Ave IA: cosa non vogliamo capire dal discorso del Papa al G7

L’intervento del pontefice davanti ai leader del G7 riempie la lacuna nel dialogo sull’intelligenza artificiale e punta il dito contro i rischi che presenta, dalle applicazioni militari ai contraccolpi sull’ordine delle relazioni sociali, passando per i lavoratori

15.06.2024
Papa Francesco parla di IA al G7

3.176 parole. Il peso dell’intervento sull’intelligenza artificiale che papa Francesco ha tenuto al Forum Intergovernativo del G7 è racchiuso anche in questo numero. Perché se vogliamo provare a ricostruirne il valore – e lo si può fare solo cristallizzando il momento, marchiato a fuoco dagli esiti del voto europeo – dobbiamo iniziare da un calcolo: il numero di parole dedicate all’IA che erano contenute nei programmi ufficiali dei partiti italiani. Il calcolo l’ho fatto. E ho scoperto che la somma di tutte quante, includendo le formazioni politiche per intero, non supera il “formato” 3.176 (provate anche voi, i programmi sono ancora online).

Certo, parlare di algoritmi in una campagna elettorale consumatasi all’ombra del fattore astensionismo sarebbe stata un’operazione kamikaze, eppure resta il dubbio che all’assenza di parole corrispondesse anche l’assenza di sostanza e di idee. La presenza del pontefice al G7, allora, agganciata sin da subito al tema della rivoluzione artificiale, pare arrivata al momento giusto. Quasi a colmare una lacuna, con un jolly di peso, mentre il dibattito sull’Unione è tutt’altro che sopito. Il gioco di specchi ha un suo tornaconto politico ed è tutto italiano. Eppure non ci deve distrarre dalla sostanza, che nei fatti c’è stata, e pure in proporzioni abbondanti, per chi ha voglia di guardarla. Proviamo a farlo anche noi.

Papa Francesco contro l’uso militare e le ingiustizie sociali dell’IA

Poco tempo fa uno stimato collega ha scritto un post a caldo dopo l’annuncio della visita del papa al G7. Il Governo aveva appena comunicato che avrebbe parlato di intelligenza artificiale. Il fatto era definito «bizzarro» e, secondo l’autore, diceva «molto di cosa sia l’innovazione per la politica italiana: un misto tra etica e magia».

Non sono mai stata più in disaccordo, per due ragioni. La prima riguarda il fatto che il Vaticano è presente in modo assai vivace nel dibattito scientifico globale, basti guardare la qualità e il livello degli incontri organizzati solo nell’ultimo anno tra addetti ai lavori. Incontri, ahimè, spesso a porte chiuse, ma ad ogni modo comunicati all’esterno. La seconda ragione tocca nel vivo il significato di questa presenza al G7: in un mondo in cui tutte le agenzie sociali sono venute meno, chi avrebbe dovuto invitare il Governo per parlare di umanità, in senso etimologico, se non papa Francesco?

Adesso cerchiamo la sostanza dei contenuti offerti dal suo intervento, sostanza che non può essere colta se si fanno orecchie da mercante, e quelle dei leader in ascolto devono aver fischiato spesso. Impossibile non cogliere, ad esempio, un riferimento al conflitto in Israele nei passaggi dedicati all’uso militare di sistemi di intelligenza artificiale quasi del tutto automatizzati.

«Permettetemi di insistere» ha detto il Pontefice, aggiungendo «in un dramma come quello dei conflitti armati è urgente ripensare lo sviluppo e l’utilizzo di dispositivi come le cosiddette armi letali autonome per bandirne l’uso, cominciando già da un impegno fattivo per introdurre un sempre maggiore e significativo controllo umano. Nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita a un essere umano».

Le orecchie devono essere fischiate a Biden, poi, quando il Papa ha toccato il tema delle potenziali ingiustizie sociali portate dall’IA, creando «una più grande ingiustizia tra nazioni avanzate e nazioni in via di sviluppo, fra ceti sociali dominanti e ceti sociali oppressi, mettendo in pericolo la possibilità di una cultura dell’incontro a vantaggio di una cultura dello scarto».

