in meno dal 2019 al 2023, circa 2.700. Ma a Lambrate si attiva un progetto di riapertura: l’edicola trova un nuovo modello e diventa “un centro di militanza culturale”. Ne parliamo con uno dei suoi responsabili, lo scrittore pubblicitario e direttore creativo Paolo Iabichino
I libri scolastici alle prese con la diversity
Educare dentro le scuole è un’azione politica. La frase è volutamente forte e stimola reazioni, si tratta solo di ripulirla dalle mille sfumature di parte e osservarla con occhi più attuali dal suo profilo migliore, tirandoci dentro anche la politica degli editori. La seconda giornata di The Publishing Fair si è presentata con un cappello […]
Educare dentro le scuole è un’azione politica.
La frase è volutamente forte e stimola reazioni, si tratta solo di ripulirla dalle mille sfumature di parte e osservarla con occhi più attuali dal suo profilo migliore, tirandoci dentro anche la politica degli editori.
La seconda giornata di The Publishing Fair si è presentata con un cappello a falde larghe chiamato “Education”: un titolo imparziale sulla carta, magari a bilanciare tutto ciò che è stato chiamato a raccolta per spiegare i temi più urgenti sul segmento librario che ha come scopo finale quello – delicatissimo – di formare idee nel presente e persone in futuro.
Non a caso la politica è entrata pienamente in fiera su invito degli organizzatori, con la pioggia battente fuori e l’urgenza battente dentro, coi deputati in fila sulle sedie del palco – garantito il ventaglio delle diverse appartenenze politiche pur appartenendo tutti alla VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione alla Camera dei Deputati – e una platea fatta per metà di editori grandi e piccoli: l’obiettivo era confrontarsi a livello informale sulla proposta di legge a firma dell’Onorevole Alessandro Fusacchia per i libri di testo scolastici.
La bozza del testo è ancora in lavorazione ma l’obiettivo lo ha spiegato lui fin dal primo intervento: “È tempo di adeguare l’ordinamento italiano ai principali standard internazionali in tema di diversità e inclusione. Serve muoversi con urgenza per favorire azioni di contrasto agli stereotipi. La premessa necessaria è dire che oggi tutte le filiere produttive sono molto più frammentate di un tempo. è chiaro però che nella filiera del libro scolastico, gli editori hanno il ruolo di chiamare gli altri al tavolo, essendo loro gli unici a monte e a valle della filiera”, le parole di Fusacchia appartenente alle file del Gruppo parlamentare Misto Centro Democratico – Radicali Italiani e + Europa.
“La mamma stira”. Sicuri?
Se è vero che il cervello ragiona per associazioni di idee, il cervello dei presenti è corso subito alla buccia di banana su cui la casa editrice La Spiga è precipitata lo scorso febbraio – precipitata, nemmeno scivolata – inserendo nel suo libro di testo “Nuvola” l’esercizio che invitava i bambini di seconda elementare ad eliminare il verbo sbagliato.
Il soggetto era “la mamma”, i verbi erano “cucina”, “stira”, “tramonta”.
Il polverone che ne è seguito è storia nota, con tanto di scuse dell’editore e di toppe peggiori del buco. “Siamo dispiaciuti per il disguido, avevamo già notato quanto è stato segnalato e provveduto a modificare l’esercizio nell’edizione del testo che sarà in commercio nel nuovo anno scolastico. Ad ogni modo il senso dell’esercizio era indicare l’azione che la persona non compie e non evidenziare azioni che compie abitualmente».
Peccato che, alla riga “il padre”, i verbi tra cui snidare l’errore fossero al contrario “lavora”, “legge”, “gracida”.
“Ho lavorato diversi anni come Capo di Gabinetto al MIUR e, per qualsiasi domande, la risposta era sempre “più istruzione”. Capite bene che quando si entra nel discorso dell’istruzione si finisce per parlare dell’urgenza di formazione in capo ai docenti. Qui dobbiamo ragionare su una tipologia di libro scolastico che permetta alla scuola di oggi di non essere quella in cui abbiamo studiato noi: quella era una scuola in cui si studiava il passato e non solo quando si studiava storia. È urgente il collegamento con la contemporaneità anche perché si sta allargando il divario tra ciò che i ragazzi studiano e ciò che trovano nel mondo quando escono. Compito di tutti noi è, al contrario, ridurlo: non vorrei caricare di troppa responsabilità i docenti e la filiera dell’industria editoriale scolastica ma una evoluzione passa anche attraverso di loro oltre che con le riforme della politica”, ha aggiunto Fusacchia.
Il libro scolastico è un prodotto che miscela team di decine di professionalità e fa bene a ripeterlo senza stancarsi mai Marzia Camarda, editor e imprenditrice culturale oltre che promotrice di The Publishing Fair con Lorenzo Armando.
Tra la pelle di quelle figure professionali e tra la loro formazione, la sensibilità e il dialogo con gli editori dall’inizio alla fine va ricercato lo scollamento di una filiera che comunica ancora poco al suo interno, dove ognuno fa il suo – anche bene – ma è solo il suo unico pezzo.
Anche il libro scolastico, per riprendere la riga uno, compie un’azione politica che non può prescindere dalla rispondenza al reale e oggi il reale corre molto più in fretta dei programmi ministeriali, della burocrazia che intasa la crescita e degli editori che stampano e ristampano.
