La storia di PizzAut, quando l’autismo rende consapevoli

Sono ormai decenni che si parla di stress lavorativo. È impossibile non notare quello che spesso accade nel mondo del lavoro, praticamente in ogni campo. Lavorare diventa sempre di più sinonimo di una corsa contro il tempo, cercando di ottenere il massimo e spesso portandosi impegni e pensieri lavorativi a casa. Le conseguenze dei ritmi […]

Sono ormai decenni che si parla di stress lavorativo. È impossibile non notare quello che spesso accade nel mondo del lavoro, praticamente in ogni campo. Lavorare diventa sempre di più sinonimo di una corsa contro il tempo, cercando di ottenere il massimo e spesso portandosi impegni e pensieri lavorativi a casa.

Le conseguenze dei ritmi frenetici che oggi il lavoro ci impone si vede anche e soprattutto sulla salute. È difficile arrivare a stabilire quali siano le malattie effettivamente correlate allo stress. Quello che è certo è che le denunce di malattie professionali sono purtroppo frequenti. Secondo i dati Inail, nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2017 ci sono state 58.129 denunce (4.307 solo nel mese di dicembre). Fra queste, tra gennaio e dicembre 2017 ci sono state 464 denunce per disturbi psichici e comportamentali e 6.323 denunce per malattie del sistema nervoso.

Viene da chiedersi quanto valga la pena di sacrificare così tanto la nostra vita per il lavoro al punto da rimetterci in salute, oppure se non sia il caso di fermarsi un attimo per ritrovare un ordine. Fermarsi per poi agire meglio e stare bene con noi stessi, oltre che con gli altri, in modo da avvicinarsi alla definizione che l’OMS nel 1948 aveva dato del concetto di salute: “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”.

La nuova consapevolezza di PizzAut

Bisogna tornare a una nuova consapevolezza: quella dei ritmi più lenti, più rispettosi delle infinite caratteristiche delle persone.

È in questo cointesto che tutti noi dovremmo imparare dalla storia e dal messaggio di Nico Acampora, fondatore di PizzAut, che sta lottando per un sogno: realizzare una pizzeria gestita da ragazzi con autismo. Dovremmo riferirci proprio al modello di lavoro che sta proponendo Nico – rispettoso dei tempi delle persone altrui, autistiche o meno – per ritrovare quella consapevolezza che sembra essere scomparsa dalla frenesia quotidiana.

Lo schema è semplice: se si crea un ambiente di lavoro dove le persone con autismo stanno bene, anche le altre persone staranno bene. Se si esce dalla frenesia che disturba chi è affetto da autismo, allora anche le altre persone che si trovano nello stesso ambiente ritroveranno il senso del loro tempo, lontano da un contesto che non fa certo bene neppure a loro. E allora ecco che le persone con autismo diventano non solo portatrici di competenze, ma soprattutto di benessere. Quasi un’ovvietà. Ma ancora si fatica a comprenderla.

Nico Acampora

Che cos’è l’autismo

Le persone con autismo presentano difficoltà a gestire gli stimoli provenienti dall’esterno, e di conseguenza anche a gestire le relazioni. Nell’autismo ci sono diversi livelli di gravità, ma in linea generale diventa difficile per gli autistici comunicare con gli altri e con l’esterno. Secondo stime americane, l’autismo interessa un soggetto su 88, con i maschi colpiti 4-5 volte più di frequente rispetto alle femmine. A oggi ancora non è possibile stabilirne con certezza la causa.

Quello che si sa è che i casi negli ultimi dieci anni sono aumentati. I recenti studi però hanno anche individuato due aspetti importanti: l’importanza di diagnosi precoci – anche mediante un coinvolgimento di tutti gli attori legati al mondo dell’infanzia – e la nuova consapevolezza che, se vengono forniti loro i giusti strumenti, gli autistici possono tranquillamente lavorare e interagire – nel rispetto dei loro tempi ed esigenze.

