Nutri-Score, l’Italia passa col rosso al semaforo del cibo

Il sistema di etichettatura di origine francese ha diviso l’Europa, con l’Italia che rischia di vedere danneggiati alcuni prodotti di punta. Vediamo come funziona l’etichetta della discordia e quali sono le opinioni a favore e contro il suo impiego.

Bastano cinque colori e cinque lettere per dividere l’Europa, e l’Italia, in materia di cibo. Sono quelli che compongono il cosiddetto Nutri-Score, il sistema di etichettatura francese da qualche mese al centro di un acceso dibattito internazionale, e non solo.

Motivo del contendere, la possibilità che proprio il Nutri-Score venga eletto come schema “frontale” (in inglese “FOPL”, acronimo di Front-Of-Pack Labeling) unico a livello europeo, in aggiunta alle informazioni nutrizionali obbligatorie già presenti sul retro della confezione.

Tra le ragioni di favorevoli e non ci sono gli interessi dei consumatori e la necessità di orientarne correttamente le scelte d’acquisto verso un regime alimentare sano.

Anche l’Italia, formalmente contraria al Nutri-Score e già autrice di una proposta alternativa in sede europea, è attraversata dalle medesime questioni, a cui si aggiungono i timori per le conseguenze economiche che questo sistema potrebbe avere sul Made in Italy e sulla filiera produttiva.

Nutri-Score: che cos’è e perché l’Italia si oppone al sistema francese

Formulato nel 2017 dagli epidemiologi francesi Serge Hercberg e Chantal Julia, il Nutri-Score calcola il valore nutrizionale di alimenti e bevande sulla base di fattori negativi come calorie, zuccheri, grassi saturi, sodio e caratteristiche positive (contenuto di frutta e frutta secca, verdure, fibre e proteine) per 100 grammi di prodotto. Il risultato è un punteggio che combina lettere e colori: dalla A verde scuro (“più salutare”) alla E rossa (“meno salutare”).

Fortemente auspicato da colossi industriali come Danone e Nestlé, il Nutri-Score è già stato adottato da Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Germania e Spagna (anche se oggi appare meno sicura) che, supportati da numerosi studi sul campo, ne difendono l’efficacia e la facilità di interpretazione.

Proprio quest’ultimo è l’aspetto maggiormente criticato da rappresentanti politici e portavoce dell’imprenditoria agroalimentare italiani. “Il Nutri-score è un bigino dell’alimentazione”, afferma Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti, che reputa la sintesi grafica proposta dall’etichettatura francese “profondamente sbagliata e fuorviante per il consumatore”. La valutazione così formulata, su una quantità standard di 100 grammi invece che su quella effettiva della confezione, finirebbe infatti per condizionare erroneamente i comportamenti d’acquisto. “A nessuno verrebbe in mente di scolarsi una bottiglia di olio extravergine di oliva”, prosegue, “ma se mi trovo un bollino rosso (in quanto grasso vegetale, N.d.R.) sono comunque meno propenso a comprarlo”.

E questo vale anche nel caso contrario: l’indicazione verde senza ulteriori specifiche potrebbe indurre a un consumo eccessivo e reiterato, con ricadute sulla salute dei singoli e, in ultimo, sull’industria alimentare.

“Questo è dannoso dal punto di vista dell’educazione del consumatore, che così viene indirizzato in modo semplicistico ed errato”, precisa Ivano Vacondio, presidente Federalimentare, “ma anche da quello delle aziende che potrebbero ritrovarsi a perdere fatturato sulla base di un indirizzo sbagliato. Chi vuole il Nutri-Score, del resto, ha anche interessi economici: vuole spingere determinati prodotti a discapito di altri, come per esempio le nostre eccellenze, famose e apprezzate in tutto il mondo”.

Chi ha paura di Nutri-Score: escludere i prodotti DOP e IGP dall’etichettatura

Secondo il resoconto Ismea sugli scambi con l’estero, nonostante la pandemia, nel 2020 l’agroalimentare italiano ha superato i 46 miliardi di fatturato, contando per l’11% sulle esportazioni complessive nazionali. Tra i prodotti di punta anche la pasta di semola (+20%), le conserve di pomodoro (+9,7%), mele e uva da tavola (entrambe rispettivamente con un +13%), kiwi (+2,4%) e olio di oliva (+6,4%).

“L’etichetta Nutri-Score colpirebbe ingiustamente quasi l’85% della produzione italiana a denominazione di origine (DOP/IGP), che l’Europa è invece chiamata a tutelare” fa sapere Confeuro in un recente comunicato stampa.

