Il Green pass mette in crisi i sindacati: i grandi arrancano, gli autonomi ci provano

La certificazione verde ha generato una rabbia sociale che i sindacati confederali faticano a intercettare. Nascono così alcune sigle autonome, con rappresentanti provenienti perfino dall’estrema destra. Ne parliamo con Walter Montagnoli di CUB e Alessandro Pagano di CGIL Lombardia.

Altri dieci giorni di sciopero dal 21 al 31 ottobre. Li ha proclamati nel pomeriggio di mercoledì la FISI, sindacato con iscritti in prevalenza nel mondo della scuola, in prima linea contro il Green pass. La sigla è nuova nel panorama nazionale, ed è una di quelle che in questi giorni è stata presente nelle piazze italiane per protestare contro l’obbligo voluto dal governo Draghi di esibire il certificato verde per tutti i lavoratori.

Ma non è l’unica sigla che si sta opponendo al Green pass. Nelle piazze in questi giorni sono comparse le bandiere dei COBAS; niente di male se non fosse che nel direttivo nazionale della FISI ci sono degli ex candidati di Casa Pound alle elezioni, mentre i COBAS e i sindacati di base si richiamano espressamente all’estrema sinistra.

Insomma, sembra quasi una riedizione degli opposti estremismi in salsa sindacale. Al centro ci sono poi i sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL), che hanno espressamente spiegato come siano a favore dell’obbligo vaccinale, chiedendo anche che lo Stato, in mancanza di quello, fornisca i tamponi gratuiti ai lavoratori.

Una posizione non sufficiente per la piazza, che ormai non protesta solo contro il Green pass, ma dà sfogo a una rabbia sociale maturata in un anno e mezzo di chiusure e restrizioni. Anche le sigle e i movimenti che si sono messi in luce per la battaglia sui Green pass stanno valutando di continuare la loro lotta allargando i temi dei quali si occupano e cercando di inserirsi in un fronte di opposizione all’attuale governo, che a livello sindacale e politico è ormai a tutti gli effetti stato monopolizzato dalla destra e dall’estrema sinistra.

I sindacati confederali e la crisi della rappresentanza: “C’è uno spazio sociale che faticano a intercettare”

Le immagini dei circa 1.500 manifestanti che assaltano la sede della CGIL hanno fatto il giro dell’Italia, anche perché in prima fila c’erano alcuni esponenti di Forza Nuova, Roberto Fiore e Giuliano Castellino. La settimana successiva è arrivata la reazione della CGIL, che ha indetto un grande sciopero come risposta, ma già la domenica precedente si sono svolti dei presidi di solidarietà nelle singole sedi.

Alcuni militanti sono rimasti sorpresi dal vedere parte dei sindacati autonomi portare la loro solidarietà, ma anche alcuni di questi fischiare all’indirizzo della Camera del Lavoro di Milano, mentre passavano in un corteo contro il Green pass.

«Ci sono degli iscritti al sindacato – spiega Walter Montagnoli, della segreteria nazionale della CUB – che condividono la lotta su questi temi e hanno partecipato alle iniziative no Green pass. Noi ufficialmente non abbiamo partecipato a manifestazioni di questo tipo né le abbiamo promosse. Noi rimaniamo a favore dei vaccini, ma siamo aperti ai dibattiti che riteniamo legittimi. Il problema, come ha dimostrato la nostra manifestazione dell’11 ottobre, è che all’interno di queste piazze esiste un disagio che non è solo legato al Green pass, ma in generale alle politiche del governo Draghi e alla crisi economica. Le file fuori dalle Caritas o da associazioni di volontariato come Pane Quotidiano a Milano sono una realtà davanti agli occhi di tutti.»

C’è quindi uno spazio sociale che i sindacati storici faticano a intercettare e che potrebbe diventare il mare nel quale nuotano molte altre sigle, come nel caso dei lavoratori della logistica, che ormai sono in prevalenza rappresentati dai sindacati autonomi. «La CGIL – continua Montagnoli – e gli altri sindacati non sono più in grado di mobilitare le piazze né hanno il polso di questa situazione».