La nascita di PizzAut

Nico Acampora di professione fa l’educatore. Cercare di comprendere e risolvere le difficoltà dei giovani è il suo lavoro. Nico è papà di un bimbo autistico di 9 anni, ma a differenza di molti altri genitori non pensa al “dopo di noi”; pensa piuttosto a un “durante noi, cioè a costruire un presente che sia bello e accogliente per tutti: per i genitori, per i figli, per le famiglie, per le persone.

In questa ottica, se il mondo del lavoro imparasse ad accogliere potrebbe essere un valido strumento per costruire un presente più sereno per tutti, autistici e non. Ancora troppo spesso i ragazzi con autismo sono esclusi dall’ambiente lavorativo, ancora schiavo della frenesia e della rapidità a tutti i costi. Eppure basterebbe fermarsi un attimo per imparare una lezione fondamentale. Questo è quello che ha fatto Nico con il suo progetto PizzAut: si è fermato a pensare per poi agire meglio. E consapevolmente.

PizzAut

PizzAut nasce dagli incontri con altri genitori di ragazzi autistici ai quali Nico partecipa. Il punto che accomuna tutti è la consapevolezza del fatto che i ragazzi con autismo possano lavorare. “Mi sembra di aver scoperto l’acqua calda”, racconta scherzoso. Poi una notte Nico ha l’dea che avrebbe cambiato la vita a molte persone: “Mi sono svegliato e ho detto a mia moglie che dovevamo realizzare una pizzeria per ragazzi autistici. La mattina seguente ho subito iniziato a scrivere il progetto”.

Un progetto rivolto a tutti: “Non si riferisce nello specifico a mio figlio: ha solo 9 anni. Nasce dalla consapevolezza che i ragazzi con autismo possono avere iterazioni e possono lavorare. Da qui l’idea di creare un luogo di lavoro in cui tutti sono attenti ai ragazzi e attenti alle persone che in quel luogo vanno a mangiare. Dopo aver scritto l’idea, abbiamo iniziato a passare dalla teoria alla pratica, cominciando a fare quello che abbiamo definito un assaggio di PizzAut”.

Dal primo assaggio in un locale a Cernusco sul Naviglio (Mi) ce ne sono stati altri, ogni volta in location diverse. Al momento, infatti, non c’è ancora un luogo fisico per accogliere i 5/6 ragazzi che fanno parte di PizzAut. E intanto i giovani imparano: fanno e servono pizze, raccolgono ordinazioni, accolgono i clienti. “Abbiamo visto che li gratifica – sottolinea Nico – e intanto aumentano le loro competenze”. Se da una parte l’ambiente lavorativo accoglie i ragazzi, dall’altra i ragazzi accolgono le persone.

Il tempo ritrovato

“Ci sono le difficoltà quotidiane ma si possono superare”, spiega Nico. “Si possono fare dei progetti. Noi abbiamo pensato a un progetto ‘durante noi’: va bene pensare al futuro ma prima costruiamo il presente, seguiamo la logica del fare adesso, con tutte le criticità. Si sono mosse energie che hanno creato una nuova consapevolezza da parte di persone che hanno ragazzi con autismo, ma anche da parte di persone senza autismo. Il locale sarà alla portata di tutti, ma anche tutti gli eventi che stiamo organizzando sono pensati nell’ottica di stare bene e divertirsi: un locale dove trovarsi, perché è importante sia il tempo dei ragazzi, sia quello delle persone che vengono”.

Anche in quest’ottica la scelta di Nico e della sua squadra è coraggiosa: aprire la futura pizzeria e organizzare gli assaggi soltanto di sera, mescolando le persone ai tavoli: “Vogliamo un locale dai tempi lenti, dove ci si ritrova, e alla sera si ha più tempo per riprendere i propri spazi. Mescolando le persone si ritrovano sconosciuti allo stesso tavolo: famiglie con figli con autismo ma anche persone che non conoscono l’autismo, che si ritrovano l’uno al fianco dell’altro. Questo è diventato un punto di forza: le persone sono contente di conoscerne di nuove”.

L’avventura di Tù Sì Que Vales

La risonanza mediatica di PizzAut è fortissima, tanto che ha stupito lo stesso Nico. I ragazzi di PizzAut hanno preso parte anche al noto programma televisivo trasmesso su Canale 5 Tù Sì Que Vales, arrivando in finale.

