La Corte dei conti contro i medici lombardi: i rimborsi previsti dalla regione per le visite di guardia medica fuori ambito vanno restituiti.
Medici Senza Fissa Dimora: la politica dia una residenza fittizia ai malati invisibili
Come funziona l’assistenza sanitaria per i senzatetto? Chi non ha residenza fatica ad usufruirne con gravi rischi per la salute. Ma ci sono progetti che rispondono a questa lacuna.
“Io resto a casa”: ricordate questa frase? Sparsa in loop sui social, salita sul podio degli hashtag del 2020, fraintesa da troppi, è sicuramente impossibile da dimenticare. Ma nel corso di questa pandemia si è dimenticato troppo spesso che c’è chi una casa in cui restare non ce l’ha proprio, e anzi, con il distanziamento sociale ci convive ogni giorno, preda di una situazione che invece di proteggere la salute la scalfisce.
Parliamo delle persone senza fissa dimora, che vivono in strada o in sistemazioni di fortuna (come le stazioni dei treni) e che possono rivolgersi a dormitori o a strutture di accoglienza notturna. I termini usati per indicarle sono tanti, dai più esplicativi, come “senzatetto”, a quelli sprezzanti, il famoso “barboni”, ricorrendo anche alla morbidezza della lingua francese “clochard” per attutire in maniera ipocrita la durezza di qualcosa di scomodo e allo stesso tempo invisibile.
Gianfranco Costanzo, INMP: “Il paradigma va capovolto per intercettare persone con fragilità”
“Quando si parla dei senza fissa dimora è impossibile fornire numeri precisi sulla quantità, ma solo stime approssimative proprio a causa dell’emarginazione sociale che rende difficile identificarne la presenza”, sottolinea Gianfranco Costanzo, direttore sanitario dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP). “Il trend conferma che stanno aumentando e che la pandemia sta incrementando le disuguaglianze, così come le nuove povertà”.
Con il direttore dell’INMP approdiamo subito al nostro tema cardine, ossia la pesante difficoltà dei senza fissa dimora a usufruire dell’assistenza sanitaria. Avere una residenza resta infatti uno dei prerequisiti essenziali per richiedere il cosiddetto medico di base, oltre che per usufruire di misure di sostegno sociale e del diritto di voto.
L’istituto coordinato da Costanzo, con sede a Roma, si occupa proprio di fornire assistenza sanitaria alle persone senza fissa dimora, compresi esami specialistici, ma sussiste un grande problema, non solo sul fronte logistico: “Da noi si applica uno spirito sanitario universale, che non esclude nessuno, ma si fatica a intercettare le persone che necessitano del servizio: il paradigma andrebbe capovolto”.
In che modo? “Attraverso un’alleanza tra enti pubblici, terzo settore e ASL. Attualmente questo dialogo manca, e come istituto stiamo cercando di promuoverlo perché la medicina di prossimità può esistere solo così. Anziché aspettare che le persone con fragilità si rivolgano ai servizi è necessario che i servizi di tipo sociale e sanitario le intercettino, coinvolgano e indirizzino. Questa emarginazione crescente la pagheremo in maniera pesante: abbiamo milioni di persone sempre più escluse da cure e supporti”.
Chi sono i senza fissa dimora, e come lo si diventa?
Salute e lavoro: due ambiti cardine della vita, ma lacerati spesso, soprattutto nell’ultimo anno, da un aut aut che stride così tanto da perdere credibilità. Si è chiesto spesso di rinunciare a un’attività lavorativa in nome della salute, dimenticando che questi due elementi sono come fratelli siamesi: ferire uno dei due significa creare ripercussioni sull’altro. Già durante la prima fase di contenimento hanno iniziato a inasprirsi i numeri delle nuove povertà, mentre numerosi studi confermano che le persone più marginalizzate dal punto di vista socioeconomico presentano un rischio aumentato di contrarre gravi malattie o di morire prematuramente.
