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Trump e la pillola rosa della presidentessa mancata
Ci vorrà ancora qualche settimana, se non mesi, per capire bene la portata dell’incredibile e inimmaginabile (per esperti e giornalisti) elezione di Donald Trump. Dovremo aspettare il diradarsi del gigantesco polverone mondiale che ha scatenato la sua vittoria per capire il vero significato della sua nomina e soprattutto della mancata elezione di Hillary Clinton. Immediatamente […]
Ci vorrà ancora qualche settimana, se non mesi, per capire bene la portata dell’incredibile e inimmaginabile (per esperti e giornalisti) elezione di Donald Trump. Dovremo aspettare il diradarsi del gigantesco polverone mondiale che ha scatenato la sua vittoria per capire il vero significato della sua nomina e soprattutto della mancata elezione di Hillary Clinton. Immediatamente chiaro è che gli Stati Uniti non avranno una donna dietro la scrivania dello studio ovale, come non ci sarà un first husband, tutte possibilità che erano note e – oggi possiamo dirlo – sonoramente bocciate dagli americani. Meno nota era la circostanza che se fosse stata eletta la signora Hillary Rodham sarebbe stata il primo Presidente americano a varcare la soglia della Casa Bianca in terapia anticoagulante. Bizzarro parlare proprio oggi di questo particolare tenuto seminascosto o trascurato, quando i mercati perdono, in molti piangono la mancata elezione di una donna e gli americani già hanno nostalgia della rassicurante presidenza di Barack Obama. Già, bizzarro, se non fosse che gli studiosi di flussi elettorali in queste ore stanno già passando al microscopio la campagna di Hillary e nell’elenco degli errori e dei potenziali fattori negativi, dopo la vicenda delle email, il suo passato politico, l’appartenenza al clan Clinton con tutto quel che ne consegue in termini di antipatia per un certo elettorato democratico, figura anche il suo stato di salute, più volte tirato in ballo da Trump come punto debole e da lei tenuto nascosto persino allo staff.
Ricordiamo infatti che solo quando ha dovuto ammettere di avere la polmonite in seguito ad uno svenimento, rilasciando dettagli medici, gli americani hanno scoperto che Hillary da anni assume regolarmente la famosa pillola rosa chiamata Coumadin. Il web e la pubblicistica popolare enfatizzano come la sostanza base del Coumadin, il warfarin, sia usata anche come veleno per i topi (il che è vero) ma in parole povere si tratta di una terapia medica ultrasperimentata per mantenere il sangue liquido ed evitare il formarsi di trombosi in soggetti a rischio o con precedenti ictus, come appunto è Hillary. Chi ha avuto parenti in terapia lo sa bene: assumere il Coumadin non è uno scherzo. Avere il sangue che non coagula significa difficoltà a tamponare un taglietto da rasoio, dover prestare attenzione quando ci si lava i denti per evitare sanguinamenti alle gengive. E’ una vita fatta di cautele giornaliere, continui dosaggi del farmaco e di frequenti analisi del sangue ma ciò che impatta di più a livello psicologico è l’essere consapevole che qualsiasi piccolo trauma, anche una banale caduta, può provocare un’emorragia interna e dunque richiede un’immediata corsa in ospedale. Trump ha spesso e volentieri messo in dubbio lo stato di salute di Hillary, la sua capacità fisica di lavorare come Presidente, accusandola persino di essersi dopata nei dibattiti elettorali ma stranamente ha evitato di entrare nei dettagli dei rischi che comporta vivere sotto terapia anticoagulante, forse per evitare di urtare i quattro milioni e duecentomila pazienti americani che assumono il Coumadin.
Ripetiamo, quello medico è un aspetto secondario nella storica e sonora sconfitta di Hillary ma – ex post possiamo dirlo – un presidente degli Stati Uniti in terapia sarebbe stato un potentissimo messaggio positivo, di normalità per i milioni di persone affette da varie patologie (tumore, AIDS, diabete solo per fare degli esempi) che continuano a vivere e lavorare ogni giorno grazie al sostegno di farmaci. Ormai è un dato di fatto che la prospettiva nei paesi occidentali è quella di lavorare fino a tarda età grazie al combinato disposto di tre fattori: l’allungamento delle prospettive di vita, la necessità dei governi di mandare la gente in pensione più tardi, la continua scoperta non solo di nuove terapie ma anche di nuove patologie, grazie ad una diagnostica sempre più precisa e invasiva (in senso positivo); tutte circostanze che ovviamente rendono felici le case farmaceutiche, meno chi gestisce i budget sanitari dei governi.
Tutti aspetti questi che almeno oggi a Trump non interessano: né la malattia di Hillary, né tantomeno la questione dei budget sanitari considerando la sua intenzione di ridimensionare quella specie di assicurazione medica per meno abbienti nota come Obamacare. Trump presidente, America anno zero. Ne vedremo delle belle.
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