A Milano il 25% delle aziende scoperte su disabilità e obbligo di assunzione

Intervistiamo Simone Cerlini, dirigente di AFOL Metropolitana, un’azienda che colloca persone con disabilità nel mondo del lavoro e avvicina le aziende alla cultura dell’inclusione.

Persone con disabilità e ricerca del lavoro: un tema sul quale non va mai abbassata la guardia non solo per gli stereotipi che vanno tuttora affrontati, ma anche perché i dati dichiarano una situazione tutt’altro che luminosa. Secondo il rapporto ISTAT pubblicato a fine 2019, nell’ambito della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni risulta avere un’occupazione solo il 31,3% di coloro che presentano gravi limitazioni (26,7% tra le donne, 36,3% tra gli uomini), a dispetto del 57,8% delle persone senza limitazioni. Le differenze emergono anche a livello territoriale: nelle Regioni del Sud solo il 19% delle persone con disabilità ha un’occupazione; al Nord il dato è al 37%, mentre quello del Centro è al 42%.

Non solo numeri, ma prima di tutto storie in carne e ossa dove la mancanza di occupazione può anche accompagnarsi alla penuria o all’assenza di supporti famigliari, con l’esito di gravi disagi economici che determinano ricadute pesanti sulla propria condizione. Il tema della mancata occupazione delle persone con disabilità si intreccia così con quello del Reddito di Cittadinanza, e su questo delicato punto ci confrontiamo con Simone Cerlini, dirigente divisione lavoro di AFOL Metropolitana di Milano.

Simone Cerlini, dirigente divisione lavoro di AFOL Metropolitana di Milano

AFOL Metropolitana e i servizi verso le aziende per trovare e mantenere un lavoro alle persone con disabilità

AFOL Metropolitana è un’azienda consortile partecipata dalla città metropolitana di Milano e da 71 Comuni, compreso il capoluogo. Tra gli obiettivi principali che persegue c’è proprio la prevenzione e il contrasto alla disoccupazione attraverso la gestione di un articolato insieme di servizi. In questo caso ci focalizziamo sul servizio occupazione disabili, riguardante l’attività di collocamento mirato, che ha due uffici: uno dedicato agli utenti e uno alle aziende.

“Queste due aree lavorano in stretta sinergia per supportare le imprese nell’attivazione di percorsi di inserimento lavorativo dedicati alle categorie protette e alle persone con disabilità”, spiega Simone Cerlini. Secondo la normativa vigente le aziende che per numero dipendenti sono tenute ad assumere persone con disabilità devono produrre un prospetto informativo che illustra la situazione. “Il nostro servizio analizza ogni anno oltre 10.000 prospetti informativi aziendali. L’obiettivo è quello di verificare le imprese che non sono in regola rispetto ai principi della legge 68/99” sottolinea Cerlini, il quale rivela anche: “Circa il 25% di queste 10.000 aziende manifestano una scopertura”.

A questo proposito AFOL Metropolitana attiva un servizio chiamato Promotori 68, il cui nome definisce già il programma: “Si tratta di consulenti con una competenza specifica”, precisa Cerlini. “Accompagnano le aziende promuovendo la cultura dell’inclusione e della gestione della diversità attivando gli strumenti previsti dalla legge 68/99 e dal decreto legislativo 150/2015. I Promotori 68 possono identificare posti di lavoro in cui inserire persone con disabilità oppure attivare delle convenzioni con le cooperative sociali, tirocini, borse lavoro. Mettiamo a disposizione tutti gli strumenti sostenuti dal Fondo Regionale Disabili gestito dalle province”. Ricordiamo che Fondo Regionale disabili è alimentato proprio dalle sanzioni pagate dalle aziende che non hanno adempiuto all’obbligo di assunzione delle persone con disabilità.

Cerlini ci parla anche del Piano Emergo, “attraverso il quale vengono attivati strumenti di politica attiva come l’analisi delle competenze, lo scouting, l’accompagnamento, eccetera. Ci sono anche servizi dedicati e specifici per persone con disabilità grave. I Promotori 68 presentano questo pacchetto di possibilità alle aziende per adempiere correttamente al loro dovere e affinché il lavoro non solo venga trovato, ma anche mantenuto. Questione fondamentale”.

