Il lavoro tra le due rivoluzioni

Giuseppe Sala cerca disperatamente di riportare i milanesi negli uffici che ormai hanno abbandonato per salvare l’indotto del nostro mal lavorare: ristoranti e trasporti sono i primi e più colpiti da un cambio epocale avvenuto in meno di un trimestre. Seguono a ruota i proprietari degli immobili. In Inghilterra, dove vivo, la musica è simile: […]

Giuseppe Sala cerca disperatamente di riportare i milanesi negli uffici che ormai hanno abbandonato per salvare l’indotto del nostro mal lavorare: ristoranti e trasporti sono i primi e più colpiti da un cambio epocale avvenuto in meno di un trimestre. Seguono a ruota i proprietari degli immobili.

In Inghilterra, dove vivo, la musica è simile: Boris Johnson non ha fatto mistero che far ripartire l’economia tradizionale è ora una priorità, e dal 1° agosto si cambia da work from home if you can a go to work if you can. Insomma, tutti allegramente stipati in metropolitana per salvare i ristoranti (e sovraccaricare gli ospedali).

In entrambi i Paesi le regole per il distanziamento fisico sono state riviste al ribasso per agevolare (leggi: forzare) la ripresa del comparto ristorazione e il ripopolamento degli uffici. In entrambi i Paesi le maggiori testate sfoderano capolavori di giornalismo mirati a salvare la vecchia economia (Economist, 11 Luglio 2020, “Sourdough economics: no need to knead”; Il Corriere della Sera, 19 giugno 2020, intervista a Barbara Casagrande: “Smart working? Esperienza positiva, ma ora torniamo in ufficio. Servono regole ed equilibrio”).

 

Due rivoluzioni, una sola epoca. E il lavoro nel mezzo

Da sempre ho abbracciato innovazione, nuove tecnologie, ma soprattutto nuove culture e modi di vivere. Forse per questo vivo questi mesi con un mix di angoscia (per le paure naturali che tutti abbiamo di un virus da cui poco possiamo difenderci) ed entusiasmo: perché ci troviamo davanti a una svolta epocale che cambierà la società. E noi siamo quelli a cui è data la rara opportunità di disegnare il futuro.

La storia ci ha messo di fronte a cambiamenti rivoluzionari che di rado sono stati dolci e progressivi. Solo quando ci troviamo di fronte a un cambiamento esistenziale noi, come specie, abbiamo la straordinaria capacità di reinventarci e progredire. A volte i cambiamenti sono avvenuti per un’innovazione tecnologica che ha preso lentamente piede e poi è improvvisamente esplosa (la rivoluzione industriale del XVIII e XIX secolo, la rivoluzione digitale iniziata nel 1980). Altre volte sono state le guerre, come la guerra civile americana che ha profondamente cambiato la storia degli Stati Uniti, la Rivoluzione Francese, le due guerre mondiali. Infine ci sono le epidemie, come quella che stiamo vivendo o quella che ha cambiato per sempre la storia dell’Impero romano.

La pandemia attuale ha un elemento di novità rispetto a eventi simili del passato: avviene in concomitanza con la rivoluzione digitale e il rapido cambiamento geo-politico dove l’Oriente torna a prevalere sull’Occidente. È la tempesta perfetta: il modo in cui queste forze e correnti si uniranno disegnerà il nostro futuro.

 

L’opportunità per l’Italia: forse s’è desta per davvero

Da diversi anni mi occupo di ingegneria ferroviaria. La natura del mio settore è conservatrice: grandi opere che richiedono pianificazione avanzata e previsioni di lunghissimo termine. Eppure, anche qui la pandemia ha creato movimenti tettonici dirompenti.

Un esempio che racchiude molte informazioni è una telefonata che ho avuto con i vertici decisionali di Melbourne. Lì si sta costruendo un passante ferroviario che servirà ad aumentare la capacità verso il CDB (Central Business District). Il valore del progetto è di circa 7 miliardi di euro. Le opere di perforazione sono in stato avanzato. Come detto prima: grandi progetti, costi elevati, tempi lunghi. Eppure all’improvviso tutto è cambiato. Durante la telefonata ci è stato chiesto se è possibile rivedere i nostri modelli. Il motivo? La maggioranza delle aziende con sede al centro hanno deciso che abbandoneranno l’ufficio tradizionale a favore di nuovi modelli di lavoro in remoto: non c’è più bisogno di una nuova metropolitana da 7 miliardi.

Le imprese private hanno abbracciato il cambiamento e sono già nel processo non solo di adattarsi al nuovo, ma di crearlo e dipingerlo con i loro colori. Ma ancora più forte è quanto viene dalle amministrazioni pubbliche, che hanno preso coscienza dei cambiamenti e risposto in tempi quasi istantanei. Una reazione antitetica a quello che osserviamo in Europa. Questa è una chiave di lettura che ci dà un anticipo su chi uscirà vincitore e chi meno da questa rivoluzione.

