Analizziamo la situazione delle messe a disposizione e dei casi di supplenti che possono insegnare pur non avendo superato concorsi e senza una preparazione specifica.
Le Azzurre in porta(foglio)
Il Brasile è stato appena eliminato dalla Francia agli ottavi di finale. Marta, calciatrice tra le più rappresentative del torneo, si avvicina alla telecamera e guarda gli spettatori e le spettatrici, soprattutto le più giovani, negli occhi. Dice “il calcio femminile ha bisogno di voi per sopravvivere”, e lo fa con il fervore che l’ha […]
Il Brasile è stato appena eliminato dalla Francia agli ottavi di finale. Marta, calciatrice tra le più rappresentative del torneo, si avvicina alla telecamera e guarda gli spettatori e le spettatrici, soprattutto le più giovani, negli occhi. Dice “il calcio femminile ha bisogno di voi per sopravvivere”, e lo fa con il fervore che l’ha caratterizzata in questi giorni di kermesse, di festa, di elogio della diversity, tema così caro alle aziende e sul quale torneremo.
Sorrisi, felicità e incanto. Per lei no. Marta è un’amazzone in missione, dal primo giorno. Litiga con i giornalisti che non le fanno i complimenti per aver eguagliato il record di gol in un Mondiale, che apparteneva al tedesco Klose (16 reti). Gioca 120 minuti con il rossetto, e dopo averla conosciuta capisci che non è un vezzo da star ma un messaggio preciso. Indossa un paio di scarpe no logo, perché giudica non soddisfacenti le offerte dei principali brand dell’abbigliamento sportivo, rispetto a quelle percepite dai colleghi maschi come Neymar.
Marta combatte: piaccia o no è una paladina di questo movimento, e non solo della nazionale brasiliana. Iperbolica perché sa che la lotta è impari, anche se lei guadagna più di un calciatore della Serie B italiana. È il controcanto dell’altra stella: la bellissima e sorridente Alex Morgan, calciatrice statunitense dell’Orlando Pride che tra ingaggio e sponsor porta a casa più del marito Carrasco, calciatore messicano e in quanto tale inviso alla politica di Trump – al quale lei non le manda certo a dire. Sono le due storie parallele di un Mondiale che dopo quasi vent’anni vede le nostre Azzurre tra le protagoniste.
Tecnicamente parlando
Si è parlato molto del livello tecnico della competizione, che al di là dello “storytelling” va analizzato con grande attenzione. Si apprezza più la tecnica individuale di alcune giocatrici che la manovra collettiva. C’è agonismo e fisicità, ma come spesso accade in fase di crescita, in alcuni ruoli mancano dei giocatori chiave. I laterali (terzini), il centrocampista davanti alla difesa e soprattutto i portieri hanno ancora grandissimi margini di miglioramento. Questo rende la manovra meno fluida e le partite, inutile girarci intorno, meno appassionanti.
Ma un Mondiale è pur sempre un Mondiale, e intanto l’Italia ha l’opportunità di tornare dove è arrivata solo una volta, ai quarti di finale (quella volta però partecipava la metà delle squadre). Ad aspettarla c’è la Cina, e non sarà una partita semplice. Sia per la caratura dell’avversario, più abituato a questi palcoscenici anche se non al livello degli anni passati, sia perché essere arrivate prime nel girone ci mette nella condizione – una condizione inedita – di avere qualcosa da perdere. L’appetito vien mangiando e in pochi si aspettavano che l’Italia riuscisse a passare il turno in un girone con le favorite Brasile e Australia.
Invece ci siamo, con una squadra niente male che rispetto al passato non ha il grandissimo crack, come lo è stata Carolina Morace, oggi allenatrice e opinionista televisiva e tra le più forti calciatrici di sempre, ma può contare su un buonissimo undici in cui spiccano il difensore Sara Gama, la punta Barbara Bonansea, il centrocampista offensivo Cristiana Girelli, il terzino Alia Guagni, la tuttocampista Manuela Giugliano.
