Posto fisso a tempo determinato. E la PA non trova più dipendenti

Nella pubblica amministrazione è vacante un posto su dieci di quelli banditi, con il Nord maglia nera delle rinunce. E gli enti si contendono i dipendenti a suon di contratti sempre meno appetibili. Che cosa succede al posto fisso?

Un concorso pubblico con tutti i banchi vuoti: la pubblica amministrazione fatica a trovare dipendenti

Un’altra mappa socioeconomica si può aggiungere alle tante già tracciate da istituti di ricerca, università, rappresentanze sindacali e datoriali. È quella dei luoghi dei concorsi pubblici falliti. A leggere le cronache locali del solo ultimo mese: in Friuli banditi 639 posti da infermiere e sono stati 124 i partecipanti all’esame orale; in Molise si cercano 25 medici per il pronto soccorso e non c’è un solo candidato; un piccolo Comune della provincia di Treviso ha bisogno di due impiegati di categoria C e non trova chi voglia sedersi a quelle scrivanie.

 

 

Si potrebbe anche realizzare una sotto-mappa, quella delle migrazioni da un’amministrazione all’altra. A Bari, ad esempio, si registrano le dimissioni di 51 impiegati comunali che hanno preferito l’inserimento nei ranghi della Regione Puglia e di altri enti che offrono retribuzioni un po’ più alte e migliori prospettive di carriera.

La pubblica amministrazione non riesce più ad attrarre candidati: vacante un posto su dieci

Anche la pubblica amministrazione sta scoprendo quanto sia difficile reclutare personale e scongiurare il rischio della concorrenza tra datori di lavoro. Anche privati, perché perfino la garanzia del “posto a vita” non è più sufficiente a motivare la partecipazione a un concorso e l’accettazione dell’assunzione.

Lo ha certificato Formez PA – Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l’ammodernamento della PA, nel rapporto La selezione di personale per le pubbliche amministrazioni, realizzato indagando gli esiti di 168 bandi di concorso gestiti tra il 2010 e il 2022, per la ricerca di 366 profili professionali e una dotazione di 47.448 posti disponibili, che hanno generato oltre 3 milioni di candidature, oltre 200 graduatorie e circa 75.000 candidati idonei.

Dodici anni in cui le procedure concorsuali si sono via via semplificate – per velocizzare i tempi di svolgimento delle prove e delle assunzioni – e sono aumentate di numero – grazie al superamento del blocco del turn over e all’avvio del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Eppure, tutto il fabbisogno espresso dalla PA non è stato soddisfatto: fatti 100 i posti messi a bando, 16 sono rimasti vacanti.

Di più: a leggere i dati della Ragioneria generale dello Stato, il personale di Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni si è ridotto anche nel 2022, l’anno dell’annunciato boom di assunzioni. La differenza rispetto al 2021 è inferiore all’1%, in numeri assoluti si tratta di qualche centinaio di unità, e però conferma che non è bastato ridurre la durata dei concorsi dai 493 giorni di quelli banditi da Formez PA prima della pandemia ai 169 giorni di quelli post pandemia per ottenere il pieno soddisfacimento del fabbisogno occupazionale della pubblica amministrazione.

L’associazione in house di Palazzo Chigi certifica che nel 2021 solo il 60% delle procedure concorsuali si è concluso con la copertura totale dei posti disponibili, mentre i posti assegnati sono stati l’80,1%. Nei primi sei mesi del 2022 i posti vacanti sono diminuiti in percentuale a quelli banditi, fermandosi al -10,1% rispetto al -19,9% dell’anno precedente, ma la tendenza non è cambiata.

La maggior parte degli idonei è al Sud: al Nord il doppio delle rinunce. E il “posto fisso” è spesso a tempo determinato

I due macro-fattori negativi individuati dal centro studi di Formez PA sono: la bassa attrattività della pubblica amministrazione per i profili specialistici tecnici e l’incremento dell’offerta di contratti a tempo determinato. La percentuale di ingegneri e architetti assunti rispetto ai posti banditi è del 28,4%; è pari al 62,5% del totale disponibile per la copertura delle posizioni di statistico e informatico; sono rimaste vacanti il 58,3% delle posizioni aperte per analista di mercato del lavoro.

 

 

Ancora, il 53% delle posizioni aperte nel biennio 2021-22 prevede il tempo determinato, che ha generato l’80% di copertura, a fronte dell’88% dei posti a tempo indeterminato.

La scelta di un rapporto contrattuale stabile rispetto a uno precario, inoltre, è la motivazione di oltre la metà dei casi di migrazione da un’amministrazione all’altra per quanti partecipano a più di una procedura. E ne sono tanti. Per i soli contratti gestiti da Formez PA (265.000 nel periodo 1 gennaio 2021-30 giugno 2022), pari al 41,5% del totale dei candidati. Di questi, il 45% ha partecipato a due concorsi, il 32,7% a tre o quattro, il 23,4% a più di cinque concorsi.

 

 

Altro fattore scoraggiante è lo spostamento da Sud a Nord. Il 61% dei candidati idonei è residente in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, mentre la maggiore quantità di posti disponibili è nelle Regioni centro-settentrionali, dove il costo della vita è diventato difficilmente sostenibile per una persona, o peggio una famiglia, che dovrebbe campare con il solo reddito d’ingresso nella pubblica amministrazione – in media 1.500 euro. In città come Roma o Milano o Firenze, a stento si pagano fitto, bollette e trasporti. L’esempio probante fatto da Formez PA è l’ultimo concorso bandito dal ministero della Giustizia per addetti agli Uffici di processo: le rinunce in una sede del Sud sono state il 10%; al Centro il 17%; al Nord il 19%, dove maggiore è la carenza di personale.

