RSA: tutti i conti sulla vecchiaia degli italiani

Assistenza agli anziani, com’è e come dovrebbe essere: chi investe nelle RSA e che differenza c’è tra strutture pubbliche e private?

Uno dei prezzi più alti della prima ondata della pandemia è stata pagata dai pazienti delle RSA.

L’Istituto Superiore di Sanità ha reso noti i risultati della survey nazionale sul contagio COVID-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie dal 1 febbraio al 30 aprile 2020, segnalando 9.154 decessi, concentrati soprattutto in Lombardia, Piemonte e Veneto. Stiamo parlando di un quadro parziale, perché non tutte le strutture italiane hanno risposto al questionario dell’ISS; ma al di là delle responsabilità – ci sono indagini in corso condotte da diverse magistrature – è chiaro come l’emergenza sanitaria abbia contribuito ad accendere i riflettori sulla questione delle RSA, o meglio sul tema dell’assistenza agli anziani e sul business che rappresenta.

L’invecchiamento della popolazione: conseguenze economiche e sociali

La maggiore longevità affiancata alla minore natalità sta determinando un innalzamento dell’età media della popolazione europea: in base al report della Commissione europea sui cambiamenti demografici dello scorso giugno, nel 2070 il 30,3% della popolazione avrà più di 65 anni e solo il 51% sarà in età lavorativa (20-64 anni), rispetto al 59% del 2019. Si prevede poi che dal 2019 al 2070 la percentuale di persone di età pari o superiore a 80 anni risulterà più che raddoppiata, attestandosi al 13%.

A fornirci un quadro più preciso sull’Italia è l’indagine del Centro Studi di Confindustria sulla Silver Economy risalente a febbraio 2020. Il nostro Paese conta una quota di over 65 tra le più alte al mondo: nel 2018 erano 13,6 milioni (22,8% del totale), in aumento dell’11% dal 2012, e si prevede saranno quasi 20 milioni (34%) nel 2047.

In Italia ogni tre persone attive ce n’è una over 65. Si tratta del valore più elevato in Europa (31%) e il secondo al mondo dopo il Giappone (46%). Questo andamento – sottolinea l’indagine di Confindustria – pone criticità come la sostenibilità del sistema pensionistico e l’aumento della spesa sanitaria, ma allarga anche il perimetro dell’economia della terza età. Ne fanno parte l’offerta di beni e servizi per la terza età – la domanda generata direttamente dagli over 65 in Italia è rilevante – e l’erogazione di servizi sanitari, la cosiddetta Long Term Care, ovvero le prestazioni per la non autosufficienza, dall’assistenza alle residenze per anziani.

Italia, deficit di posti letto nelle RSA

In un Paese anziano come il nostro, dove i nuclei familiari sono sempre più ridotti, l’assistenza agli anziani – spesso non autosufficienti – è una sfida inderogabile.

Grazie ai dati dell’Osservatorio settoriale sulle RSA della LIUC Business School sappiamo che in Italia ci sono 7.372 case di riposo, di cui solo 1.302 pubbliche, divise in strutture residenziali di assistenza per anziani (3.365), strutture per l’assistenza psichiatrica (2.035) e altre strutture residenziali di assistenza per disabili fisici, psichici e pazienti terminali.

È un numero che rischia di essere insufficiente. L’attuale offerta del nostro Paese è di 18,6 posti letto in RSA per mille abitanti anziani contro la media Ocse di 43,8 posti letto per mille anziani. Un dato che ci posiziona solo davanti a Grecia, Turchia, Polonia e Lettonia. Servirebbero, nelle proiezioni dell’Osservatorio, oltre 600.000 posti letto oggi e più di 859.000 nel 2050, in relazione alla popolazione over 80.

Sulla strada della privatizzazione e della concentrazione: i colossi proprietari delle RSA

La retta di un ospite di una RSA è composta da una quota sanitaria (tariffa) a carico del Servizio Sanitario Nazionale, per le RSA accreditate che abbiano stipulato un contratto con il SSN, e una quota alberghiera (retta), coperta solo in parte dal pubblico, e poi a carico dell’ospite stesso (eventualmente con quota a carico dei comuni in caso di indigenza). Entrambe le componenti variano da regione e regione.

Da chi sono gestite queste residenze? Dai comuni (26,7%), da privati no profit come cooperative o fondazioni religiose (48%) e per il restante 25% circa da società private profit. Nel 2017 le strutture private risultano 6.070, cioè l’82,3% del totale. In costante crescita negli ultimi anni è proprio l’offerta del comparto privato profit, che bilancia in parte l’uscita di operatori privati no profit generalmente di dimensioni modeste.