“Ho comunicato che noi non avevamo talenti per partecipare alla trasmissione – racconta Nico – tanto che ho fatto un appello affinché alla finale non ci votassero”. Nico si è rivolto al pubblico a casa, chiedendo alla gente di invitare a casa il vicino con autismo. “Dopo le puntate, la cosa che ci ha sorpreso è che sono arrivate chiamate da famiglie di tutta Italia. I genitori di ragazzi autistici hanno preso coraggio: il coraggio di sentirsi liberi di uscire tranquillamente con i figli e di fare delle cose con loro. Abbiamo acceso una speranza.  Nessuno si deve nascondere o stare chiuso in casa”.

“Nutrire l’inclusione”

PizzAut nasce a casa di Nico. Prima il progetto, poi l’associazione che lo sostiene: una piccola realtà ma che sta avendo un grande riscontro, a dimostrazione del fatto che c’è veramente bisogno di una nuova consapevolezza. “Mi stupisco che non l’abbiano fatto prima. Forse noi abbiamo avuto l’energia necessaria per far partire la macchina”.

Per aprire la pizzeria sono necessari circa 134.000 euro. Grazie al crowdfunding sono stati raccolti circa 49.000 euro su un obiettivo prefissato di 60.000. L’intenzione è di raccogliere la cifra rimanente tramite sponsor di aziende. La campagna “PizzAut nutriamo l’inclusione” è aperta. “L’obiettivo è di aprire entro la fine del 2018. Non avremmo mai pensato di poter raggiungere questi risultati”, conclude Nico.

Un ambiente di lavoro consapevole

PizzAut è dunque un bel modello al quale ispirarsi: creare un ambiente lavorativo che rispetti i tempi dei ragazzi autistici significa creare un ambiente lavorativo che rispetta tutti. E i ragazzi di PizzAut stanno insegnando una bella lezione di vita: danno la possibilità di imparare a ritrovare il benessere con un ritmo di lavoro più rispettoso del tempo delle persone.

Ne parliamo con Simona Ravera, psicologa e psicoterapeuta, esperta di casi di autismo e presidente della cooperativa Foglie. Simona ha seguito dal punto di vista psicologico il progetto di PizzAut, ma con la sua cooperativa è impegnata a cercare di trovare un’occupazione ai ragazzi autistici, fornendo alle aziende un modello di business che sia attento alle esigenze di tutti: autistici e persone che con i ragazzi autistici staranno in contatto nell’ambiente lavorativo, nell’ottica di una consapevolezza reciproca.

“Ci sono diversi livelli di consapevolezza: quella dei dati di realtà – perché nel mondo del lavoro dobbiamo essere consapevoli di tutta una serie di necessità – e quella personale, basata sulla comprensione delle proprie caratteristiche, limiti, potenzialità. Con persone che hanno delle fragilità dal punto di vista sociale e comportamentale, diventare consapevoli è fondamentale. Ci siamo accorti, per fortuna, che le persone con autismo manifestano competenze e anche resilienza, quindi capacità di superare difficoltà tanto quanto le persone cosiddette normodotate.”

“Prima si pensava che la maggior parte di loro non potesse affrontare gli ambienti di lavoro, e invece non è così. È il processo di abilitazione di queste persone che fa la differenza. Nel momento in cui la società diventa ambientante, in cui dà alternative comportamentali con strumenti di apprendimento adeguati, terapie comportamentali e diagnosi precoci, queste persone hanno l’occasione di essere più adatte al loro ambiente. Nel momento in cui c’è questa offerta, le persone apprendono perché si è creato un contesto di apprendimento che in qualche modo li sostiene, li aiuta. Si crea un circolo virtuoso. La persona è più adatta all’ambiente, l’ambiente ne riconosce il valore. Tutto questo porta a un aumento della consapevolezza reciproca.”

