Liceo Montale: nel giornalismo ormai vale tutto

Ogni mattina un professore si sveglia e sa che dovrà stare attento. Non siamo in quella vecchia pubblicità e nemmeno nella parodia di Aldo, Giovanni e Giacomo. Siamo nella realtà della scuola italiana, dove ogni mattina un professore si sveglia e deve fare attenzione a non ritrovarsi un’accusa di molestie (come è successo in questi giorni […]

Ogni mattina un professore si sveglia e sa che dovrà stare attento. Non siamo in quella vecchia pubblicità e nemmeno nella parodia di Aldo, Giovanni e Giacomo. Siamo nella realtà della scuola italiana, dove ogni mattina un professore si sveglia e deve fare attenzione a non ritrovarsi un’accusa di molestie (come è successo in questi giorni alla preside dell’istituto Montale di Roma, in questo articolo non la chiameremo per nome e cognome, né metteremo la sua foto) o una lettera di richiamo come la docente che ha rimbrottato in modo maleducato l’alunna che ballava sul banco in abiti discinti filmandosi per Tik Tok, o ancora non finire malmenato da quattro genitori per un rimprovero ad alcuni e anche perché era omosessuale.

I primi tre mesi dell’anno hanno visto i docenti italiani protagonisti di alcuni fatti di cronaca con un minimo comune denominatore: a difenderli non c’era quasi nessuno. Secondo i dati forniti dal sito Tutto Scuola, nell’anno scolastico 2017/2018 si contano, da settembre 2017, 81 violenze fisiche stimate e 33 violenze fisiche accertate: si parla quindi di almeno 4 episodi ogni settimana.

La professoressa del rimprovero si è beccata una lettera di richiamo e l’altro docente un sacco di botte. Nel caso della preside, accusata di avere avuti rapporti intimi con un alunno maggiorenne, secondo i dettami del giornalismo la questione non dovrebbe nemmeno ritenersi cronaca nell’accezione di “nera” o “giudiziaria”. Perché finora non è stato commesso nessun reato, a meno che lei non decida di denunciare chi ha reso pubbliche le sue chat private con l’alunno, che dimostrerebbero il rapporto tra i due. Però si è mosso il meccanismo degli ispettori scolastici, che ne dovranno valutare la condotta etica, secondo il codice di riferimento, che è quello stabilito dal Miur per i propri dipendenti, nel quale si parla di “molestie” o di “lesione del prestigio dell’amministrazione”. Nel primo caso c’è la sospensione senza stipendio fino a tre anni.  Gli ispettori sentiranno le testimonianze dei colleghi e degli alunni della scuola, acquisiranno del materiale, che è già agli atti, cioè nessuno perché non c’è nessuna indagine della procura, e cercheranno di capire cos’è successo. Non potranno avere accesso, non trattandosi di polizia giudiziaria, alle chat, a meno che qualcuno deliberatamente non decida di metterle a disposizione. Con il dubbio che il materiale sia incompleto, perché fornito da chi è comunque parte in causa. E anche se le acquisissero non potrebbero verificare che non siano state manipolate.

Farà dunque fede la discrezionalità degli ispettori, che ci auguriamo siano il più equilibrati possibili nel giudicare una vicenda che ha già confezionato una colpevole, che probabilmente non verrà riconfermata nel ruolo di preside dopo questo suo primo anno “sfortunato” di lavoro in prova. A qualcuno è andata anche peggio, visto che per un’accusa di molestie, poi archiviata, è anche finito in carcere e si è visto la famiglia distrutta. Ma non si disperi la preside. L’Italia da sempre con una mano prende e l’altra dà. Forse non potrà più insegnare, ma un posto nel salotto di Barbara D’Urso o nella casa di un qualche Grande Fratello c’è sempre per queste storie date brutalmente in pasto ai media.

A patto che si facciano ribattezzare sexy prof.


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