Babbo Natale non consegna l’emendamento che blinda lo sfruttamento

Nella notte tra venerdì e sabato, col favore delle tenebre, Fratelli d’Italia ha infilato nella manovra economica l’emendamento che cancella gli arretrati ai lavoratori sottopagati. Dopo le proteste è stato ritirato, ma non per iniziativa dell’Esecutivo: secondo fonti parlamentari ci sarebbe stato l’intervento diretto del Quirinale

24.12.2025
Giancarlo Giorgetti dopo lo stralcio dell'emendamento sui lavoratori sottopagati

C’è un dato di fatto: gli stipendi in Italia non sono adeguati al costo della vita e sono fermi, bloccati da anni. A questo si aggiunga che passano anni prima di adeguare i contratti collettivi nazionali, che dovrebbero regolare la qualità e la quantità del lavoro dei lavoratori di ogni settore.

Lo scenario si complica se pensiamo che in Italia esistono più di 900 contratti collettivi (nonostante l’impegno del CNEL che ne avrebbe voluti registrati fino a 1.300), e fra questi circa 200 sono quelli definiti “pirata“, ovvero sottoscritti da aziende specifiche con il benestare di sindacati (più o meno) fantasma, che chiudono più di un occhio a favore di padroni generosi e che coinvolgono realtà documentate, numeri certificati, sentenze depositate. Il settore della vigilanza privata ne è l’esempio più emblematico: 4,80 euro lordi all’ora, che si traducono in 680 euro netti al mese. Meno del vecchio reddito di cittadinanza, per lavoratori che garantiscono la sicurezza di banche, supermercati, uffici pubblici.

Ma non è solo la vigilanza. Il CCNL multiservizi, i contratti della ristorazione collettiva, settori del terziario e del turismo: secondo uno studio della Fondazione Consulenti del Lavoro di Milano, almeno il 56% dei contratti collettivi analizzati presenta livelli retributivi inferiori ai 9 euro l’ora, e riguarda anche i contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali storicamente maggioritarie.

Oltre 200 contratti collettivi al ribasso operano nei settori del terziario e del turismo, coinvolgendo circa 160.000 lavoratori e più di 21.000 aziende. Ogni lavoratore in dumping contrattuale perde oltre 8.200 euro all’anno rispetto ai contratti di riferimento: si tratta di un sistema che sottrae quasi 1,5 miliardi di euro ogni anno al sistema economico. Ed è proprio su questo terreno che si gioca la partita più insidiosa.

Il paradosso della legalità: quando rispettare il contratto significa sfruttare

Le associazioni di categoria – da Confindustria a Confcommercio – hanno costruito negli anni una narrazione perversa di fronte alla critiche di sfruttamento: Noi rispettiamo i contratti collettivi. Come se questo fosse una garanzia di equità. Come se il rispetto formale di un accordo firmato potesse legittimare salari da fame.

Il meccanismo è semplice quanto cinico: si applica un contratto collettivo che prevede retribuzioni indecenti, si paga quanto stabilito, e quando arrivano le contestazioni si risponde con l’arma della legalità formale. Abbiamo applicato il CCNL di settore, dicono. E tecnicamente hanno ragione; ma è una ragione che puzza di ricatto sociale.

Centinaia di sentenze dei tribunali italiani hanno smontato questo castello di carte. I giudici, applicando l’articolo 36 della Costituzione – quello che stabilisce che la retribuzione deve essere “proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” – hanno stabilito più volte che rispettare un contratto collettivo inadeguato non esonera il datore di lavoro dal garantire una retribuzione dignitosa.

Ma queste sentenze costano. Costano alle imprese, che per anni hanno lucrato su salari indecenti; costano alle associazioni di categoria, che vedono messa in discussione la loro narrazione. E quando i giudici condannano le imprese al pagamento degli arretrati salariali, ecco che si mobilita il fronte politico.

I diritti si cancellano col favore delle tenebre

Era già successo quest’estate. L’emendamento presentato dal senatore di Fratelli d’Italia Salvo Pogliese – quello che blinda le imprese dal pagamento degli arretrati ai lavoratori sottopagati – era stato inserito nel decreto ILVA. Dopo le proteste di sindacati e opposizioni, era stato stralciato. Sembrava finita lì.