Carlo Robiglio, Presidente di Piccola Industria Confindustria, la mattina prima mi aveva spiegato l’editoria come una “filiera povera e affamata”– cruda ma energica la sua immagine – mentre ci confrontavamo col pubblico sulle strategie del comparto industriale.
“Io, per esperienza storica nel rapporto col Ministero, con le categorie e con la scuola, credo che l’anello debole sia la scuola intesa anche nella sua carenza digitale ma ancor prima infrastrutturale. Non può bastare una LIM, non possiamo nasconderci davanti a carenze di strumenti digitali come i tablet o di sale computer totalmente sottostimate e sottodimensionate. Manca proprio il circuito digitale e noi politici siamo qui in ascolto con voi editori per ciò che ci compete su investimenti e riconversioni ma cerchiamo di arrivare insieme a risolvere anche le questioni più vicine alle famiglie intese come gli ammortizzatori sociali interni dell’educazione. Mi riferisco alla parità di accesso e ai contenuti ancora troppo stereotipizzati e ve lo dice un uomo che la mattina si stira la camicia da solo, col ferro verticale. Faccio però un’osservazione citando un libro del ’94, edito da Adelphi, La cultura del piagnisteo. La questione del genere è assolutamente da me condivisa e condivisibile però attenzione perché un conto è riconoscere le differenze e un conto è sclerotizzare le categorie e i ruoli. Attenzione a finire per rinnegare gli archetipi junghiani perché negli archetipi si forma la persona: lo dico perché sta già succedendo che si finisce per vietare il bacio alla principessa nelle favole. Cerchiamo di rimanere seri se vogliamo rinnovare una cultura sul genere”.
L’intervento di Federico Mollicone, in quota Fratelli d’Italia, non teme di entrare con le parole dentro un dibattito nazionale che rischia in effetti di arenarsi con l’illusione di progredire.
Valentina Aprea, parlamentare di Forza Italia, mastica la scuola dal ’94. È in libreria da pochi mesi con La scuola dei Centennials, Egea editrice, “perché i giovani nati dopo il Duemila non hanno conosciuto il mondo senza internet: non è possibile pensare di formarli con le modalità di studio del Novecento”. Questa è la seconda pubblicazione, già nel 2001 aveva scritto La scuola che non c’è per Liberal Libri.
Il Miur lo ha visto molto da vicino come Sottosegretario negli anni del Ministro Moratti per poi approdare alla Presidenza della commissione Cultura della Camera e, a seguire, Assessore regionale all’istruzione, formazione e cultura in Regione Lombardia fino allo scorso anno. La Aprea taglia corto e guarda al presente mentre traccia una serie di esempi che secondo lei testimoniano quanto siamo diventati impermeabili agli stereotipi di genere nei confronti delle donne e che nemmeno ci accorgiamo più di come la tecnologia più moderna usi ancora la voce femminile per sedurre. E cita Alexa.
“Tornando alla scuola, non dico che il metodo tradizionale di insegnamento vada cancellato o superato però bisogna integrarlo con una didattica più attiva e più vivace senza togliere niente al libro che deve continuare a presidiare il ruolo di sintesi dei contenuti”.
I ragazzi vivono attaccati al digitale. Sicuri?
Proprio sulla frizione tra carta e digitale si fa sentire dal pubblico Paolo Tartaglino (AIE, VicePresidente del settore Educativo) che calca la mano su quanto si diano per scontate le dinamiche giovanili: i dati emersi dall’Osservatorio AIE-Miur, e presentati un mese fa a Firenze in occasione di Didacta, in effetti fanno arrossire i difensori del digitale a tutti i costi quando si parla di innovazione.
Solo il 5,3% dei libri digitali viene attivato dagli studenti italiani.
La ricerca è stata condotta tra gli editori del settore Educativo per valutare le modalità di studio dei ragazzi divisi tra carta e digitale. Altro dato è che il libro misto (comprensivo di una parte cartacea e una digitale e accompagnata da contenuti integrativi di natura digitale ma senza aggravio sul “prezzo di copertina”) è passato negli ultimi cinque anni dal 70% al 92%, mentre il libro di testo completamente digitale è addirittura rimasto fermo all’1%.
Se l’accesso medio annuo alle versioni dematerializzate del sapere è inferiore alle 6 volte c’è da chiedersi il perché di un simile dato sconcertante. Così come c’è da chiedersi se non dipenda dal fatto che i ragazzi vivono in modo scisso la vita fatta di impegni e doveri – tra cui la scuola – dalla vita fatta di passioni e piaceri – tra cui il mondo connesso.
Il primo passo è stato fatto: The Publishing Fair ha rotto il ghiaccio aprendo la strada di un confronto informale che permetta di smontare qualche pregiudizio e che non può escludere gli editori dalla politica e la politica dagli editori. Il rischio è che in Italia si continui a ragionare in malo modo solo di diversity e non di inclusione e di accessibilità che sono la ferita culturale più esposta.
Il rischio è che ci si affanni a parlare di innovazione e scuola 4.0 senza parlare davvero coi ragazzi, senza ascoltare cosa hanno da dire intorno ai libri su cui studiano e senza cogliere da loro come sarà il mondo di domani dato che forse lo sanno intuire meglio di noi adulti.
Se la scuola è ancora il posto migliore in cui vogliamo farli maturare, ci tocca tornare a fare tutti qualche esame (i nostri, possibilmente, di coscienza).
Foto di Domenico Grossi.
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