“L’università non è Netflix: fate sacrifici”. Discriminati gli studenti che richiedono la DaD

La didattica a distanza, in università, è un importante strumento di inclusione per chi lavora o ha problemi di salute. Eppure le resistenze sono numerose. Inquadriamo la situazione con il collettivo UNIDAD e Alessandra Continenza e Francesco Giansanti, dell’Università dell’Aquila.

Rispetto della vera inclusione, rispetto delle pari opportunità, rispetto per la propria situazione. È un loop doveroso quello che ribadisce la parola rispetto, e lo sa bene chi vede calpestati i propri diritti, come esplicitano forte e chiaro i numerosi studenti e studentesse che fanno parte del gruppo UNIDAD – Universitari per la Didattica a Distanza Integrata, progetto attivato da quattro studenti lavoratori del DAMS di Torino.

Al centro dell’attenzione, senza indugi o remore, tuona il tema della tutela del diritto allo studio. Un diritto spesso martoriato dalle contraddizioni del contesto italiano, se pensiamo ai casi già raccontati da SenzaFiltro di bambini con disabilità delle scuole elementari esclusi dalla didattica in presenza – opportunità ribadita dallo stesso MIUR nonché loro diritto fondamentale; e allo stesso tempo alle richieste spesso inascoltate o disattese di numerosi studenti universitari che chiedono di proseguire con la didattica a distanza integrata, senza limitarla alla sola fase di emergenza.

UNIDAD: chi sono gli studenti che chiedono la didattica a distanza integrata?

La pandemia scoccata nel 2020 ha portato a adottare capillarmente la didattica a distanza da parte degli atenei universitari pubblici, modalità che prima sembrava appannaggio esclusivo delle università telematiche, fortemente discusse per i costi elitari. Ma elitario può avere una deriva discriminante e non riguarda solo l’aspetto dei costi, bensì anche quello del tempo, oltre che degli impegni, come conferma UNIDAD, il cui gruppo è composto da persone con diverse età e situazioni differenti, guidate da motivi non conciliabili con la presenza quotidiana in aula.

Parliamo di persone che lavorano (anche per mantenersi agli studi), che hanno disabilità o patologie che impediscono loro spostamenti quotidiani, che sono caregiver e devono quindi assistere con continuità i famigliari, tra cui anziani, ragazzi o bambini con disturbi o disabilità. Parliamo anche di genitori con figli piccoli e non dimentichiamo l’aspetto economico visto che viaggiare quotidianamente come pendolari – ma soprattutto prendere in affitto un appartamento in un’altra città – ha un impatto notevole sulle risorse economiche e sul tempo.

Eppure, nonostante non manchino i mezzi per mantenere la didattica a distanza, le risposte concrete da parte di diverse università arranca, come ci spiega Giulia Brazzale, studentessa lavoratrice. Lei stessa fa l’insegnante, ed è referente di UNIDAD per il territorio di Venezia e in particolare per l’università Ca’ Foscari.

“Sono entrata nel gruppo Facebook di UNIDAD nel 2020”, racconta. “Leggendo il post di un ragazzo che frequentava la mia stessa università è partita l’idea di creare un gruppo specifico in modo da unire le forze e inviare le nostre richieste scritte alla rettrice. A giugno 2021 abbiamo raccolto più di seicento firme, mentre la lettera realizzata ad agosto è stata firmata da quasi mille studenti dell’ateneo Ca’ Foscari”.

Esito? “Non abbiamo mai ottenuto risposta alle lettere, ma qualcosa si è mosso, credo grazie ad alcuni confronti diretti con i docenti in occasione dei quali io e altri studenti, ancora nel 2020, abbiamo espresso sinceramente l’esigenza di mantenere la didattica a distanza integrata, spiegando quanto fosse utile e importante proseguirla per i casi come il nostro. Credo che questi confronti diretti, più che le lettere, abbiano portato la Ca’ Foscari ad annunciare a fine agosto l’attivazione di servizi personalizzati per particolari categorie di studenti”.

Un lieto fine apparente, specifica Giulia Brazzale: “Da un lato sembra essere stato raggiunto un buon compromesso, dall’altro molte cose risultano tuttora vaghe. Quando infatti non sarà più obbligatorio per i docenti fare lo streaming, che cosa succederà a noi studenti a distanza? Ci troveremo senza niente?”.

“L’università non è Netflix”. I luoghi comuni degli universitari contro l’inclusività

Il mancato o parziale riscontro alle istanze di UNIDAD non conosce particolari riferimenti territoriali, il problema è trasversale e riguarda diverse zone d’Italia. La contraddizione è servita, di nuovo: da un lato una sempre maggiore digitalizzazione che riguarda tanti ambiti e settori del nostro Paese, dall’altro una chiara ritrosia nei suoi confronti, dimostrata da una buona fetta del mondo accademico.