E questa è l’opportunità che l’imprenditoria italiana non può mancare. Ormai per decenni si è manifestata evidente l’arretratezza del sistema Italia: incapacità di adattamento sistemico, scarsità di risorse innovative, investimenti nell’educazione e nella ricerca pressoché inesistenti (o mal gestiti e indirizzati), crescita demografica negativa. Per decenni si è discusso su come invertire la tendenza, con progressi discutibili.

Si è voluto artificialmente promuovere il cambiamento diffondendolo “a norma di legge”. Una classe politica manifestamente incapace (a prescindere dal colore, con alcune notevoli eccezioni), in congiunzione con una classe imprenditrice conservatrice, ha invano tentato di disegnare soluzioni artificiali per poi spingerle dall’alto verso il basso. La storia ci insegna che molto difficilmente questo funziona, e i risultati sono manifesti. I cambiamenti epocali sono di rado programmati e pianificati, e avvengono dalla spinta innovatrice e dallo spirito di adattamento provenienti dal basso: dai singoli individui e dalle filiere economiche, guidati dagli spiriti innovatori.

L’opportunità per l’Italia è di poter rompere il circolo vizioso in cui si trova ed emergere come realtà innovatrice e leader. In questi mesi l’Italia ha già dato segni fortissimi di innovazione, riconosciuti da tutti all’estero. Quando l’epidemia è scoppiata l’Italia ha adottato misure di contenimento e limitazione parziale delle libertà personali mai introdotte in una democrazia occidentale. L’ha fatto in una situazione emergenziale senza precedenti nella storia moderna, in cui era facilissimo fare errori macroscopici; ma l’ha fatto con successo. Tant’è che il resto d’Europa, che era lì a osservare e prendere nota, ha sostanzialmente replicato il modello italiano. La famosa fantasia italiana di fronte a sfide mai immaginate ha catapultato l’Italia a leader con gli altri Paesi a seguito. La vera sfida è trasformare azioni estemporanee o genialità individuali in crescita e trasformazione collettiva.

 

Il lavoro in remoto non è questione di dove, ma di come

Si stanno già versando fiumi di inchiostro e sedicenti esperti già pontificano su quale sarà il futuro. Tutti hanno decretato la fine dell’ufficio e nascita della nuova araba fenice: il lavoro in remoto. È mia abitudine diffidare dai pontificatori: non esistono verità assolute, ancor meno in periodi di cambiamento.

In riferimento al lavoro in remoto non starò qui a dilungarmi. Harvard Business Review ha pubblicato un ottimo articolo il 15 luglio dal titolo “The Implications of Working Without an Office”, che ne copre in maniera esaustiva i pro e contro.

La vera innovazione non è nel dove si lavori, ma nel come: nei processi. Un mondo nuovo, in cui si sarà sempre più interconnessi, dove le città non rappresenteranno più il fulcro delle attività, la comunicazione sarà istantanea ma asettica, le catene di distribuzione e logistica saranno completamente sconvolte, intere industrie verranno ridimensionate a favore di nuove che ancora non possiamo immaginare. Un mondo simile non richiede che si lavori da casa, ma che si pensi in maniera radicalmente diversa.

Il nuovo professionista propone soluzioni e innovazioni di processo per adattare la società al nuovo presente.

 

Il cambiamento alle porte: che cosa possono fare i dirigenti? E le persone?

Il mercato del lavoro sarà soggetto a una rivoluzione inesorabile, traumatica, carica di opportunità. Coloro che non si adatteranno saranno lasciati ai margini, perché l’innovazione e i cambiamenti della storia sono inesorabili e inarrestabili. Questo non vuol dire che si debba lasciare indietro i meno fortunati, quelli con minor capacità di adattamento o con situazioni che gli rendono improbabile l’inserimento in nuovi contesti. Tutt’altro. La società civile ha il dovere di promuovere il cambiamento e al contempo aiutare coloro che hanno meno facilità a seguire.

Oggi i leader hanno il dovere di innovare, di indirizzare il cambiamento e di pretendere che avvenga. Come dirigenti di azienda, dobbiamo esigere che le società di selezione del personale cambino da passacarte a selezionatori professionali di talenti: innovatori, entusiasti, competenti, ambiziosi. Abbiamo il dovere di ispirare i nostri colleghi, e con il loro aiuto guidare il cambiamento.

Come persone abbiamo il dovere di consegnare ai nostri figli un mondo in crescita, sostenibile dal punto di vista ecologico ed economico, perché la vera sfida non è passare oltre la pandemia, ma proporre soluzioni all’inesorabile cambiamento climatico in divenire. Se esiste una sfida e un’opportunità è nel disegnare una società cosciente di questi cambiamenti, proiettata a soluzioni innovatrici per contrastarne la minaccia.

 

 

Photo credits: chiefexecutive.net

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