L’emergenza chiede trasparenza: il Governo condivida i dati

“Il governo renda pubblici i dati”: l’appello di scienziati, media e cittadini per gestire meglio l’emergenza sanitaria diventa una campagna online, a cui anche SenzaFiltro ha scelto di partecipare come promotore.

Il COVID-19 avanza. L’Italia si tinge sempre più di rosso e arancione, gli ospedali sono quasi al collasso e i medici chiedono misure più drastiche. Ma c’è un’altra questione che desta preoccupazione: la poca trasparenza dei dati. Sono perlopiù scienziati, di diversa estrazione istituzionale e disciplinare, a denunciarlo. L’assenza o la frammentarietà di informazioni impedisce loro di capire il virus, le dinamiche dei contagi e dunque di scongiurare disastri. Inoltre crea un danno alle fondamenta della democrazia, impedendoci di esercitare i nostri diritti di cittadinanza.

Le uniche informazioni che sappiamo, di cui ci viene fatta comunicazione giornalmente, sono il numero dei positivi, quello dei tamponi effettuati e quello dei decessi. Ma in un contesto di incertezze tra paure e tensioni, i cittadini si pongono una miriade di altre domande alla quale occorre dare una risposta. Per esempio, “in quali contesti c’è un rischio maggiore di contagio”, oppure, “su quali basi vengono prese le misure restrittive”.

Arranchiamo nel buio noi e arrancano nel buio anche gli scienziati. “La comunità scientifica non lavora così, ha bisogno di dati, di una discussione”, spiega Giorgio Parisi, fisico di fama internazionale e presidente dell’Accademia dei Lincei. “In assenza di trasparenza tutte le conclusioni diventano contestabili, sia sul piano scientifico che su quello politico”.

Parisi, ospite in un dibattito organizzato da L’Improbabile, collettivo di lavoratori dell’Istat che ha avuto luogo lo scorso mercoledì interamente online, ha messo in luce una serie di criticità del sistema informativo sanitario. Insieme a lui erano presenti anche Stefania Salmaso, esperta indipendente in epidemiologia, ex direttrice del CNESPS – ISS; Giorgio Alleva, direttore del MEMOTEF (Dipartimento Metodi e Modelli per l’Economia, il Territorio e la Finanza) dell’ Università di Roma “La Sapienza”; e Roberto Monducci, direttore del Dipartimento per la produzione statistica. Dal dibattito emerge un quadro non proprio rassicurante.

L’indice Rt? Uno specchio retrovisore: “Inaffidabile”

“Se i dati non sono affidabili, il risultato non è affidabile”: Parisi punta il dito contro le crepe del sistema di monitoraggio attuale.

In primo luogo, le regioni devono trasmettere il numero dei positivi in modo tempestivo e integrale, e questo non sta accadendo. In secondo luogo, serve sapere quando le persone si sono ammalate. In assenza di queste informazioni il fattore di riproduzione Rt non si può calcolare. Serve anche sapere il numero delle persone che entrano ed escono dalle terapie intensive, le chiamate ai Pronto Soccorso regionali, lo stato di salute al momento del tampone, la distribuzione di età, ecc. Sono dunque molte le informazioni di cui si sente la mancanza, ma che consentirebbero un monitoraggio molto più efficiente della crescita epidemica.

Sull’inaffidabilità dell’Rt,e in generale sul sistema di monitoraggio che informa le decisioni politiche secondo il Dpcm del 3 novembre 2020, insiste da tempo anche Nino Cartabellotta, medico e presidente della Fondazione GIMBE.

Il valore di Rt è inappropriato per informare decisioni rapide, perché oltre a essere stimato sui contagi di 2-3 settimane fa presenta numerosi limiti”, spiega nell’audizione in Commissione Affari sociali alla Camera del 10 novembre. “Viene stimato solo sui casi sintomatici, circa 1/3 dei casi totali; si basa sulla data inizio sintomi, che molte regioni non comunicano per il 100% dei casi, determinando una sottostima dell’indice; è strettamente dipendente dalla qualità e tempestività dei dati inviati dalle regioni”, e “quando i casi sono pochi rischia di sovrastimare la diffusione del contagio”.