Ci sono casi virtuosi di università che riconoscono l’importanza di questa opportunità, altre che glissano o fanno orecchie da mercante. Ma – ci chiediamo – che cosa osteggia la didattica a distanza integrata a livello universitario, visto consentirebbe inclusione alla formazione per tutti, meno disagi di traffico e spostamenti, e più tutela delle risorse economiche, valorizzando al meglio il tempo dedicato allo studio?

“I motivi sono vari e derivano dalle università come dai docenti”, chiosa Giulia Brazzale. “C’è chi è poco portato per la tecnologia, molti invece ci tengono a ribadire la differenza rispetto alle università online, e non considerano le problematiche come la nostra”. Emblematica la frase che ci riporta la nostra intervistata: “Un docente ha persino detto che fare veri sacrifici nella vita significa alzarsi alle sei del mattino, prendere il treno e spostarsi per chilometri, perché frequentare l’università non significa guardare una serie di Netflix. C’è stato anche chi ha proposto addirittura qualcosa di separato per gli studenti lavoratori”.

I componenti di UNIDAD se la sono dovuta vedere anche con diversi luoghi comuni duri da scardinare: “Ribadiamo che non vogliamo l’abolizione della lezione in presenza, ma la tutela di una modalità ibrida che consenta la partecipazione di tutti, non togliamo nulla a nessuno – sottolinea Giulia Brazzale –Si tratta di creare un’armonia tra le varie esigenze”.

Chi osteggia la DaD? Gli affittuari e alcuni studenti in presenza: “Ci chiamano studenti in pigiama”

C’è anche il dubbio che a storcere parecchio il naso sul mantenimento della modalità a distanza siano in diversi casi gli stessi enti comunali e chi affitta gli appartamenti, che in questo caso perderebbe occasioni di entrata.

“La nostra università la scorsa estate aveva ad esempio comunicato che a settembre si sarebbe tornati tutti in presenza, e molti si sono affrettati per prendere l’appartamento. La stessa università ha atteso fino all’ultimo per avvisarci che poi sarebbe rimasto lo streaming, sottolineando però che chi segue da casa non può intervenire, ma solo ascoltare”.

Non meno importante è il tema dello spreco delle risorse economiche investite per la didattica a distanza: “Sono state implementate telecamere, strumentazioni e software appositi per consentire le lezioni da remoto: che cosa facciamo di tutto questo, che ha avuto un costo? Non lo utilizziamo e lo buttiamo via? La modalità ibrida tra presenza e online sarebbe un compromesso di tutela di queste risorse investite”.

Cogliamo infine anche una ritrosia da parte di alcuni studenti in presenza, che considerano coloro che seguono le lezioni a distanza come studenti di serie B. “Noi di UNIDAD, soprattutto nel corso dell’estate, abbiamo assistito a una sorta di campagna mediatica contro la didattica a distanza integrata. Siamo persino stati definiti studenti in pigiama, che non c’entra nulla con noi. Ci sono anche stati studenti in presenza che hanno espresso il loro timore rispetto al fatto di mantenere la didattica a distanza integrata perché in questo modo non avrebbero trovato più il motivo, giustificato ai loro genitori, per avere l’appartamento in un’altra città. Un’esperienza sicuramente bella, quella di seguire lezioni ed eventi dal vivo, ma ripeto, non sostenibile per tutti: non deve esserci guerra tra noi”.

Gli studenti caregiver rivendicano diritto allo studio: “Il tema riguarda tutti, può succedere a chiunque”

I paradossi che abbiamo rintracciato sul tema a partire dalla scorsa estate sono davvero tanti, e includono persino master e corsi di formazione dedicati al tema della disabilità, che presentano richiesta di obbligo di frequenza anche per le lezioni teoriche. Da una segreteria di queste realtà ci è stato risposto come motivazione: “In presenza si creano migliori relazioni”. E chi è esso stesso disabile o caregiver e vuole formarsi sul tema per svilupparne un lavoro come fa? Abbiamo ricevuto solo risposte vaghe e confuse.

Un esempio emblematico è rappresentato dalla storia in carne e ossa di Antonio Demarcus, classe 1975 e residente in provincia di Sassari. Collabora con UNIDAD a livello nazionale, attivando in prima persona importanti iniziative focalizzate sulla situazione dei caregiver familiari che studiano. Antonio infatti è lui stesso caregiver, e assiste la madre che presenta invalidità e forti problematiche di salute. Un’assistenza senza possibilità di stop e che lo ha portato a fare diverse rinunce, senza però chiudere nel cassetto l’obiettivo di laurearsi, come suo diritto.