Il 22 maggio scorso, in occasione della visita di Stato del Presidente U.S.A. in Kenya, 97 etichettatori di dati, moderatori di contenuti online e operatori di IA hanno scritto una lettera aperta a Biden e all’ambasciatrice Katherine Tai. «Scriviamo perché sappiamo che discuterete (con il presidente del Kenya, N.d.A.) di commercio, investimenti e innovazione tecnologica – questioni in cui la nostra forza lavoro ha un interesse diretto e personale. Lavoriamo per aziende americane come Facebook, ScaleAI, OpenAI tramite le loro società di outsourcing in Kenya. Le grandi aziende tecnologiche statunitensi abusano e sfruttano sistematicamente i lavoratori africani. In Kenya, queste aziende statunitensi stanno minando le leggi locali sul lavoro, il sistema giudiziario del Paese e violando le norme internazionali sul lavoro. Le nostre condizioni di occupazione equivalgono alla schiavitù moderna. Qualsiasi discussione commerciale tra Stati Uniti e Kenya deve tenere conto di questi abusi e garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori».

Gli esiti della missiva non sono noti, ma tanto basta per significare che papa Francesco ha sollevato questioni che riguardano molto l’oggi e per nulla il futuristico domani.

Se l’intelligenza artificiale rischia di diventare un Grande Fratello

C’è un altro passaggio del suo intervento che vale la pena notare, perché inchioda al muro uno degli effetti più dirompenti e incombenti della rivoluzione artificiale. È questo: «La tecnologia rappresenta sempre una forma di ordine nelle relazioni sociali e una disposizione di potere, che abilita qualcuno a compiere azioni e impedisce ad altri di compierne altre».

L’ordine delle relazioni sociali è affidato alle leggi, ma è anche basato su una tacita attestazione di fiducia che la collettività attribuisce a chi la governa; è correlato alla concentrazione di potere, che, nel caso di Big Tech, appare enormemente sbilanciato a favore di quest’ultima. Serve, dunque, porre attenzione a non superare la soglia che delimita il confine tra uno sviluppo tecnologico sano e un altro foriero di potenziali implosioni dell’ordine sociale.

A questo dovrebbe servire AI Act, il super regolamento europeo sull’IA. Prima del voto europeo, The Good Lobby Italia e Hermes Center hanno pubblicato un policy paper sui vuoti normativi di AI Act e sui rischi intrinsechi che comporta per i diritti umani e la data justice nelle tecnologie di IA. Contiene raccomandazioni concrete per orientare al bene comune l’applicazione del regolamento in Italia e solleva questioni che riguardano tutti noi.

Riguardo i sistemi di riconoscimento biometrico negli spazi pubblici, ad esempio (sui quali AI Act lascia ampio spazio, più di quello che si è raccontato) invita a «considerare le conseguenze impreviste dalla posa di un’infrastruttura tecnologica di tale portata: ciò che oggi ci appare come implausibile e distante dai valori comuni condivisi – sorveglianza di massa, sorveglianza di specifiche minoranze – non è detto che diventi in futuro una pratica invece accettata e, con l’infrastruttura già presente, immediatamente attuabile».

In relazione agli algoritmi per la gestione dei flussi migratori, inoltre, raccomanda che «la gestione dei database, come AFIS, che raccolgono dati biometrici di persone appartenenti a categorie vulnerabili come i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo, così come il funzionamento degli algoritmi utilizzati dal sistema SARI della Polizia di Stato, siano trasparenti e accessibili a giornalisti, organizzazioni non governative e osservatori nazionali e internazionali per i diritti umani».

I fronti di potenziale vulnerabilità dell’ordine delle relazioni sociali, infatti, con l’intelligenza artificiale si ampliano, non si restringono, e l’intervento del pontefice lo ha ricordato ai grandi della Terra. Lo ascolteranno?

Sarebbe già abbastanza se avessero chiaro che il progresso non è mai gratuito. La civiltà, sì.

 

 

 

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Photo credits: fotogramma dallo streaming dell’intervento di papa Francesco al G7, dal canale YouTube di Giorgia Meloni

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