Nel segmento profit la tariffa media tende a essere significativamente più alta rispetto al privato no profit, perché maggiormente elevata è la quota alberghiera (si parla di almeno 2.500 euro di retta mensile). Da qui l’attrattività del business rappresentato dalle RSA, che richiama grandi gruppi privati disposti a investire in maniera ingente per realizzare nuove strutture.

Data l’elevata incidenza dei costi fissi, l’aspetto dimensionale è un fattore decisivo per la redditività; la spinta è verso un progressivo aumento dimensionale attraverso un processo di concentrazione. Nel mercato si affermano così pochi grandi player, tra cui Kos del gruppo CIR – De Benedetti con il marchio Anni Azzurri; Tosinvest della famiglia Angelucci, con le residenze San Raffaele; Sereni Orizzonti della famiglia friulana Blasoni; il Gruppo Gheron, controllato al 90% dagli imprenditori Massimo e Sergio Bariani; Eukedos Spa, società quotata al segmento MTA di Borsa Italiana tramite la controllata Edos Srl.

Nel nostro Paese operano anche due colossi internazionali come Korian Segesta (possiede in Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Spagna più di 950 strutture) e Orpea (presente con 1.014 strutture in 22 Paesi del mondo).

Le RSA che ingolosiscono la finanza

In uno studio del 2019 sul settore delle RSA e sulle relative strategie di gestione, promosso da UBI Banca (con i contributi di Duff & Phelps REAG e Legance–Avvocati Associati), si sottolinea come il mercato senior housing & care risulti molto attrattivo nei Paesi europei, che come abbiamo visto stanno registrando un aumento dell’età media della popolazione e dell’aspettativa di vita.

Si tratta di investimenti a basso rischio: i canoni di locazione annui sono compresi in un range che varia dai 5.000 ai 9.000 euro a posto letto, con rendimenti medi lordi del 6,0 – 7,5%. In base all’indagine, in Italia sono circa venti gli investitori istituzionali (Sgr/Sicaf) che gestiscono nei loro portafogli strutture sanitarie tra cui le RSA, che risultano essere circa cinquanta, per un totale di circa 5.600 posti letto. I gestori di tali RSA sono sia organizzazioni profit che no profit di primario standing.

In particolare, gli immobili risultano inseriti in ventuno fondi immobiliari, i quali sono o specializzati nel settore health care o caratterizzati da una diversificazione di asset class.

I primi passi per riformare l’assistenza agli anziani in Italia

È un’inchiesta di Dataroom di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera a prendere in esame altre zone d’ombra della gestione operata dal settore privato, come la formazione e i compensi degli infermieri non adeguati; e poi il nodo delle case famiglia e delle strutture a carattere comunitario, che non prendono contributi pubblici ma non richiedono autorizzazioni preventive al loro funzionamento.

Recita l’inchiesta: “Delle oltre 1.500 irregolarità riscontrate nel 2019 per abbandono di persone incapaci, maltrattamenti, omicidi colposi, esercizio abusivo della professione, troppi ospiti in una stanza, scarsa pulizia, pasti o alimenti in cattivo stato di conservazione, oltre il 75% riguardano proprio le case famiglia e i privati convenzionati”.

Alla luce di tutti questi aspetti, appare più che mai necessaria la decisione del ministro della Salute Roberto Speranza di istituire una commissione per la riforma dell’assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana; commissione presieduta da Monsignor Vincenzo Paglia, gran cancelliere del Pontificio Istituto Teologico per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia.

Un primo orientamento è emerso il 3 febbraio, quando è stato approvato il documento di impostazione che la Commissione ha proposto per migliorare l’assistenza agli anziani di concerto con le associazioni (tra cui Auser, Federanziani, Cittadinanzattiva). La priorità che sembra affermare la Commissione è il superamento dell’istituzionalizzazione a tutti i costi (residenze assistite e ospedali per lungodegenti), unica soluzione all’assistenza degli anziani, a favore di un modello fondato su una pluralità di servizi sul territorio.

“Sentiamo la necessità – avverte la nota – di un servizio sanitario che sappia offrire l’intero spettro dei servizi, da quelli di rete e prossimità, di lotta alla solitudine e di prevenzione, a interventi domiciliari di sostegno sociale e sanitario continuativo, alla semiresidenzialità in centri diurni, fino alla residenze sanitarie e assistenziali in grado di offrire sempre elevati standard qualitativi, avendo in mente interventi riabilitativi e terapeutici con l’obiettivo di far tornare a casa, ove è possibile, i pazienti anziani. Il Recovery plan sarà l’occasione per muoversi verso questa sanità centrata sul paziente e sulle sue necessità”.

Ripensare l’attuale modello di welfare non deve più essere un’utopia.

Photo by Matteo Vistocco on Unsplash

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