“Mi mancano due esami per ottenere la laurea in ingegneria ambientale, ma dovrei fare più di 400 chilometri tra andata e ritorno a Cagliari e non posso assentarmi così tanto”, racconta. “Sono arrabbiato, soprattutto per le risposte assenti o di sole parole date da università e istituzioni, oltre che dall’indifferenza di molti giornalisti che non considerano questo tema degno di nota”.

La battaglia di Antonio Demarcus è rappresentata da un corposo lavoro di sensibilizzazione che coinvolge anche un documento di 13 punti preparato da lui stesso, oltre a lettere inviate a tutte le università italiane e a diverse istituzioni, tra cui la Presidenza della Repubblica. L’obiettivo è quello di consentire agli studenti e alle studentesse caregiver – che includono anche persone che hanno fratelli o sorelle con disabilità da assistere, e definiti Siblings – di vedere rispettato il diritto allo studio.

Tredici punti che riguardano non solo la possibilità della DAD ma anche, ad esempio, aspetti focali come l’esonero dalla tassazione per gli studenti caregiver fuori corso, agevolazioni per acquisto libri e software, calendarizzazione degli esami. Alcuni traguardi importanti sono stati raggiunti proprio grazie all’azione di Antonio: “A settembre 2020 l’università di Cagliari è stata la prima a riconoscere l’esonero dalla tassazione per i caregiver e so che all’università di Napoli Federico II stanno cercando di organizzare qualcosa”.

Quello che caldeggia Antonio è un cambiamento reale: “Occorre garantire possibilità di seguire le lezioni e dare esami a distanza a chi è caregiver, avere anche le registrazioni oltre ad agevolazioni a livello di tasse. Trovo umiliante l’indifferenza spesso dimostrata da parte delle istituzioni e dei gruppi universitari, perché questo è un tema che riguarda tutti: potenzialmente chiunque, infatti, può diventare disabile o caregiver; non si può prevedere. Tutelare la nostra situazione è un dovere”.

Alessandra Continenza, prorettrice Univaq: “DaD valore aggiunto per l’inclusione didattica”

Ci confrontiamo infine con l’Università dell’Aquila, che proprio nel 2020 ha realizzato un dettagliato questionario che ha coinvolto il tema della didattica a distanza rilevando importanti riscontri da parte degli studenti.

Ce lo conferma Alessandra Continenza, docente e prorettrice delegata alla didattica del dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche: “Consideriamo la didattica a distanza un valore aggiunto che può ritornare utile anche per lo studente che frequenta in presenza, il quale può recuperare attraverso la registrazione una lezione persa”.

L’università in questione ha garantito di poter mantenere la modalità a distanza a varie categorie, tra cui studenti lavoratori, con disabilità certificata o ad esempio con un determinato ISEE: “Abbiamo sempre mostrato un’attenzione particolare per chi lavora”, afferma Continenza. “Non dev’esserci conflitto tra le diverse modalità”. E sottolinea: “Occorre ragionare per trovare una regolamentazione sulla questione che coinvolga tutte le università del territorio nazionale. Da un lato continuiamo a definirci un ateneo in presenza, che si distingue dalle università telematiche con cui non vogliamo essere confuse, considerando anche che ci sono discipline improponibili a distanza: incoraggiamo chi può permetterselo a venire in presenza. Dall’altro intendiamo valorizzare la modalità a distanza per chi ne necessita, rafforzando sempre più l’inclusione didattica”.

Il ruolo positivo della modalità mista: “Più di 7.000 studenti coinvolti, con inclusione della LIS”

A confermare l’intento è anche Francesco Giansanti, referente di ateneo per tutorato, orientamento e placement: “La didattica a distanza ha avuto un successo inatteso e intendiamo continuare con la modalità mista, utilizzando la doppia piattaforma per raggiungere capillarmente gli studenti universitari e delle superiori, in modo da dare loro maggiori possibilità”.

Interfacciandosi con le scuole superiori di secondo grado esplicita: “Con la modalità online sono stati coinvolti nelle nostre iniziative più di 7.000 studenti delle superiori. Abbiamo fatto anche open day e tutoraggio e utilizzato in diversi eventi la LIS (Lingua dei Segni Italiana). Nel 2020 abbiamo retto molto bene sul fronte dell’occupabilità degli studenti in uscita rispetto ad altri atenei: questa modalità ha di sicuro avuto un ruolo positivo”.

Dopo aver ascoltato diverse voci e storie, infine ci chiediamo: tra le esigenze di tanti studenti e studentesse e quelle del mondo universitario italiano ci potrà mai essere un generale e autentico incontro, magari in questo caso senza “debita distanza”?

Photo credits: ibolive.unipd.it

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