Per approfondire l’argomento abbiamo fatto qualche domanda a Luigi De Gennaro, neuroscienziato e professore ordinario di psicobiologia, psicologia fisiologica e disturbi del sonno.
Qual è la sua opinione su quella che sembra una stanchezza endemica della nostra società? È davvero così?
Dobbiamo fare un passo indietro. La rivoluzione industriale e l’illuminazione artificiale hanno allargato la finestra di ore impiegabili sia in termini lavorativi sia in varie attività sociali. La stanchezza può essere correlata a carenze di riposo; oggi si stima che collettivamente, come popolazione umana, abbiamo perso due ore di sonno. La perdita è con ogni probabilità anche maggiore, soprattutto se segmentiamo per fasce di età e di genere. L’inadeguata soddisfazione del sonno a livello collettivo la possiamo spiegare attraverso due fatti. Per il primo, anche se può sembrare una banalità, bisogna ricordare che in media cinque giorni su sette dormiamo con una sveglia puntata; se facciamo un’equivalenza con gli altri bisogni fondamentali come l’alimentazione, la soddisfazione di un bisogno la cui regolarità è bloccata – perché questo noi facciamo alzandoci al suono della sveglia – ne pregiudica la completa soddisfazione. Il secondo, strettamente correlato, è il cosiddetto “social jet lag”, il fatto cioè che nei fine settimana dormiamo di più nel tentativo di recuperare quanto perso nei giorni feriali.
Insomma, dormiamo poco e male.
È vero, c’è un’insufficienza qualitativa e quantitativa del sonno, il che impatta sulla qualità della vita e sulla produttività, sui tassi di assenteismo, sugli incidenti stradali, dato che molti sono ascrivibili ai deficit di sonno. Il colpo di sonno di cui si sente tanto parlare è anche una conseguenza di uno stile di vita non adeguato che impatta sulla durata del sonno notturno.
Cosa si può fare per migliorare la qualità del sonno a livello individuale e sociale?
Urge una riorganizzazione del lavoro, sia della settimana lavorativa intesa come ore/giorni lavorati, sia dei carichi di lavoro. Sarebbe opportuno anche un posticipo dell’orario scolastico per consentire ai ragazzi di dormire di più, migliorando la qualità della vita e anche il loro rendimento scolastico. Ciò aiuterebbe anche i genitori lavoratori.
Ricerchiamo sempre il riposo; ma alla fine recuperiamo davvero?
Il social jet lag non consente un recupero completo, serve un modello alternativo a quello di spremitura dei cinque giorni lavorativi e tentativo di recupero in due giornate. Le conseguenze fisiche, emotive e psichiche del carico settimanale (e più) non si recuperano in così poco tempo.
I power nap funzionano davvero?
Non per chi ha problemi di sonno, e un italiano su otto ne soffre. Il sonnellino è fortemente sconsigliato: la soddisfazione parziale del sonno diventa cattiva igiene del sonno. Chi non soffre di insonnia deve considerarne i benefici con cautela, perlopiù in base alla durata. I sonnellini sono potenzialmente recuperativi per riacquistare energie e favorire la memoria, ma solo se non durano più di venti minuti.
Il riposino può essere un atto politico, o quanto meno terapeutico?
I disturbi del sonno e l’insonnia riguardano soprattutto le donne, ce lo rivelano i rapporti relativi alle persone che soffrono di insonnia: il numero dei casi femminili è 1,5 volte superiore a quello maschile, quanto meno nell’espressione cronica (con durata maggiore di tre mesi). Ciò ci permette di fare una riflessione sulle possibili cause, tra cui di certo occorre considerare il carico di lavoro soprattutto domestico mal distribuito.
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Photo credits: Jay Wennington via unsplash.com