Parola d’ordine: partecipazione

“PizzAut è in questo senso un laboratorio di osservazione veramente notevole – spiega Simona Ravera – perché, al di là del fatto che noi come promotori del progetto eravamo convinti del fatto che i nostri ragazzi avrebbero potuto dare delle buone risposte, quello che mi sta colpendo di più è la partecipazione delle persone. Persone che non sanno cosa sia l’autismo, che si sono avvicinate con questo progetto e che si sentono in grado di entrare in relazione con i nostri ragazzi e di aiutarli in tutte queste attività che noi svolgiamo.”

“Abbiamo volontari che fanno a gara per essere con noi quando facciamo gli eventi. Vuol dire che abbiamo superato il limite dato dal non sapere come ci si deve comportare. PizzAut ha dato un’occasione per sfatare dei miti riguardo l’autismo e permettere alle persone di esprimere con spontaneità quello che sentono di mettere in campo nella relazione con un’altra persona”.

Autismo e lavoro

Le persone con autismo possono lavorare ed entrare in relazione con gli altri, se hanno gli strumenti giusti. E nel mondo del lavoro possono offrire delle competenze. “I ragazzi con autismo sono molto bravi nelle attività concrete e manuali, in tutto quello che riguarda il fatto di arrivare ad avere un prodotto, perché loro hanno bisogno di vedere concretamente che cosa stanno facendo”, prosegue Simona Ravera.

pizza

“Il computer è l’altro ambito professionale adeguato: loro hanno abilità molto meccaniche che richiedono una concentrazione e un’attenzione che è proprio tipica della persona con autismo. Ci sono esperienze di alcune aziende importanti, soprattutto nord europee (tedesche e danesi), in cui c’è stata negli ultimi anni l’assunzione di molte persone con autismo, perché nei processi di produzione solo gli autistici riuscivano a cogliere quelle che erano delle anomalie. Questa è la loro propensione per i dettagli.”

“Anche in Italia sta iniziando a esserci una certa attenzione da parte di aziende tecnologicamente molto avanzate, che hanno bisogno di certe prestazioni particolari. Sul discorso del lavoro però siamo ancora in difficoltà. Abbiamo leggi sull’autismo, sull’inclusione, sul lavoro, ma pochissimi strumenti per poterle veramente applicare. Io credo che in una società civile prendersi cura e sostenere le persone più fragili sia segno della vera civiltà.”

Il modello della cooperativa Foglie

Simona Ravera nella sua cooperativa usa un modello che sembra essere vincente.

“Noi proponiamo un’equipe di lavoro a quelle aziende che hanno la necessità di esternalizzare qualche attività. Si struttura l’attività in questione mettendo all’interno dell’ambiente lavorativo un coordinatore che ha sia mansioni pratiche sia educative, che conosce l’autismo. Questo coordinatore media e facilita l’inserimento dei ragazzi nell’ambiente di lavoro, anche in relazione con le altre persone che ne fanno parte, permettendo di evitare quelle crisi dovute all’accumulo di stress.”

“Se lo desiderano, le aziende hanno una parte formativa rivolta ai dipendenti, dando indicazioni sull’interpretazione di certi comportamenti e su come comportarsi con i giovani autistici. La cosa a cui ci piacerebbe arrivare, fatto tutto questo lavoro di informazione e cultura, è che a un certo punto le aziende non avranno più timore e assumeranno direttamente le persone con autismo”.

Tornare indietro per andare avanti

Ritorna la parola stress, ma questa volta per sottolineare che si può imparare a gestirlo.

“Le persone con autismo hanno maggiori difficoltà a gestire lo stress, proprio perché manca loro la consapevolezza di ciò che fa stare bene e di ciò che fa stare male”,  spiega Simona Ravera. “In questa assenza di consapevolezza personale l’ambiente di lavoro può sostenere gli autistici modulando l’ambiente stesso affinché sia il meno stressante possibile. Se non c’è la consapevolezza nell’individuo, forse un ambiente più consapevole può sostenere l’individuo stesso nelle sue fragilità. Ma nel momento in cui ho un ambiente che accoglie una persona che ha fragilità maggiori nella gestione dello stress vuol dire che sto creando un ambiente ottimale anche per tutti gli altri”.

Ed ecco la risposta alla domanda iniziale: tornare indietro per andare avanti; creare degli ambienti che siano il più possibile adatti alle persone. Autistiche o meno.

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