Influencer e dintorni: la prima guida antiguru per le imprese

No. Non è l’ennesimo post contro gli influencer. Nemmeno contro quelli che sono bravissimi solamente a dire che sono influencer. Questa è una riflessione a tuo favore, caro imprenditore. Che tipo di imprenditore sei? Un giorno entri in azienda sbraitando: “ha ragione Lui, dobbiamo fare marketing esperienziale!” Ti muovi fra i corridoi come una biglia […]

No. Non è l’ennesimo post contro gli influencer.
Nemmeno contro quelli che sono bravissimi solamente a dire che sono influencer.
Questa è una riflessione a tuo favore, caro imprenditore.

Che tipo di imprenditore sei?

Un giorno entri in azienda sbraitando: “ha ragione Lui, dobbiamo fare marketing esperienziale!”
Ti muovi fra i corridoi come una biglia impazzita, annunciando il quarto segreto di Fatima: “Ora faremo storytelling e arriveranno i clienti”.
Entri in ufficio del tuo povero responsabile marketing: “Alzati e apri una fanpage”.
E quando ti chiede: “Che ce ne facciamo, se abbiamo un B2B super verticale?”, tu gli rispondi: “Non sei abbastanza motivato, non sai annusare i clienti. Ho deciso: chiamiamo Lui come consulente”.

La domanda sorge spontanea: perché continui ad affidare il business agli showmen e lo show ai burocrati? La domanda è seria e pretende una risposta seria, ossia prima di tutto culturale.
Il consulente che ruba soldi (sì!) all’imprenditore è una figura mitologica che da secoli pervade l’intero ecosistema italiano. I motivi sono noti: la sua capacità di incontrare un forte bisogno (fatturato), l’abilità nel sapersi vendere come soluzione immediata, la competenza nella comunicazione non verbale e paraverbale: silenzi, gesti, sguardi che accompagnano le parole giuste condite con un tono e uno stile plasmati da anni di esperienza.

L’influencer, d’altro canto, c’è sempre stato. Nella compagnia di amici di scuola, nel gruppo di colleghi, nella vita di tutti noi. C’è sempre qualcuno che realmente è in grado di influenzare il comportamento, anche d’acquisto, di altri: la pubblicità l’ha capito da subito.

Ma qual è l’impatto devastante del digitale in questo meccanismo?

Se non analizziamo almeno sinteticamente questi due aspetti, non riusciremo mai a bonificare il mercato dall’inquinamento creato dai falsi influencer che diventano cattivi consulenti:

1 – Il digitale rompe i vincoli di tempo e spazio

Lo strumento di influenza pre-digitale (o meglio pre-social media) era quasi esclusivamente l’incontro di lavoro: in azienda, in un evento, al bar. Lo spazio e il tempo facevano in modo che l’unico elemento di potenziale viralità fosse il passaparola, anche telefonico. Ma, in ogni caso, la rete di relazione che si poteva creare era limitata e la sua profondità era più strutturata. Insomma si poteva bluffare, ma fino a un certo punto.

2 – Il digitale non dà solo voce alla massa, il digitale la crea
La valutazione sulla quantità di persone che “seguono” un influencer non è per nulla negativa a priori. In realtà, qualità e quantità sono elementi imprescindibili: è da considerarsi moralmente inaccettabile – per capirci – anche la qualità non percepita o non fatta percepire.
Qui però il tema è un altro: la quantità di persone attive nei social crea un riverbero di microinfluenze che – se vivessero nel bar del paese – morirebbero lì. I meccanismi del social web invece fanno in modo che si autoalimentino fino a costruire metapercezioni deviate.
Anzi, un’unica metapercezione deviata dotata di una forza così incisiva da essere molto più grande della somma delle singole influenze e così strutturata da costituire un unico meta-soggetto. Insomma: “Non può non essere bravo, Lui”.
Non è molto distante, purtroppo, dai meccanismi del cyberbullismo.

L’unica soluzione per le imprese

A questo punto, caro imprenditore, è giusto chiederselo.

E la risposta è: l’educazione culturale. Sensibilizzarti a tornare di nuovo a pensare al fine e non al mezzo. Qual è l’obiettivo? Fare business. A cosa serve il marketing? Ad aiutarti a fare business. Perché si chiama “social media marketing”? Perché è – senza dubbio – marketing.
Semplice, se vuoi.

Ecco perché qui ti viene proposto uno strumento concreto, pratico e pronto all’uso.

Queste 5 linee guida non ti impediranno di contattare un cattivo consulente, ma ti aiuteranno a riconoscerlo all’istante e a disinnescarlo in futuro.

1 – Parla prima di ascoltare

Entra in azienda e comincia a decantare le potenzialità del web? L’engagement e lo storytelling?
Caccialo.
Il bravo consulente parte dalle domande: sul tuo business, sui tuoi concorrenti, (…).
Anche – anzi soprattutto – se gli avevi chiesto “solo una fanpage”.

2 – Parla di strumenti e non di obiettivi
Appena entrato ha già la ricetta pronta? Ti spiega che devi usare i social perché sennò non fai brand e nessuno ti legge?
Caccialo.
Il bravo consulente cerca di capire le vere esigenze di business. Studia i problemi e definisce assieme a te nuovi obiettivi.

3 – Analizza le attività e non le risorse

Stila il decalogo del buon consulente? “Prima rifai il sito, poi fai una campagna di advertising, poi organizzi un webinar, poi lettera e testamento”?

Caccialo.
Il bravo consulente, all’inizio di qualsiasi chiacchierata sulle attività da pianificare, è capace di smontare perfino la tua idea di “aprire una fanpage”. Ti chiede, nell’ordine: 1) c’è un budget per raggiungere gli obiettivi? 2) qual è il tempo-uomo aziendale a disposizione? 3) quali sono le competenze interne fra i tuoi dipendenti?
Quanti errori strategici si fanno, ben prima di iniziare a lavorare, perché non si imposta un piano sulla base delle reali risorse a disposizione.

4 – Non analizza i tuoi target

Ti propina le classiche profilazioni: genere, età e luogo? Non ti fa nessuna domanda sui tuoi target?
Caccialo.
Il bravo consulente cerca di capire insieme a te – e in futuro ai tuoi commerciali – quali sono i comportamenti, atteggiamenti, abitudini di acquisto. La profilazione digitale è strutturata diversamente da quella cui tu sei abituato. Come è fatta? Chiedilo a un bravo consulente.

5 – Le sue promesse son fatte solo di parole e non di numeri

Quanto ti parla di risultati attesi non usa mai nemmeno un numero? Alla domanda: “Mi racconti una sua consulenza di cui è soddisfatto?” (fagliela!) non ti propone nemmeno un risultato tangibile?
Caccialo.
Il bravo consulente, dopo aver definito tutti gli aspetti, propone e condivide indicatori di performance misurabili: serviranno a te per capire se il marketing avrà successo e a lui per modificare continuamente le strategie nel caso di cali di prestazione.

Chiariamoci. Non è facile mettere in pratica queste indicazioni: ti costa tempo, impegno, anche denaro. È umana la tua resistenza ad aprire le viscere del tuo business, la tua paura di fallire, la tua brama del successo immediato.
E infine, diciamolo, conta anche il fatto che speravi di aver trovato magicamente la tua soluzione e ora devi rimettere tutto in gioco.

Ma almeno ora non hai più motivi di lamentarti degli altri: da ora sarà solo responsabilità tua.

E – se lo vedi bene – è un gran bel vantaggio.

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