La bassa redditività media del lavoro nella pubblica amministrazione è aggravata dalle ridotte prospettive di progressione di carriera, quindi di aumento dello stipendio oltre gli scatti di anzianità e gli adeguamenti contrattuali.
Prendiamo il caso di un tecnico del digitale, tra le professioni più richieste dai datori di lavoro pubblici e privati. Entrando in un Comune con il livello D1, primo gradino della carriera dirigenziale, guadagnerebbe poco più di 1.500 euro al mese incrementabili con l’incentivo derivante da un “incarico di responsabilità”, ad esempio l’esecuzione di un procedimento complesso collegato a un finanziamento del PNRR, che si attesta in media sui 2.000 euro annui e comporta l’assunzione di responsabilità di tipo erariale, civile e penale. Accettando di lavorare in un’azienda privata lo stipendio d’ingresso sarebbe più prossimo ai 2.000 euro, gli incentivi e i benefit più corposi, superiori e rapide le prospettive di fare carriera, di lavorare in contesti migliori e di guadagnare di più in un mercato assai effervescente. Il rischio di essere licenziati passa decisamente in secondo piano.
Ecco il motivo della scarsa adesione degli iscritti agli Ordini professionali, che compongono la Rete delle Professioni Tecniche e il Comitato Unitario Professionisti, all’invito a inserire il proprio curriculum nell’area dedicata al reclutamento della Pubblica Amministrazione del portale InPA (il sito pensato per facilitare l’accesso ai concorsi e favorire l’incontro domanda/offerta di lavoro).
Il 16 luglio del 2021, l’allora ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta sottoscrisse un protocollo d’intesa con l’associazione delle Professioni Italiane rappresentata da Armando Zambrano, che a SenzaFiltro sintetizza così l’esito pratico: “Non abbiamo avuto grandi risultati”. Il motivo? “La pubblica amministrazione, in generale, sottovaluta le professioni tecniche, a cui è destinato un carico di lavoro e di responsabilità non adeguato alla retribuzione”; a maggior ragione nel caso del PNRR, perché “sapere che il rapporto di lavoro terminerà nel 2026 di certo non aiuta”.
Ecco perché “il professionista finisce per andare via alla prima occasione” offertagli dal sistema privato, e perché il presidente di Professioni Italiane propone la “istituzione di un ruolo specifico” all’interno della PA, dedicato agli iscritti agli Ordini professionali, “che valorizzi il loro apporto, essenziale in quasi tutte le procedure e non solo in relazione all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.