“Quella delle persone senza fissa dimora è una condizione dinamica, che ruota quasi sempre intorno alla questione lavorativa, come la perdita dell’occupazione oppure la povertà lavorativa, ossia lavori che non consentono un reddito adeguato”, spiega Costanzo. “Non parliamo solo di persone immigrate, ma anche di nazionalità italiana: una quota importante che sta crescendo e che comprende anche ex mariti separati che non riescono a sostenere le spese per la famiglia e il costo di un nuovo alloggio”.
Una soluzione per la questione dell’assistenza sanitaria potrebbe essere la residenza fittizia e a Roma – dove si stima che le persone senza fissa dimora siano circa ottomila– è stata scelta per questo ruolo via Valente, ma il problema resta lo stesso: “A iscriversi sono persone magari intercettate dalle associazioni di volontariato; serve un’azione capillare”.
Oltre al problema della dispersione si aggiunge anche quello dello scollamento contraddittorio tra normativa e organizzazione effettiva: “Se da un lato viene riconosciuto il diritto ad accedere, per esempio, a profilassi di vaccinazione e non solo, dall’altro permane da parte delle regioni la richiesta di una regolarità amministrativa che purtroppo chi è privo di residenza ha perduto”.
Perdita del lavoro, perdita della casa, dei diritti e della salute a più livelli: il circolo vizioso che s’innesca è da brividi. “Il lavoro viene a mancare totalmente e nel giro di poco tempo ci si ritrova per la strada, aumenta il grado di isolamento, è come perdere l’identità: non ricevi più la posta, non puoi nemmeno fare il contratto per un telefonino. Si crolla spesso in un’estraneazione che conduce a pesanti problematiche psichiche e a dipendenze come l’alcolismo. Ne vediamo tanti di casi come questi”.
Medici Senza Fissa Dimora: volontari per garantire assistenza sanitaria a chi non ce l’ha
Colmare una lacuna, ma soprattutto dare una risposta concreta. È con questo intento che si sviluppa il progetto Medici Senza Fissa Dimora, nato a fine 2018 da un’idea di quattro amici, provenienti da ambiti professionali diversi, che uniscono le forze per fornire assistenza sanitaria gratuita a coloro che ne sono esclusi o che faticano ad accedervi, confermando come anche sul fronte volontariato c’è chi accende una luce concreta laddove i margini risultano più complessi.
I fondatori si chiamano Gianluca Pesce, Angelo Giuffrida, Federico Petruio e Andrea Belli, il vicepresidente, che raggiungiamo telefonicamente a Lido di Ostia, dove viene svolta l’attività ambulatoriale in uno spazio messo a disposizione dalla chiesa di San Nicola. “Il gruppo è formato da medici di base, farmacisti, psicologi, tra cui io, e infermieri” ci racconta. “Complessivamente siamo circa trenta volontari, la maggior parte medici di base”. Volontari che due volte al mese – ogni primo e terzo sabato, ma sono previste variazioni nel caso di necessità – effettuano controlli medici e colloqui psicologici, oltre a fornire gratuitamente farmaci raccolti attraverso il Banco Farmaceutico. “Ci sono anche volontari che operano in diversi ambiti: comunicazione, fund raising, organizzazione, informatica”, specifica.
Al centro del progetto la tutela del diritto alla salute, come espresso dall’articolo 32 della Costituzione italiana, e la prevenzione di possibili effetti deleteri: “Chi vive in condizioni di estrema fragilità espone il proprio fisico a situazioni in cui banali problemi di salute, se non adeguatamente trattati, possono degenerare in situazioni di maggiore gravità o cronicizzarsi, procurando maggiori spese per il servizio sanitario stesso”.
Le persone senza fissa dimora possono comunque rivolgersi al pronto soccorso, ma tocchiamo una problematica rovente: la presa in carico da parte di un servizio che, pur con priorità differenti, dovrebbe trattare situazioni di urgenza e che non può garantire monitoraggio nel tempo e visite specialistiche se non dettate dall’emergenza.
“Abbiamo avuto situazioni di pazienti con dolori, dermatiti e anche scabbia; inoltre siamo provvisti di medicinali che possiamo somministrare”. La questione farmaci occupa un ruolo fondamentale se pensiamo che chi non ha fissa dimora è sprovvisto di un medico di base che prepari le ricette per acquistarli.