Obbligo di assunzione per disabilità, come si comportano le aziende di diverse dimensioni

Immergerci nella conoscenza dei servizi e delle dinamiche attuali previste dalle normative costituisce un passaggio essenziale per trattare senza reticenze il nostro tema. Possiamo dire che i servizi non mancano, ma ci chiediamo anche: le imprese chiamate all’obbligo di assunzione rispondono positivamente a questi “trattamenti”?

“Devo dire di sì”, afferma Cerlini. “Certo, i casi di furbizia non mancano, ma sono davvero la minoranza”. E sottolinea: “Soprattutto nelle aziende più grandi e strutturate abbiamo colto sensibilità e vera attenzione nei confronti del tema dell’inclusione e del diversity management. Ciò che manca spesso è invece la conoscenza relativa agli strumenti che si possono utilizzare per concretizzare tutto ciò. Ci sono poi situazioni complesse, come quella del computo delle persone con disabilità da assumere o da calcolare come assunte: pensiamo a chi ha una patologia oncologica ma magari nasconde la situazione. Questo influisce anche sugli strumenti da attivare”.

Abbiamo parlato di grandi aziende, ma riflettiamo sul fatto che il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato da una forte presenza della piccola e media impresa, che comunque rientra nell’obbligo di assunzione di persone con disabilità se ha dai 15 dipendenti in su. Queste imprese come accolgono i servizi di promozione dell’inclusione?

“Dopo una resistenza iniziale, non di tipo antropologico ma data sempre dalla scarsa conoscenza, una volta compreso il contributo prezioso che una persona con disabilità può dare lavorativamente l’atteggiamento cambia”, spiega Simone Cerlini. “L’inclusione non è un processo immediato, ma va accompagnato. Tolte le visioni stereotipate, arrivare a capire che una persona con disabilità ha i suoi pregi e i suoi difetti come tutti crea un rapporto paritetico nel contesto di lavoro, e una vera integrazione”.

Un aspetto che Cerlini evidenzia come fondamentale per promuovere l’occupazione è il lavoro di rete con altri operatori e realtà sul territorio. “Non possiamo essere esperti di tutto. Lavorare in rete ci permette di intercettare opportunità che da soli non riusciremmo a cogliere, così da erogare servizi migliori: questa è una strada che intendiamo proseguire con determinazione in AFOL”. Non mancano le criticità: “Se la rete ci aiuta molto dall’altra parte permane una lacuna: ad oggi manca un dispositivo che possa facilitare il lavoro dell’operatore per orientare l’utente con disabilità all’offerta formativa più adeguata. L’operatore si trova infatti a gestire liste corpose, anche di 1.500 proposte, e su cui fare una scrematura riguardo a diversi elementi: questa attività richiede strumenti che la snelliscano”.

“Ci sono aziende che preferiscono pagare l’esonero invece di investire nell’inclusione”

Rispetto ai servizi erogati, AFOL Metropolitana ci fornisce dati che esplicano un quadro relativo all’anno 2021 (dati Ufficio Fasce Deboli): 730 sono le persone con disabilità prese in carico dai vari progetti, tra cui Emergo; 198 le persone con disabilità inserite sul lavoro; 339 i tirocini attivati; 119 le persone con disabilità coinvolte in progetti mantenimento del posto di lavoro; 270 le offerte di lavoro avviate. Dati freschi del 2022: da gennaio ad oggi solo per il territorio di Milano sono stati avviate 130 offerte di lavoro.

Servizi e reti che si sviluppano, inclusioni lavorative che si concretizzano; dall’altro lato però permane un nutrito segmento di persone che non riescono a raggiungere il traguardo dell’occupazione. Chiediamo a Cerlini, ragionando dal suo osservatorio, quali siano le cause di questa parte scoperta.