Eppure per chi è cresciuto alla scuola del sindacalismo di base vedere le proprie bandiere in una piazza dove c’è una presenza dell’estrema destra dovrebbe fare impressione. «Questo spazio politico non può essere riempito né dalla destra né dall’estrema destra. I provvedimenti del governo Draghi vengono condivisi anche da Lega e Fratelli d’Italia, e fuori da questo perimetro ci sono partiti da “zero virgola”. Il populismo prova a inserirsi su tematiche di disagio economico, ma le loro ricette non attecchiscono».

Che cos’è la FISI, il sindacato anti-Draghi con esponenti di estrema destra

Al di là dell’assalto di Forza Nuova alla sede della CGIL, il tentativo di far sentire la voce dell’estrema destra nelle piazze c’è, anche se finora si è disperso per mancanza di numeri.

Nei giorni che precedevano lo sciopero dell’11 ottobre si è affermata all’attenzione pubblica la sigla FISI. In molti tra i sindacalisti della scuola e della sanità – settori in cui il nuovo sindacato sembra avere più iscritti – si sono chiesti chi fossero. I temi portanti della loro protesta riguardano soprattutto il no al Green pass e l’opposizione al governo di Mario Draghi. A livello organizzativo, pur indicendo diversi scioperi a oltranza e dimostrandosi molto battaglieri, sembrano però avere ancora delle difficoltà: molti iscritti hanno faticato a trovare la comunicazione dello sciopero sui canali ufficiali.

Quello che però ha suscitato l’attenzione degli addetti ai lavori è stata la provenienza politica dei principali esponenti, che risulterebbero legati a Casa Pound. In una nota riservata, circolata tra i sindacalisti della CGIL, si faceva presente come Pasquale Bacco fosse stato candidato alla Camera come esponente di Casa Pound nel 2008, e come sindaco di Bitonto sempre per il partito che si richiama ai valori della destra sociale.

Il primo sciopero del FISI effettivamente si è risolto con un’adesione minima – poche decine di persone – ma il sindacato sembra insistere su questo tasto anche per posizionarsi in settori dove la tematica Green pass è molto sentita.

Alessandro Pagano, CGIL Lombardia: “Si appropriano dei flash mob. Serve una legge che disciplini la rappresentanza”

Da anni, peraltro, il tema della rappresentanza è posto dalla CGIL, che già in passato ha chiesto una legge che disciplini la rappresentanza dei sindacati in base al numero degli iscritti, restringendo il perimetro di quanti possono stipulare contratti a livello nazionale.

«L’articolo 39 – spiega Alessandro Pagano di CGIL Lombardia – dice che i lavoratori possono organizzarsi in sindacati con mandato di rappresentanza. È un principio generale che richiama anche alla rappresentatività; è una prescrizione costituzionale che richiede un dispositivo legislativo che dia una struttura organica. Questa legge non è mai stata fatta. Storicamente non è mai stato un grosso problema, perché i confederali sono sempre stati presi più in considerazione. Ma da almeno dieci anni si sono moltiplicate le organizzazioni sindacali funzionali a sottoscrivere dei contratti, pur non avendo alle spalle rappresentanze certificate. In molti casi sottoscrivono accordi con associazioni di impresa, a loro volta scarsamente rappresentative, ma in mancanza d’altro questi contratti assumono valore nazionale».

Il caso che nei mesi scorsi è arrivato all’attenzione di tutti i media è stato quello del contratto dei rider firmato dal sindacato UGL. Le sigle sorte alle spalle della galassia Green pass come il FISI, però, per il momento sembrano non preoccupare gli altri sindacati, dal momento che la loro struttura organizzativa è molto limitata.

«Più che organizzare scioperi – spiega Pagano – mettono il cappello su dei flash mob che nascono spontaneamente. A volte basta emettere un comunicato stampa per dire che c’è stato uno sciopero, al quale nella realtà non ha aderito nessuno». In molti casi, infatti, gli scioperi proclamati da piccole sigle nel mondo della scuola hanno colto di sorpresa gli stessi dirigenti scolastici, che non hanno trovato riscontro.

Photo credits: terzobinario.it

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