La condizione delle persone senza fissa dimora risulta anche più difficile in epoca COVID-19, in cui si è parlato, forse per la prima volta in termini forti, dell’esigenza di una reale presenza della medicina territoriale. Andrea Belli ci spiega come stanno affrontando la pandemia: “All’inizio purtroppo abbiamo dovuto chiudere l’ambulatorio, garantendo comunque assistenza psicologica telefonica a chiunque ne avesse bisogno; poi appena ce l’hanno consentito l’abbiamo riaperto. Altro contributo importante è stata la donazione di farmaci da banco che noi avevamo raccolto, e che sono stati distribuiti ai cittadini in difficoltà direttamente dal municipio con cui abbiamo collaborato”.
Il freddo attuale resta un altro terribile nemico, che purtroppo in diverse situazioni non lascia scampo.
Il progetto di assistenza medica itinerante per raggiungere chi ne ha bisogno
La condizione di mancanza di fissa dimora può scaturire da diverse cause. Anche il vicepresidente dell’associazione sfata subito un luogo comune: “Da quello che abbiamo potuto riscontrare, praticamente in nessun caso si tratta di scelta consapevole di vita. La maggior parte sono persone che hanno perso il lavoro, magari proprio a causa di problemi di salute inconciliabili con la tenuta del lavoro stesso. Diversi sono immigrati dall’Est Europa o italiani che vivono per strada”.
Obbligo e volontà di cura: due facce di una stessa medaglia. I confini tra tutela della salute e libertà individuale sono spesso labili e frastagliati, ricordando che nessuno può essere costretto a un trattamento sanitario se non per obbligo di legge. Tra le persone senza fissa dimora c’è anche una parte che presenta condizioni di malattia mentale o comunque fragilità psichica. Chiediamo se sia difficile creare una relazione terapeutica e mantenerla con chi vive queste condizioni estreme: “Abbiamo incontrato circa un’ottantina di persone, e con una quindicina di queste si è instaurato un rapporto stabile di fiducia: tornano per farsi controllare capendo quanto questo sia importante”.
Medici Senza Fissa Dimora non è solo un nome, ma anche tutto un programma, come ci illustra il suo vicepresidente: “Con questa denominazione non ci riferiamo solo alle persone che vogliamo aiutare, ma indichiamo anche un obiettivo che abbiamo fin dall’inizio, ossia acquistare un mezzo per fare assistenza in maniera itinerante. Attualmente veniamo infatti raggiunti da coloro che fanno parte di un determinato circuito territoriale, ma non riusciamo a raggiungere tutta la potenziale popolazione che necessita del servizio. Vorremmo noi per primi non essere fissi proprio per dare supporto ai pazienti”.
Non possiamo infine fare a meno di pensare a una questione che si tramuta automaticamente in una domanda scomoda: senza il volontariato chi vive ai margini e necessita di cure e farmaci che destino avrebbe? “Un progetto di questo tipo sarebbe da istituzionalizzare per arrivare alla tutela completa e rendere effettiva la possibilità della residenza fittizia”, ammette Andrea Belli. “Servirebbero più risorse per gli assistenti sociali per individuare chi necessita di questo, ma la dinamica è quella del cane che si morde la coda: la mancanza di fondi strutturali impedisce l’attivazione di queste risorse. Servirebbe più lungimiranza per evitare gravi conseguenze per le persone e spese maggiori per il servizio sanitario”.
Non servono studi per confermare che l’indigenza non porta salute, e men che meno il tanto decantato benessere, soprattutto in un Paese dove il servizio pubblico viene celebrato a parole ma poi, non di rado purtroppo, ci si deve spesso dirottare sul privato non solo per prevenire ma anche per curare. Sarebbe davvero ora di abbattere gli ipotetici compartimenti stagni tra salute e lavoro, sostentamento e benessere, radunando tutto sotto una sola parola che non lascia spazio ai dubbi: emergenza.
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