Stipendi del calcio femminile: stelle straniere e dilettanti italiane
Rispetto a quelle di altre nazionali (Stati Uniti, Canada, Germania) le nostre calciatrici restano a tutti gli effetti dilettanti, quindi non si parla di rapporti di lavoro, ma di accordi economici tra le parti. Il regime FIGC prevede che l’accordo possa avere durata fino a tre anni, con l’erogazione di una somma non superiore (al lordo) a 30.658 euro da corrispondersi in 12 mensilità. In aggiunta, le calciatrici possono ottenere rimborsi spese per un massimo di 61 euro al giorno per cinque giorni a settimana in periodo di campionato, ridotti a 45 euro durante la preparazione. Fino alla passata stagione il massimale per l’accordo economico era di 28.158 euro, sotto l’egida della Lnd.
Fino a un anno fa le atlete erano chiamate a scegliere tra l’accordo economico e rimborsi, visto che l’uno escludeva l’altro. Da un anno a questa parte è possibile sommare i due introiti, arrivando quindi ad aggiungere circa 1220 euro al mese extra rispetto a quanto pattuito nell’accordo. A ciò va aggiunta la possibilità di un’ulteriore indennità in caso di accordi pluriennali e di premi individuali al raggiungimento di obiettivi personali e di squadra. Non è un caso che il tetto salariale si sia alzato quando i top club come la Juventus, il Milan e la Fiorentina hanno iniziato a entrare nel mondo del calcio femminile.
Riguardo agli ingaggi, la rivista France Football ha stilato un report delle calciatrici con gli stipendi più alti: la pallone d’oro Ada Hegerberg batte tutte, sul campo, con 400.000 euro all’anno; le sue compagne di squadra al Lione, la stella francese Amandine Henry – autrice del gol vittoria contro il Brasile – e il difensore Wendie Renard, seguono a e 350.000 euro. Quarto posto per Carli Llyod, americana, che gioca nello Sky Blue, con 345.000 euro, subito sotto la brasiliana Marta che pure gioca nel campionato stelle e strisce con 340.000 euro. Discorso a parte per la già citata Alex Morgan, che nel complesso supera tutte con 1.9 milioni di sterline di compensi all’anno, di cui però una grossa percentuale deriva da accordi commerciali. E qui l’argomento diventa interessante anche per le nostre ragazze, che nel giro di 3-4 mesi hanno visto crescere i numeri dei loro account social in maniera esponenziale.
Effetto Azzurre. Cosa dicono sponsor e social network?
Quando il 24 marzo Juventus e Fiorentina hanno disputato all’Allianz Stadium la sfida scudetto, sono andato a vedere i numeri di alcune calciatrici su Instagram e ho fatto alcuni screenshot dei loro profili per vedere che cosa sarebbe successo qualche mese dopo. Esattamente quello che pensavo: Sara Gama è passata da 30.000 fan a quasi 90.000, la Bonansea da 65.000 a 150.000. Su tutti i loro profili si legge “per info e collaborazioni”, ma chi ci ha pensato a marzo ha pagato cifre molto diverse da quelle che pagherebbe ora.
Le calciatrici italiane rappresentano i valori di lealtà, agonismo, ambizione, diversity (Sara Gama non è caucasica, molte ragazze sono dichiaratamente omosessuali), e sono molto appetibili per i marchi in un’epoca in cui, come ama ripetere Paolo Iabichino, i brand devono prendere posizione per posizionarsi. Senza diventare influencer o instagramer, è molto più semplice per loro poter vivere di solo calcio rispetto alle colleghe delle decadi precedenti, che non avevano nessun media – figurarsi i propri – a disposizione. Sarà una bolla? Personalmente credo di no. L’attenzione non può che aumentare, e l’esempio di gente come Marta o Alex Morgan, e della stessa Barbara Bonansea, ambassador di un brand italiano di pasta, sarà utile a tutto il movimento.
Nel frattempo c’è da arrivare dove l’Italia femminile non è arrivata mai. Ad armi impari, dilettanti contro professioniste, ma con una grandissima voglia. Forza ragazze.
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