La certificazione verde ha generato una rabbia sociale che i sindacati confederali faticano a intercettare. Nascono così alcune sigle autonome, con rappresentanti provenienti perfino dall’estrema destra. Ne parliamo con Walter Montagnoli di CUB e Alessandro Pagano di CGIL Lombardia.
La scuola è un disastro a metà: pochi contagi, ma poca organizzazione
La ripresa della scuola tra referenti COVID-19 sovraccarichi e malpagati, carenza di personale e scarsa comunicazione con le autorità. Ma la vera sfida riguarda il prossimo anno scolastico.
Se l’Epifania tutte le feste si porta via, in questa prima fetta di gennaio, assalita da numerose aspettative, occhi e malumori sono concentrati soprattutto sul nodo della ripresa della scuola in presenza per superiori e medie. Trasporti, spazi adeguati, turnazioni, personale: tutto scricchiola sull’orlo ormai liso di una crisi di nervi in cui lacune e vicoli ciechi sono intrecciati a filo doppio. Da qui cronache prevedibili come la decisione di far slittare il rientro in aula per le scuole superiori mentre lievitano le delusioni riguardanti la didattica a distanza.
Nel frattempo non sono mancate le scintille tra i fronti politici e non solo: sta infatti facendo molto discutere il risultato del sondaggio dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche, da cui emerge che, secondo il 70,4% di oltre ottocento insegnanti interpellati, la scuola dovrebbe restare chiusa fino a fine emergenza.
A fianco di ciò dati attesissimi come quelli che ha recentemente fornito l’Istituto Superiore di Sanità. Si tratta dei dati riguardanti l’incidenza che le scuole sembrano determinare sul fronte contagi. Il report esplicita che solo il 2% dei focolai a livello nazionale è riconducibile all’ambiente scolastico, che viene così promosso come luogo più sicuro rispetto a case, strutture sanitarie e luoghi di lavoro. Ma in questo caso nemmeno i numeri sembrano dare certezze sul futuro prossimo, tanto che il dossier arriva a ribadire che è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza. La scoperta dell’acqua calda, insomma.
Referente COVID-19, pagato poco ma con tante responsabilità
Futuro che incalza e decisioni da introdurre nel presente. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma quello che è accaduto dovrebbe almeno fungere da riferimento per i prossimi interventi, anche se la situazione è spesso da alto mare, senza dimenticare le zattere di buona volontà.
Per questo abbiamo voluto confrontarci con chi conosce direttamente le problematiche del contesto scolastico ai tempi del Coronavirus. Non riveleremo il nome del nostro intervistato per tutela della privacy, ma possiamo dire che è il vicepreside di una scuola secondaria di primo grado, comunemente chiamate medie, situata nella regione Lombardia. Ricopre il ruolo di referente COVID-19, nuova figura scaturita proprio dall’emergenza sanitaria. “Io sono per una scuola in presenza e in sicurezza: da mesi insieme ai colleghi mi sto impegnando per garantire questo”, sottolinea subito.
Specifichiamo che il referente COVID-19 viene nominato dal dirigente scolastico e può essere un docente, un membro del personale ATA o della segreteria. “Nel mio caso sono il referente sia per la scuola secondaria che per tutto l’istituto”, spiega il nostro intervistato.
Varie le responsabilità affidate a questa figura: “Dobbiamo, ad esempio, stilare un vademecum con le norme anti COVID-19 per l’istituto e controllare che queste vengano rispettate. Registriamo su appositi documenti tutti i casi sospetti, nonché quelli conclamati a seguito del tampone, tra gli alunni e all’interno del personale scolastico: in pratica tutte le informazioni utili per eventuali contact tracing. Giornalmente monitoriamo i registri scolastici per verificare che in una classe non vi siano assenze superiori al 40%. Inoltre gestiamo le segnalazioni e le comunicazioni con l’ATS e rispondiamo a dubbi o preoccupazioni di famiglie, colleghi e personale, tenendoci aggiornati costantemente sulla normativa vigente”.
Un impegno che richiede tempo e attenzione: quanto percepisce come stipendio un referente COVID-19? “Come spesso accade nel mondo della scuola, anche questo ruolo non è regolamentato contrattualmente”, ammette la nostra fonte. “Ciascun istituto scolastico sceglie autonomamente. Lo stipendio in più si risolve in un numero forfettario di ore spesso insufficiente a coprire il reale ammontare di ore impiegate, che vengono stabilite in sede di contrattazione d’istituto”.
Affrontiamo anche il discorso delle responsabilità. Che cosa rischia il/la referente COVID-19 se qualcosa va storto? “In questo caso dobbiamo rispondere al dirigente scolastico, alla comunità scolastica e al territorio in cui operiamo. Di fatto, però, non abbiamo responsabilità penale in qualità di referenti; questa ricade sul dirigente scolastico. Abbiamo comunque responsabilità, anche penale, come docenti nel garantire che i minori di cui siamo sorveglianti non siano messi in situazioni di rischio per la loro salute”.
