Lavorare all’aperto con temperature che raggiungono o superano i quaranta gradi centigradi è una sfida alla sopravvivenza e rappresenta spesso un serio rischio per la salute. Soprattutto per alcune categorie professionali, come gli agricoltori, i braccianti, i pescatori, gli operai e chi lavora nell’edilizia e nella logistica.
“Nelle campagne laziali si continua a lavorare sotto il sole cocente anche con temperature record. La sospensione delle attività lavorative non viene spesso applicata: è opzionale e a discrezione delle aziende”, spiega Marco Omizzolo, sociologo Eurispes e presidente Tempi Moderni, esperto di migrazioni e sfruttamento dei lavoratori agricoli.
“Soprattutto in provincia di Latina, dove in questo periodo avviene la raccolta di cocomeri e la solarizzazione delle serre (sostituzione del rivestimento di plastica delle serre con un telo nuovo, N.d.R.), molti lavoratori – principalmente stranieri – sono svenuti nei campi. L’esposizione al caldo si combina con altri aspetti”, racconta Omizzolo, “come la fatica o attività manuali pesanti e pericolose. Per non sentire stanchezza e dolore, i braccianti sono costretti spesso ad assumere sostanze dopanti, come metanfetamine, oppio e antispastici”.
Questi svenimenti però non vengono presi sul serio dalle aziende: “Preferiscono risolvere con pratiche fai-da-te, come un bicchiere d’acqua o del caffè”, afferma Omizzolo, “così da evitare che l’ambulanza e gli operatori sanitari entrino nella struttura di lavoro e si rendano conto delle condizioni proibitive in cui sono costretti a lavorare i braccianti”.
Fino ad oggi il sociologo ha rilevato circa una ventina di svenimenti nei campi laziali, “ma si tratta di un dato sottostimato, che dev’essere almeno moltiplicato per dieci”.
Per combattere queste situazioni e risolvere il problema, spiega Omizzolo, da una parte è necessario che i lavoratori denuncino le attività scorrette delle aziende, dall’altra che le Regioni, come il Lazio, applichino le stesse delibere di sospensione del lavoro durante le ore più calde già attivate dalle Regioni del Sud, per tutelare i lavoratori.
Il sociologo registra inoltre una grave latitanza da parte della politica, sia da destra che da sinistra, sul tema: “Non se ne discute né nelle aule della politica né a livello di dibattito pubblico”. E a rimetterci sono le fasce professionali più deboli e a rischio, come i lavoratori poveri, precari o stranieri e le donne.
“Questa situazione amplifica lo stato di ricattabilità e di povertà dei lavoratori, che finiscono per fare più ore di lavoro rispetto a quelle previste da contratto, o che sono costretti spesso a lavorare a cottimo per sopravvivere o, nel caso dei migranti, per rinnovare il permesso di soggiorno”.