Invece no. Nella notte tra venerdì e sabato, mentre il Paese si preparava al Natale, mentre l’attenzione mediatica era altrove come in un Ferragosto qualsiasi, l’emendamento è rispuntato. Come un’erba infestante, o una pessima abitudine. Nascosto tra i quasi mille commi del maxi emendamento alla manovra economica, approvato dalla Commissione Bilancio del Senato. La norma era cristallina nella sua brutalità: “Il datore di lavoro non può essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente la data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo”.

Tradotto: hai vinto una causa perché ti hanno pagato 680 euro al mese per anni? Bene, gli arretrati li recuperi solo da quando hai fatto il ricorso in poi. Tutto il resto – anni di sottopagamento, anni di fatica retribuita con salari da fame – è evaporato. Cancellato. Come se non fosse mai esistito. Come se l’articolo 36 della Costituzione fosse solo una bella frase scritta su un pezzo di carta.

Le reazioni non si sono fatte attendere, da Elly Schlein, che ha dichiarato “che il Governo non solo non fa nulla contro il lavoro povero, ma addirittura adotta provvedimenti per assicurare che rimanga povero”, a Giuseppe Conte e Arturo Scotto (“Una sanatoria mascherata per le imprese che hanno pagato per anni i lavoratori con retribuzioni da fame a cui i giudici hanno chiesto di sanare gli arretrati dovuti”). La più dura è stata la senatrice Mariolina Castellone, capogruppo in commissione Bilancio, che ha subito presentato un emendamento soppressivo. Inutile dire che anche le tre principali sigle sindacali si sono espresse in maniera negativa nei confronti di quello che a tutti gli effetti è sembrato un subdolo colpo di mano.

L'intervento del Quirinale e la Costituzione fermano il blitz

Secondo fonti parlamentari pare che questa mobilitazione opponente abbia raggiunto direttamente il Quirinale. Le osservazioni dell’opposizione non potevano rimanere inascoltate dal Presidente Mattarella, che proprio pochi giorni prima, durante la cerimonia di consegna delle Stelle al Merito del Lavoro, aveva denunciato gli “squilibri nelle retribuzioni” e parlato del “preoccupante fenomeno della crescita dei cosiddetti contratti pirata”.

In serata, la Commissione Bilancio del Senato si è riunita e ha deciso lo stralcio, con un certo disappunto del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, uomo per tutte le stagioni e per tutte le esigenze, bloccato stavolta da un argine istituzionale per fortuna ancora solido quando il Governo prova a forzare la mano, quando tenta di aggirare i principi costituzionali con blitz notturni. Un argine che ha funzionato non solo a tutela dei diritti dei lavoratori, ma anche per smantellare le supercazzole degne di un business coach di infima categoria e tendenti a minimizzare un atteggiamento palesemente illegittimo: “Il sentiero è tortuoso ma l’importante è arrivare in vetta, non c’è un’altra strada” ha affermato Giorgetti.

E rivolgendosi all’opposizione: “La nostra prudenza non è affatto stagnante e ne beneficeranno i governi del futuro, anche i vostri”. Una “prudenza”, verrebbe da dire, che è a tutti gli effetti e senza mezzi termini un attacco frontale ai diritti dei lavoratori, caro ministro. Ma la più prudente di tutti è stata la ministra del Lavoro (millantata “dott.ssa”) Marina Calderone, anche in questa occasione desaparecida.

Il fallimento sistemico di una politica che protegge i privilegi

Questa non è una storia che riguarda solo il governo Meloni. È la storia di decenni di immobilismo politico, di governi di ogni colore che hanno guardato dall’altra parte mentre il costo della vita saliva e i salari restavano fermi o addirittura scendevano. L’Italia è l’unico Paese OCSE che dal 1990 al 2020 ha visto diminuire il salario medio dei lavoratori: -2,9%. Nello stesso periodo la Germania registrava +33,7% e la Francia +31,1%.