Con il sistema adottato in questo momento, dunque, stiamo guardando indietro, attraverso uno specchio retrovisore, mentre lo sguardo dovrebbe essere proiettato in avanti.

Da dove vengono i dati sul COVID-19 in Italia?

In Italia sono due le fonti d’informazione dell’epidemia.

Da una parte abbiamo la Protezione Civile, che raccoglie quotidianamente informazioni sul numero totale di test positivi, decessi e ricoveri in terapia intensiva. Dall’altra parte l’ISS, che fornisce dettagli individuali come l’età o la data d’insorgenza dei sintomi.

Questi dati, però, non circolano in formato disaggregato all’interno della comunità scientifica: la loro gestione è controllata e monopolizzata a livello centrale dall’ordinanza 640 della Protezione Civile del 27 febbraio 2020.

“Prima ogni regione poteva vedere i propri dati, ma non poteva vedere quelli degli altri”, spiega Stefania Salmaso, ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia e sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità. “Ecco perché quando si è cercato di mettere una sorta di graduatoria, come quella dei colori dei vari rischi, per la prima volta le regioni hanno iniziato a guardarsi l’un l’altra, e sono nate polemiche e diffidenze reciproche. Ma le liti tra le varie regioni sono un lusso che non possiamo permetterci”.

L’Istat c’è: più dati per gestire pandemia e crisi

“A otto mesi dall’inizio dei contagi non sappiamo ancora quale sia la prevalenza nella popolazione”, afferma Giorgio Alleva, ex presidente Istat e direttore del MEMOTEF della Sapienza. “In generale ci si è accontentati dei dati disponibili senza riflettere e progettare la raccolta di quelli che realmente sono necessari per capire”.

Per questo secondo Alleva serve una “genuina disponibilità all’interdisciplinarietà” e “disegni congiunti che sfruttino e valorizzino il potenziale informatico delle diverse fonti. La nostra proposta è, appunto, progettare un’integrazione tra sorveglianza sanitaria e un monitoraggio statistico”.  

Ma qual è dunque il ruolo dell’Istat in questo periodo convulso, visto che è proprio dall’iniziativa di alcuni suoi giovani lavoratori che ha preso vita questa riflessione su Pandemia, dati e democrazia? L’Istituto Italiano di Statistica è stato al centro di diverse importanti iniziative, dalla produzione di report sulla mortalità legata al COVID-19 all’indagine (temporanea) di sieroprevalenza sul SARS-CoV-2, che è stata realizzata col Ministero della salute e con la collaborazione della Croce Rossa.

“Credo che il nostro Istituto abbia avuto un impatto importante”, afferma Davide Zurlo, ricercatore Istat, “ma credo anche che la statistica ufficiale possa e debba avere un ruolo più centrale nel valutare sia l’evoluzione della pandemia, che il grande impatto economico e sociale che questa crisi sanitaria sta generando in milioni di famiglie di lavoratori e di lavoratrici”.

Una questione di democrazia: la campagna #datibenecomune

In una democrazia non devono esserci segreti: a pensarla così è il grande filosofo e giurista, Norberto Bobbio. Lo sostiene anche Einaudi nelle sue sempre attualissime Prediche inutili. “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”.

Il principio di pubblicità, e quindi la trasparenza del governo, è il principio fondamentale di uno stato democratico. Ciò significa che i cittadini hanno diritto di conoscere i dati su cui si basano le decisioni politiche che investono le loro vite. Ed è questo l’assunto su cui si basa la campagna #datibenecomune (l’ultima delle tante sul tema), con la quale si chiede al governo di rendere disponibili, aperti, machine readable e disaggregati tutti i dati comunicati dalle regioni al governo dall’inizio dell’epidemia.

Sono una settantina i promotori dell’iniziativa, tra associazioni, ONG e media – compreso SenzaFiltro – e oltre 25.700 le persone che al 16 novembre hanno firmato la petizione su change.org. Nell’appello si legge: “Da questi dati dipende la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la nostra salute mentale: vogliamo che siano pubblici! E vogliamo che siano in formato aperto, perché dobbiamo permettere agli scienziati e ai giornalisti di lavorare per bene”.

Per aderire alla petizione #datibenecomune promossa anche da SenzaFiltro, firma qui:

https://bit.ly/36K7rnf

Photo credits: www.lesechos.fr

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