Ci si può rifiutare di ricoprire questo ruolo? “Sì, ma di solito non avviene. Se però nessun docente dovesse farsi avanti e accettare l’incarico, la responsabilità della figura ricade sullo stesso dirigente scolastico, che non può esimersi dal farsene carico”.
Casi di positività segnalati in ritardo e assenza protratta di personale: scuole nel caos nel momento peggiore
Entriamo nel vivo dell’esperienza e tiriamo le somme. A livello organizzativo quali sono state le difficoltà maggiori nel corso di questo primo quadrimestre?
“Prima di tutto la gestione degli spazi. La nostra scuola ha aule troppo piccole per mantenere il distanziamento adeguato tra gli alunni, pertanto siamo stati costretti a ‘creare’ due classi prime in più alla secondaria, in modo da avere meno alunni in ogni classe. Tutto questo, però, senza avere un incremento di organico adeguato alle necessità. Abbiamo così dovuto ridurre la durata delle unità orarie da 60 a 45 minuti per ricavare le ore necessarie a coprire le due classi in più. Questo però ha significato una riduzione dell’offerta formativa in presenza, che da 30 ore è passata a 25 ore settimanali. Anche la gestione di tutti gli spostamenti (entrate, uscite, intervalli, uso dei servizi igienici) è stata difficile da organizzare. La più grande rinuncia riguarda i laboratori delle materie espressive: con le norme vigenti non si può cantare o suonare il flauto, non si possono fare lavori di gruppo, anche le attività sportive in palestra sono estremamente ridotte”.
Parliamo degli ostacoli incontrati, spesso taciuti. Quali sono stati quelli più grandi e da parte di chi? “L’ostacolo più grande è stato non avere il personale docente fin dall’inizio dell’anno scolastico. Soprattutto in un anno difficile come questo e avendo parecchi mesi di tempo per organizzare le convocazioni e le graduatorie, trovo assurdo e scandaloso che si sia dovuti arrivare a novembre per avere gli ultimi insegnanti dell’organico, specie quelli di sostegno! In realtà, a parte qualche genitore ansiogeno e qualche altro invece fin troppo negligente, che spediva a scuola i figli con la febbre, i rapporti con le famiglie sono stati buoni ed efficaci. Lo stesso potrei dire della maggior parte dei colleghi”.
La scuola è spesso una cartina tornasole in grado di rivelare quanto l’intero sistema sia in tilt, con rischi concreti sul fronte dei contagi, come sottolinea il nostro intervistato: “Premetto che si dovrebbe aspettare la comunicazione da parte di ATS prima di mettere in isolamento fiduciario una classe nella quale vi è stato un caso accertato di alunno positivo al tampone. In realtà, però, soprattutto nel periodo di ottobre-novembre, quando la curva dei contagi stava di nuovo salendo rapidamente, noi venivamo a sapere di un tampone positivo dalle famiglie ben prima della comunicazione dell’ATS; pertanto abbiamo dovuto – sotto la nostra responsabilità! – lasciare a casa delle classi in via precauzionale nell’attesa di comunicazioni ufficiali, che purtroppo non arrivavano tempestivamente”.
Uffici scolastici: promesse da marinaio durante la burrasca del COVID-19
Altro nodo centrale la responsabilità degli uffici scolastici, come ci rivela la nostra fonte: “A inizio anno ci erano stati promessi da parte dell’ufficio scolastico territoriale un tot di docenti extra con funzione di personale COVID-19. Su quel numero abbiamo costruito il progetto per l’avvio dell’anno scolastico: l’orario delle classi e dei docenti, l’offerta formativa e così via. Sia ben chiaro: si trattava di ore essenziali senza le quali non potevamo garantire l’apertura della scuola, perché se manca un docente la classe non può rimanere scoperta. Ecco quello che è successo: una volta convocati i primi insegnanti COVID-19, l’ufficio scolastico territoriale ha bloccato le successive assunzioni. Si erano infatti dimenticati di conteggiare anche il pagamento dei loro contributi. Abbiamo così dovuto fare e disfare in continuazione per quasi trenta volte l’orario scolastico”.
Dopo questi mesi pesanti affrontati senza sosta quali sono i suggerimenti per il futuro prossimo che si sente di dare? “Il vero problema sarà l’avvio dell’anno scolastico 2021/22, poiché non sappiamo se usufruiremo ancora del personale COVID-19 o meno. I limiti di spazio degli ambienti rimangono gli stessi, ma senza risorse straordinarie non possiamo bypassarli. Il governo, il ministero e tutti i loro apparati hanno nove mesi di tempo per pensare a cosa vogliono fare in merito ai trasporti pubblici e ai lavori straordinari di edilizia scolastica per garantire i corretti distanziamenti. Non dimentichiamo la gestione delle graduatorie e delle convocazioni dei supplenti, affinché all’avvio del prossimo anno tutti i posti siano già coperti.”
Nove mesi di preavviso e un anno e mezzo di situazione concreta alle spalle prima del prossimo settembre. Mentre la sabbia nella clessidra procede inesorabile, ci chiediamo: qualora il caos proseguisse, dandoci nuovi appuntamenti all’ingresso della scuola, ancora una volta verrà data la colpa soltanto al virus coronato?
Photo credits: www.giornalesanita.it
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