Poi ci sono tanti che hanno perso la possibilità di votare per semplice mancanza di informazioni puntuali. Camilla, ad esempio, non era nemmeno a conoscenza del fatto che avrebbe dovuto registrarsi entro il 7 maggio per ricevere il plico, essendo residente all’estero solo temporaneamente.
“Quando ho visto un post su Instagram che incitava a votare dall’estero, era già troppo tardi. Il problema è che non ho ricevuto le informazioni in tempo. I miei non mi hanno detto nulla e le informazioni politiche che riceviamo dall’Italia sono sempre vaghe.”
Ora, sia chiaro: credo che sia dovere di ciascun cittadino informarsi sulla politica del proprio Paese, ma so anche per esperienza che trasferirsi all’estero è tutto fuorché semplice. C’è da adattarsi a una nuova cultura, a una nuova storia, a un nuovo contesto politico. Cercare di integrarsi – cosa che viene spesso rimproverata agli immigrati in Italia – e allo stesso tempo restare aggiornati su quello che succede a casa. Tuttavia è altrettanto vero che è compito degli organi di informazione accompagnare i cittadini nell’esercizio consapevole dei propri diritti democratici.
Oggi è più che mai importante avere accesso a un’informazione precisa, puntuale e capillare, e non si può certo dire che questo sia accaduto, se non forse in minima parte.
Non si tratta solo di una questione di inclusione di tutta la popolazione. Per noi italiani all’estero questo referendum ha un peso specifico: siamo quasi sei milioni e, secondo i sondaggi, il motivo principale che ci ha spinto a partire riguarda proprio il lavoro, i salari, i diritti dei lavoratori. Diritti che, con questo referendum, vengono rimessi in discussione.
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