I rider della posta: su 25.000 postini, 10.000 hanno contratti a tempo determinato, nessuno straordinario e scarse tutele, e vengono messi da parte dopo dodici mesi. L’analisi di Carmine Pascale del movimento “Lottiamo insieme”, che chiede la stabilizzazione degli iscritti in graduatoria, senza il supporto dei sindacati
Brunetta e la disperata motivazione di chi cerca un posto nella PA
SenzaFiltro ha raccolto alcune testimonianze dai partecipanti a un importante concorso pubblico, tenutosi a ottobre 2021 con diverse farragini organizzative. Per i nuovi volti della pubblica amministrazione partecipare ai bandi è un lavoro a sé, con buona pace dei ministri che parlano di idealisti appassionati.
Brunetta lo ha detto più e più volte negli ultimi mesi: la pubblica amministrazione va ristrutturata. Servono persone capaci, qualificate, motivate. Parole che, al di là della demagogia, hanno fatto drizzare le orecchie a molti italiani in cerca di un lavoro, sia giovani neolaureati, sia precari con qualche inverno in più alle spalle.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta per molti una luce in fondo al tunnel della disoccupazione, e l’iscrizione ai concorsi pubblici è diventata quasi uno sport in cui li si prova tutti sperando di ottenere un contratto. Fra i vari, quello RIPAM Funzionari Amministrativi, che si è svolto a inizio ottobre, è uno dei più importanti. In palio ci sono infatti 2.736 posti a tempo indeterminato per laureati, categoria F1.
Il bando era stato aperto nel luglio 2020, inizialmente per 2.133 posti. Un anno dopo è stato riaperto per ampliare il bacino di candidati e aumentare i posti a disposizione. Anche l’esame è cambiato. In origine prevedeva tre momenti: quello della preselezione, quello del test scritto e dell’esame orale. In seguito alla riforma Brunetta, è stato tenuto unicamente il test scritto con una valutazione dei titoli accademici per ordinare in graduatoria quelli con lo stesso punteggio. Il test stesso era diverso: era composto da 50 domande, 40 delle varie materie giuridiche ed economiche e 10 situazionali.
Con la riapertura del bando, i quesiti sono diminuiti: 40 domande, 8 delle quali situazionali, mentre le altre di tutte le materie, comprese inglese e informatica, che avrebbero fatto parte del test preselettivo. Insomma, si può dire che l’esame sia stato facilitato. C’è infatti un grande bisogno di nuovo personale: sono ben 118.879 i posti già disponibili nella pubblica amministrazione, come ha dichiarato in aprile il ministro Brunetta: “Dietro una cifra apparentemente asettica ci sono nomi e cognomi, ci sono progetti di vita congelati a causa del virus. Sbloccare questi concorsi ci è sembrata la prima urgenza”.
La falsa partenza della riforma Brunetta: i disagi del RIPAM Funzionari Amministrativi
La nuova macchina burocratica pubblica, che dovrà rasentare la perfezione e l’efficienza tecnologica, è partita molto male: gli avvisi per la partecipazione a questo concorso sono stati inviati a pochi giorni dalla data del test scritto. Per esempio, chi si è dovuto presentare il primo ottobre è stato avvertito il 27 settembre. Chi invece è stato chiamato per la data del 7 ottobre ha ricevuto l’appello il primo. Una quantità di tempo troppo breve per prepararsi o per chiedere un permesso lavorativo, che ha causato molti disagi anche negli spostamenti.
Le sedi dei concorsi sono state infatti dislocate nelle zone fieristiche di alcune città: a Milano si è tenuto il concorso per tutti i partecipanti residenti nel Nord Italia, a Roma per quelli nel Lazio e in Toscana, a Pescara per quelli residenti in Abruzzo, Emilia Romagna, Marche, Umbria e Molise, a Napoli per la sola Campania, a Foggia per Puglia e Basilicata, a Cagliari per la Sardegna, Reggio Calabria per la Calabria, e infine la Sicilia, dove i residenti delle province di Catania, Messina, Trapani sono stati inclusi nel calendario di Catania, mentre gli altri in quello di Siracusa. Una divisione singolare, dato che Siracusa e Catania distano circa 60 km, mentre un residente di Reggio Emilia deve percorrerne più di 400 per arrivare al suo luogo d’esame. Il calendario non teneva infatti conto del domicilio e non era possibile selezionare un luogo diverso.
