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Zara e Shein, siete insostenibili. Troppi voli per il fast fashion
Il report firmato da Public Eye e Abiti Puliti mostra dati scioccanti: per le richieste del fast fashion partono venti aerei cargo al giorno, quando i trasporti via nave inquinerebbero quattordici volte meno. Analizziamo i marchi che volano di più
Quello che compriamo sempre più spesso e a costi sempre più bassi fa male all’ambiente. Lo abbiamo già scritto in un reportage intitolato Sfilate Inquinate, dove vi abbiamo raccontato, facendo intervenire anche Greenpeace, tutti i danni prodotti consapevolmente dal fast fashion.
Sapete già che per produrre una maglietta che a noi costa pochi euro vengono consumati 2.700 litri di acqua. Sapete già che per tenere i costi così bassi si trascura la sicurezza dei lavoratori e non ci si preoccupa di inquinare falde acquifere e utilizzare Paesi, che a noi sembrano sperduti, come discariche. Sapete già che molti lavoratori vengono sfruttati per produrre quello che starà nel nostro armadio per poche settimane. E sapete già che nella maggior parte dei casi questi capi non sono neanche riciclabili.
Ma oggi sono state fatte ulteriori ricerche, e Public Eye (organizzazione che coordina la Clean Clothes Campaign svizzera) e Abiti Puliti hanno rendicontato in un report uscito ieri l’impatto del fast fashion sui trasporti, in particolare su quello aereo, e quindi sull’ambiente.
La moda vola troppo: venti aerei cargo al giorno
Del resto, la moda veloce ha bisogno di arrivare velocemente. Quindi per accorciare i tempi di rifornimento dei negozi, le aziende scelgono di spedire ogni anno centinaia di migliaia di tonnellate di vestiti per via aerea in tutto il mondo.
Maglie, maglioni, jeans e scarpe non sono beni deperibili, eppure ne vengono trasportate enormi quantità in aereo. La sola Unione europea ha importato ed esportato oltre 700.000 tonnellate di capi nel 2022, praticamente la capacità di carico di 7.000 grandi aerei cargo; venti voli cargo merci al giorno. L’aereo di certo riduce i tempi di trasporto, ma produce emissioni quattordici volte più dannose per il clima rispetto al trasporto via mare.
E quali sono i marchi che volano di più?
Le aziende sono molto poco trasparenti quando si parla di moda aerea, ma Public Eye ha condotto un’indagine accumulando informazioni pubbliche, notizie di media indipendenti e dati doganali, e la società madre di Zara, Inditex, ha praticamente vinto il premio del modello di business più inquinante dal punto di vista del trasporto aereo.
Neanche a dirlo, seguita da Shein, che ogni anno prenota un numero enorme di voli.
Sulle tracce del fast fashion: le direttrici in Spagna e in Cina
“A prescindere dal luogo di produzione, praticamente tutti i prodotti di Zara & Co. finiscono nei grandi centri di distribuzione che il gruppo gestisce intorno all’aeroporto di Saragozza, in Spagna. Lì i capi vengono ispezionati, assemblati e stirati per essere spediti ai negozi di tutto il mondo. All’aeroporto di Saragozza, Inditex gestisce ogni settimana circa 32 voli cargo con circa 100 tonnellate di vestiti a bordo. Si tratta di oltre 1.600 movimenti aerei all’anno” mi spiega Deborah Lucchetti, presidente Fair e coordinatrice nazionale della campagna Abiti Puliti.
Anche in Europa, dove il risparmio di tempo non è così considerevole, i prodotti tessili viaggiano in aereo.
“Nel 2022, almeno 42.658 tonnellate di vestiti sono state consegnate in aereo (ma visto che le merci non vengono sdoganate all’interno dell’UE, si tratta di dati parziali). E la quota di gran lunga maggiore di questi viaggi aerei proviene dalla Spagna – per la precisione il 64%”, continua Deborah Lucchetti.
Nel caso di distributori come Shein è più difficile reperire dati perché i prodotti non vengono raccolti nei centri di distribuzione, ma viaggiano direttamente verso i clienti. In sostanza Shein spedisce enormi quantità di capi dalla Cina a clienti privati in tutto il mondo sotto forma di singoli pacchi. Si sa però che il distributore nel luglio 2022 ha stretto una partnership strategica con China Southern Airlines per aumentare la sua capacità di volo. Quattro aerei cargo della più grande compagnia aerea asiatica fanno la spola sulle rotte principali di Shein tra Guangzhou e Los Angeles e Guangzhou e Amsterdam o Londra.
Volare non serve. Il profitto del fast fashion contro il guadagno collettivo
Nel rapporto si parla di marchi che conoscete tutti, di cui ognuno di noi probabilmente ha acquistato uno o più capi, e che fanno numeri eclatanti. Se cominciassero a ridurre i viaggi aerei ci guadagneremmo tutti, ma in generale l’appello vale per tutti i marchi, soprattutto per quelli che fanno fatturati da capogiro.
Anche perché Oscar Garcia Maceiras, il CEO di Inditex (che comprende i marchi Zara, Zara Home, Massimo Dutti, Bershka, Pull&Bear, Oysho e Stradivarius), in occasione dell’assemblea generale di La Coruña, in Spagna, ha potuto presentare ai suoi azionisti un utile netto di 4,1 miliardi di euro. Con un fatturato di 32,6 miliardi di euro, il margine di profitto registrato è di oltre il 12,5%. E in quell’occasione il gruppo non ha presentato soltanto grandi fatturati e grandi profitti, ma anche ambiziosi obiettivi di sostenibilità e promesse sul clima, tra cui “abiti ancora più ecologici”.
L’azienda agli occhi dei consumatori promuove una collezione realizzata con emissioni di carbonio riciclate e quindi sembra fare grandi sforzi di sostenibilità, ma poi fa viaggiare questi capi in aereo. Far volare la moda per mezzo mondo è un peso del tutto inutile e dannoso per l’ambiente; per questo sosteniamo la petizione lanciata da Abiti Puliti e Public Eye che chiede a Zara di prendere sul serio il suo impegno di maggiore sostenibilità e rinunciare alla moda aerea.
E a questa petizione aggiungo un mio personale appello: facciamo un passo indietro. Non ci serve un capo nuovo tutte le settimane, o peggio tutti i giorni. Evitiamo di uscire dai negozi di fast e ultra fast fashion con le valigie piene per poi buttare tutto nel dimenticatoio o nei raccoglitori che ci sono per strada il prossimo inverno. Tutto quello che buttiamo (a meno che non sia mono-fibra) non si ricicla e finisce in discariche a cielo aperto che invadono interi Paesi. Tutto quello che compriamo ha, per forza di cose, origine da un ciclo produttivo che ha inquinato. Non dobbiamo avere fretta di metterlo nel dimenticatoio.
La Commissione europea sta già lavorando perché il fast fashion “passi di moda”, ma senza aspettare le istituzioni anche da consumatori possiamo imporre un cambiamento, a cominciare da oggi, con il Black Friday sempre più vicino.
Da almeno una settimana stanno cercando di metterci in testa di comprare tutto quello che possiamo perché sul mercato ci saranno prodotti a prezzi mai visti prima. Tratteniamoci pensando che quello che non paghiamo noi (almeno per quanto riguarda il fast fashion) lo sta pagando un lavoratore in termini di sfruttamento, mancanza di diritti fondamentali e di condizioni minime di sicurezza.
Una regola, purtroppo, che vale quasi sempre.
Photo credits: exportiamo.it
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