Ma quello che è successo tra venerdì e sabato notte supera ogni precedente. Non è stato un semplice immobilismo, non è stata solo l’ennesima occasione mancata per affrontare il problema dei salari bassi. È stato un attacco diretto, premeditato, ai diritti di chi ha già subito anni di sfruttamento e che, dopo lunghe battaglie legali, è riuscito a ottenere giustizia. Questo Governo ha provato a cancellare con un colpo di penna le sentenze già emesse, a rendere inutili le vittorie ottenute dai lavoratori nei tribunali, a salvare le imprese che per anni hanno lucrato su contratti collettivi indecenti. Ha provato a blindare un sistema che permette di pagare 680 euro al mese un lavoratore e di dormire sonni tranquilli perché “tanto c’è il contratto collettivo”.

La norma era palesemente incostituzionale. L’articolo 36 della Costituzione stabilisce che il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente. Non dice “dal momento in cui fa ricorso”, dice che ne ha diritto. Punto. Ma in un Paese dove le lobby hanno più peso dei diritti costituzionali, dove le Associazioni di Categoria dettano l’agenda politica, anche l’incostituzionalità diventa un dettaglio tecnico da aggirare.

La domanda che resta: a che cosa servono sindacati e associazioni?

Ed è qui che si apre la questione più profonda. Quale ruolo hanno oggi le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali? Sono ancora rappresentanti dei lavoratori e delle imprese o sono diventate complici di un sistema che produce lavoro povero?

Quando Confcommercio denuncia il fenomeno dei “contratti pirata”, ma i suoi stessi contratti prevedono in alcuni casi salari insufficienti, quale credibilità rimane? Quando le organizzazioni sindacali confederali firmano contratti con livelli retributivi inferiori a 9 euro l’ora, quale tutela stanno garantendo?

Mattarella ha ragione. Ma non basta denunciare. Serve azione. Serve un governo che, invece di proteggere chi sfrutta, protegga chi viene sfruttato. Servono sindacati che abbiano il coraggio di dire no a contratti indecenti, anche quando questo significa rompere con logiche di rappresentanza formale. Servono associazioni di categoria che antepongano la sostenibilità sociale alla competizione al ribasso sul costo del lavoro.

L'ora delle scelte

Le domande restano aperte. Le risposte a quanto pare le conoscono tutti, ma pochi hanno il coraggio di dirle ad alta voce e ancora meno hanno il coraggio di agire di conseguenza.

Oggi la manovra è stata approvata al Senato con la fiducia. Senza l’emendamento “salva-imprenditori”, per questa volta, ma con la certezza che ci riproveranno. Perché quando le lobby bussano alla porta, la politica apre sempre, e ogni volta che la porta si apre un altro pezzo di dignità del lavoro viene svenduto. Un altro diritto conquistato viene cancellato. Un’altra promessa costituzionale viene tradita.

Questa non è solo la storia di un emendamento ritirato. È la storia di un Paese che ha smarrito la bussola. Un Paese dove chi lavora è sempre più povero, dove chi sfrutta ha sempre più tutele (vedi anche l’ultimo episodio che riguarda lo scudo penale per il comparto della moda di cui abbiamo parlato qui), dove la Costituzione è un ostacolo da aggirare e non un faro da seguire.

La vigilia di Natale è tradizionalmente un momento di speranza, di attesa per un nuovo inizio. Ma per migliaia di lavoratori italiani, quella speranza si è trasformata nell’ennesima delusione. L’ennesima conferma che, in questo Paese, il loro lavoro non vale abbastanza – non per la politica, non per le imprese, non per chi dovrebbe tutelarli.

E mentre scriviamo, da qualche parte in Italia, una guardia giurata sta facendo il turno di notte per 4,80 euro l’ora. Sta garantendo la sicurezza di una banca, di un supermercato, di un ufficio. Sta facendo il suo dovere. E, alla fine del mese, porterà a casa 680 euro.

Perché in Italia, nel 2025, lavorare non basta più per vivere.

E qualcuno ha pure provato a far sì che non bastasse nemmeno per riavere indietro ciò che ti spetta.

 

 

 

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