Chi va nel pubblico non può fare carriera (e guadagna meno)

La bassa redditività media del lavoro nella pubblica amministrazione è aggravata dalle ridotte prospettive di progressione di carriera, quindi di aumento dello stipendio oltre gli scatti di anzianità e gli adeguamenti contrattuali.

Prendiamo il caso di un tecnico del digitale, tra le professioni più richieste dai datori di lavoro pubblici e privati. Entrando in un Comune con il livello D1, primo gradino della carriera dirigenziale, guadagnerebbe poco più di 1.500 euro al mese incrementabili con l’incentivo derivante da un “incarico di responsabilità”, ad esempio l’esecuzione di un procedimento complesso collegato a un finanziamento del PNRR, che si attesta in media sui 2.000 euro annui e comporta l’assunzione di responsabilità di tipo erariale, civile e penale. Accettando di lavorare in un’azienda privata lo stipendio d’ingresso sarebbe più prossimo ai 2.000 euro, gli incentivi e i benefit più corposi, superiori e rapide le prospettive di fare carriera, di lavorare in contesti migliori e di guadagnare di più in un mercato assai effervescente. Il rischio di essere licenziati passa decisamente in secondo piano.

Ecco il motivo della scarsa adesione degli iscritti agli Ordini professionali, che compongono la Rete delle Professioni Tecniche e il Comitato Unitario Professionisti, all’invito a inserire il proprio curriculum nell’area dedicata al reclutamento della Pubblica Amministrazione del portale InPA (il sito pensato per facilitare l’accesso ai concorsi e favorire l’incontro domanda/offerta di lavoro).

Il 16 luglio del 2021, l’allora ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta sottoscrisse un protocollo d’intesa con l’associazione delle Professioni Italiane rappresentata da Armando Zambrano, che a SenzaFiltro sintetizza così l’esito pratico: “Non abbiamo avuto grandi risultati”. Il motivo? “La pubblica amministrazione, in generale, sottovaluta le professioni tecniche, a cui è destinato un carico di lavoro e di responsabilità non adeguato alla retribuzione”; a maggior ragione nel caso del PNRR, perché “sapere che il rapporto di lavoro terminerà nel 2026 di certo non aiuta”.

Ecco perché “il professionista finisce per andare via alla prima occasione” offertagli dal sistema privato, e perché il presidente di Professioni Italiane propone la “istituzione di un ruolo specificoall’interno della PA, dedicato agli iscritti agli Ordini professionali, “che valorizzi il loro apporto, essenziale in quasi tutte le procedure e non solo in relazione all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”.

Il Governo promette assunzioni. La FP-CGIL: “Ne servono più di un milione da qui al 2030. E stabilizzare i precari”

Pur con tutti i limiti analizzati da Formez PA e raccontati ogni giorno dalla stampa territoriale e nazionale, il Governo annuncia, per bocca dell’attuale ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo, l’assunzione di oltre 156.000 unità entro quest’anno. Per raggiungere questo obiettivo, ha dichiarato intervenendo alla Camera dei deputati, si procederà a un’ulteriore velocizzazione dei concorsi e alla riforma della disciplina delle selezioni pubbliche.

La CGIL Funzione Pubblica rilancia proponendo l’assunzione di 1.200.000 unità da qui al 2030 per coprire il turn over generato dal pensionamento di 700.000 dipendenti entro la fine dello stesso anno, e per incrementare le dotazioni di personale nelle strutture e nelle funzioni, oggi carenti in una misura prossima a generarne il collasso.

Insieme alle assunzioni, “bisogna adeguare la crescita salariale, oggi inferiore del 7% rispetto al tasso d’inflazione; riprendere a fare formazione, che oggi impegna i lavoratori della PA per meno di un giorno all’anno; inserire nel contratto nuove forme di progressione di carriera; riorganizzare complessivamente il lavoro al servizio dei cittadini”. Sono le priorità indicate da Andrea Russo, della FP-CGIL nazionale, che rimprovera agli ultimi governi il “mancato investimento sulla crescita professionale e numerica del personale della pubblica amministrazione”.

Emblematico è il caso della pandemia: le risorse investite nella sanità per il 2021 sono le stesse del 2020 e le annunciate stabilizzazioni del personale impiegato per fronteggiare l’emergenza hanno interessato poco più del 35% della platea dei precari (50.000 su 140.000). Mentre “1.200.000 cittadini sono senza medico di base, si stanno costruendo ospedali e asili nido in cui non si capisce chi debba lavorare e che si potrebbe trasformare in un enorme trasferimento di finanza pubblica ai privati, si continua a tollerare che un processo in un tribunale duri mediamente sette anni”, incalza Russo. “Non basta recuperare il turn over, ammesso che lo si voglia fare e ci si riesca”, servono subito una strategia e le risorse necessarie a “assorbire tutto il precariato; immettere nei ruoli i vincitori dei concorsi già fatti; semplificare ulteriormente le procedure di accesso, soprattutto negli enti locali; valorizzare le competenze alte e altissime reclutate per l’attuazione del PNRR”.

Anche nella pubblica amministrazione c’è un’enormequestione lavoro” che, in passato, si è cercato di nascondere urlando slogan contro i fannulloni o provocando il conflitto tra garantiti a vita e precari per sempre. È tempo di prenderne atto e di agire con l’intento di restituire efficienza a funzioni e servizi dai quali dipende la nostra qualità della vita, quando non la vita stessa.

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