“Sono varie. Questo è un periodo occupazionale fortunato, in cui i posti di lavoro si stanno creando. Parto a citare un fattore intrinseco: le persone con disabilità riescono magari a trovare lavoro ma hanno una difficoltà a mantenerlo, entrano nel mercato del lavoro e poi ri-escono per svariati motivi. Inoltre c’è ancora molta strada da fare nella costruzione di una vera cultura dell’inclusione: permangono aziende che puntano a pagare l’esonero anziché a investire in essa”. E aggiunge: “Va infine detto che l’attività di matching tra domanda e offerta è delicata. Non siamo in un’economia fordista, occorre fare un’analisi e trovare la persona giusta per il contesto adatto: questa è una responsabilità di chi opera nei servizi”.

Reddito di Cittadinanza e ricerca di lavoro: il parere di Simone Cerlini di AFOL Metropolitana

Arriviamo all’altro tema focale: qualora non abbia supporti famigliari o di altro tipo, chi non trova occupazione scivola prima o poi in una condizione di disagio economico. Mettendo al bando visioni manichee, il Reddito di Cittadinanza in questa dinamica come si inserisce? È un deterrente al lavoro, come lamentano alcuni imprenditori, o un fronte diverso che non interferisce con la spinta a cercare un’occupazione?

“Personalmente non lo considero uno strumento perfetto né ritengo sia da buttare”, chiosa Simone Cerlini. “Il RdC nasce come sostegno al reddito in situazioni di grave disagio economico, e da questo punto di vista mi sembra funzioni: è una boccata di ossigeno a favore di chiunque presenti questa condizione, indipendentemente dal fatto che abbia lavorato o meno. Al contempo però presenta problemi di natura strutturale: mancano al suo interno strumenti che favoriscono la transizione al lavoro. Ad oggi è e resta uno strumento di aiuto nella situazione di emergenza e disagio, questo deve essere chiaro”.

Cerlini evidenzia altre pecche: “Si è parlato molto degli operatori che gestiscono il RdC, ma ci sono alla base elementi che rendono la norma inapplicabile: come potevo avere pronte a inizio 2020 persone che dovevano ancora avere il tempo di essere formate per il servizio? Inoltre, andrebbero snelliti alcuni passaggi ad oggi troppo dispersivi”.

Rispetto alla lamentela degli imprenditori che ravvedono nel RdC un ostacolo a trovare personale, commenta: “Il mancato matching tra domanda e offerta non dipende di certo dal sostegno al reddito, sono altri fattori la causa. Se da un lato, come dicevo, non è uno strumento che accompagna al lavoro, perché non detiene questa funzione, dall’altro non è di certo ciò che spinge le persone a non cercare un’occupazione. Se fosse così queste persone non si presenterebbero al processo di selezione che un’azienda davvero seria deve comunque fare. A determinare il rifiuto di un posto di lavoro sono ben altri fattori”. Quali, ad esempio? “Siamo in un periodo in cui per lo sviluppo del prodotto interno lordo c’è una forte ricerca di personale, ma ci sono aziende che ad oggi faticano a cambiare il modo di reclutare le persone. Chi si candida per una posizione di lavoro oggi non guarda solo la mansione, ma anche, e molto, la reputazione dell’azienda: si informa su come vengono trattate le persone al suo interno. Se il candidato legge ad esempio che un’azienda paga poco, il personale vive situazioni di disagio o viene trattato male è molto probabile che cerchi un’altra offerta. Per attrarre candidati, siano essi anche talenti, occorre lavorare sulla reputazione aziendale”. Una reputazione, aggiungiamo noi, che si realizza solo se c’è vera coerenza tra fatti e parole, senza scollamenti.

Altri fattori? “La territorialità. Ad esempio noi fatichiamo a trovare autisti, ma il problema non è del Reddito di Cittadinanza: chi è del territorio è magari già impegnato in altri lavori; per coinvolgere qualcuno di altri territori occorre fare in modo che possa inserirsi adeguatamente qui nel nostro, senza spese eccessive, e a questo stiamo già lavorando”.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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Foto di copertina di Tommaso Picone da Pixabay

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