Per tutti coloro che vivono preparando vari concorsi e che hanno approfittato dei lockdown per studiare, questi cambiamenti forse non saranno stati pesanti. Per tutti i lavoratori che avevano dato per perso quel concorso, che non controllano ogni giorno il sito della pubblica amministrazione e che hanno un domicilio diverso dalla residenza, può essere stato un problema. Per questo abbiamo raccolto le testimonianze di alcuni partecipanti.
Le voci dei partecipanti ai concorsi pubblici: “Non è solo un posto fisso, nel privato si guadagna meglio”
Il primo è Federico, di Roma, che ha sostenuto l’esame nella sua città il 1° ottobre. Trentatreenne, lavora all’università da precario. Come tutti ha ricevuto l’invito due giorni prima, ma per lui non è stato un grosso problema: è infatti un veterano dei concorsi, solo questa estate ne ha fatti cinque. Il suo sogno è di entrare e fare carriera nella pubblica amministrazione con i concorsi interni. Ne ha provati di ogni tipo, perché attualmente non ha neanche un contratto; convive con la fidanzata e vorrebbe avere una sicurezza che, in questo momento, solo la pubblica amministrazione potrebbe dargli. Si è iscritto al concorso perché sarebbe adatto ai suoi studi: è infatti laureato in relazioni internazionali e vorrebbe entrare al ministero degli Interni. Alcune domande assomigliavano alle cose che aveva già studiato per i concorsi di Roma, quindi si reputa fortunato. I quiz, però, non erano facili, nonostante si ritenesse preparato, e non è riuscito a superare la soglia dei 21 punti. Ora continuerà a provare, certo che i prossimi concorsi andranno meglio.
Marianna, trentaseienne di Palermo che ha svolto il concorso a Siracusa, ha iniziato a lavorare a 21 anni, prima ancora di laurearsi, ma è riuscita comunque a prendere anche la specialistica. È risultata idonea con un punteggio basso, ma è ottimista: “Credo che arriverà il momento per tutti. La pubblica amministrazione ha un grande turnover”. I suoi genitori, e così anche i suoi nonni, hanno lavorato nel pubblico. Ha lavorato per anni in uno studio legale, poi nel settore commerciale. “Alla fine ho capito che mi piaceva il diritto ed ero portata, quindi sono tornata al punto zero”. Si è licenziata e si è buttata sullo studio, con il sogno di entrare nella PA. Il concorso RIPAM è capitato; il suo obiettivo era vincere quello Aci, attualmente fermo. Nel mentre ha ottenuto un posto a tempo determinato all’università.
“Vorrei un tempo indeterminato, ma soprattutto sogno di unire la mia esperienza con le lingue, con il business development e con la conoscenza del diritto”, ci racconta Marianna. “Sogno di dare il mio contributo per cambiare la pubblica amministrazione in meglio. Mi piacerebbe entrare al ministero della Cultura, sarebbe il sogno nella sua migliore versione”. Un’ambizione che però ha un prezzo, perché nel settore privato guadagnava bene e lo stipendio del pubblico sarebbe inferiore, ma lei preferisce comunque la carriera nei ministeri: “Guadagnavo tanto anche come commerciale. Un po’ mi pesa, ma sento un forte attaccamento adesso. Quando si parla del pubblico come posto fisso mi dà sui nervi, perché deve essere un onore lavorarci, bisogna sentirne la responsabilità”.
“I concorsi per diplomati? Una macelleria. E quelli per enti locali sono difficilissimi”
Poi c’è Giada, trentenne, che ha una laurea magistrale in scienze storiche e un master di II livello sulla gestione di documentazione digitale. Alla fine dello stage curricolare, però, è stata l’unica a non essere assunta in azienda. Ha lavorato come editor, ma veniva pagata troppo poco. Ha tentato una collaborazione con un giornale locale, ma senza successo. Lo scorso anno ha ottenuto una supplenza in una scuola media, ma con un contratto che veniva rinnovato ogni tre settimane. Ora si mantiene come tutor per gli studenti universitari. I concorsi di dottorato non sono andati bene e ora sta provando tutti i concorsi pubblici.
“Penso che quello statale sia un ottimo impiego. Non dico che è il mio piano A, ma nemmeno l’ultima spiaggia”, racconta Giada. “Se ne avessi l’opportunità mi piacerebbe lavorare nell’editoria a tempo pieno, ma non nascondo che fare un lavoro di ufficio, che metti da parte tornando a casa, ha un notevole fascino”. Vorrebbe però evitare quelli per diplomati, “sono una macelleria e poi lo stipendio è basso, soprattutto in caso di trasferimento. Eviterei anche quelli per enti locali che comunque sono difficilissimi”.
Infine c’è Alberto, 37enne di Padova, laureato all’Università Ca’ Foscari in Amministrazione, finanza e controllo. Dopo la laurea ha iniziato il praticantato da commercialista, con 200 euro al mese per arrivare alla fine con 600 euro al mese, senza un contributo versato. Ha lavorato come dipendente per una società di servizi finanziari, ma si è ritrovato a svolgere sempre più mansioni senza che gli venissero riconosciute in busta paga.
“Per evitare una crisi di nervi me ne sono andato e ho aperto una partita IVA perché nei colloqui di lavoro per impiegato mi rispondevano troppo formato o poco formato”. Si era poi buttato su un progetto a Londra e aveva rilevato con dei soci un’azienda che costruiva parti robotiche: “Ero alle stelle. Poi è arrivato il COVID-19 che mi ha stravolto il mondo, facendo saltare tutti i miei progetti. Da lì sono iniziati i problemi. Sono un libero professionista con l’attività avviata da pochi anni, quindi con pochi clienti, ai quali se non arrivano contratti non arrivano i lavori; non c’è fatturazione, non ci sono incassi, non ci sono i pagamenti dei fornitori, se non a distanza di troppi mesi”.
Il privato gli stava ormai stretto; da lì l’idea di buttarsi nel pubblico: “Nella mia zona ci sono occasioni di lavoro, ma non riesco più a sopportare i colloqui di lavoro, sono stanco di partire da zero e di dimostrare ogni volta quanto valgo per poi essere ripagato con una pacca sulla spalla o promesse non mantenute. Mi rendevo conto che non potevo vivere in questo modo e che non avevo più le forze psicologiche per riprendere da zero l’attività”. Dopo 4-5 mesi di studio ha vinto un concorso e fra poco inizierà a lavorare. Ne ha tentati una decina, insieme a quello RIPAM, perché “ero stanco di essere umiliato dalle persone che non capivano il mio excursus lavorativo e per dimostrare che ero in grado di mettermi in gioco con altre migliaia di persone. Lo stipendio non sarà migliore, ma so che entrerà il 10 o il 27 del mese successivo all’effettuazione della prestazione lavorativa e non dopo 7 mesi. Una volta entrato posso fare carriera anche con altri concorsi”.
Non è ancora chiaro in quanti si siano iscritti a questo concorso e in quanti siano risultati idonei. Nei gruppi Facebook dedicati viaggiano cifre come 180.000 iscritti e 8.000 idonei, ma nessuna può essere provata. Secondo il bando, la graduatoria dovrebbe scorrere fino all’esaurimento degli idonei, quindi è possibile che trovino lavoro in molti più di 2.736.
Dietro questi numeri si nascondono altre storie simili a quelle che abbiamo raccontato: di sfruttamento, di precarietà, di giovani professionisti che si sono scontrati con la crisi, e che adesso cercano di ricominciare a costruirsi un futuro.
Photo credits: liveuniversity.it
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