Linea condivisa anche da chi, quella speciale produzione italiana, in parte la rappresenta. Risale allo scorso aprile la sottoscrizione di Alessio Mammi, assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, alla raccolta firme “Semaforo rosso per il cibo Made in Italy? NO GRAZIE!” lanciata su Change.org.

“Etichettare prodotti di eccellenza come il ‘re dei formaggi’ o il prosciutto di Parma con un bollino rosso come se fossero cibi che mettono a rischio la salute è una vera e propria assurdità”, si legge sul sito della regione. Una regione che, da sola, vanta più di quaranta prodotti a marchio DOP o IGP.

Tra le ipotesi al vaglio per la tutela di queste categorie di alimenti c’è anche quella di escluderle del tutto dalla classificazione Nutri-Score, così come dall’alternativa italiana realizzata in risposta all’etichetta francese.

Nutrinform battery: l’alternativa italiana che non convince le associazioni dei consumatori

Si chiama Nutrinform Battery la controproposta sviluppata dal Governo italiano e presentata a gennaio 2020 alla Commissione Europea, dove ha raccolto il parere positivo di Romania, Repubblica Ceca, Cipro, Grecia e Ungheria.

Il simbolo che la contraddistingue è, come dice il nome, una batteria azzurra, ripetuta cinque volte: una per ognuno dei valori nutrizionali riportati, ovvero calorie, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale. La “carica” della pila, ovvero la quantità di energia o nutrienti contenuti, è espressa in percentuale in relazione alle assunzioni di riferimento europee e relativamente alla singola porzione. Gli stessi valori sono inoltre riportati in grammi per ciascuno dei cinque box.

Troppo ricca per dare una panoramica d’insieme immediata, senza indicatori cromatici chiari; troppo ambigua l’icona della pila che, contrariamente a quanto siamo abituati a pensare, in questo contesto più è carica e peggio è; troppo variabile il calcolo sulle singole porzioni di prodotto per consentire un paragone efficace, se non a seguito di un rapporto proporzionale che difficilmente l’acquirente si troverà a fare nel supermercato. Questi i dubbi di Altroconsumo, che boccia il sistema italiano ed è tra i primi ad aver siglato, insieme a oltre quattrocento esponenti internazionali di altre organizzazioni dei consumatori e della comunità scientifica, l’appello per l’implementazione del Nutri-Score indirizzato ai vertici europei lo scorso anno.

La soluzione? Un’etichetta completa e tanta educazione alimentare

Tra i firmatari dello stesso appello c’è anche Annamaria Colao, endocrinologa e titolare della Cattedra Unesco Educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile dell’Università Federico II di Napoli, che avverte: “Da medico devo fare una premessa: ci stiamo avvicinando a grandi passi verso un mondo obeso, già a partire dall’infanzia”. I dati lo confermano: l’OMS ha stimato che nel 2016 il 39% della popolazione adulta mondiale era sovrappeso, con 650 milioni di persone obese. Numeri triplicati nel giro di quarant’anni.

“Questo”, prosegue Colao, “è un problema non solo di salute, ma economico e sociale”. L’obesità, spiega, incide in ogni aspetto della vita, compresi quelli professionali: “Si tratta di pazienti che lavorano con disagio perché hanno un’occupazione dello spazio diversa rispetto a un individuo magro, si muovono con difficoltà, fanno fatica ad andare a un teatro o a un cinema perché a volte la sedia gli è scomoda, e così via”.

Per questo è importante definire un sistema verificato che aiuti il consumatore nelle sue scelte alimentari, almeno quando va a fare la spesa. Il limite principale di Nutri-Score, a suo parere, è lo stesso evidenziato da chi gli si oppone: una sintesi eccessiva che rischia di non tenere conto di aspetti qualitativi importanti. Anche Colao cita l’esempio dell’olio d’oliva e la necessità di dare indicazioni che evitino sia il suo abuso, sia la sua totale eliminazione dalla dieta, comportamenti parimenti nocivi per la salute di chi lo consuma. E puntualizza: “Io ho firmato la petizione per chiedere che venisse formato un gruppo di lavoro a livello europeo sul tema del Nutri-Score, per svilupparlo ulteriormente in una versione evoluta e completa di tutte le informazioni che attengono a un regime alimentare bilanciato”.

Una rete di professionisti della nutrizione, dunque, che a suo parere dovrebbe comprendere medici, ricercatori e anche economisti e istituzioni, ma non l’industria alimentare, perché, dice, “quando dietro a questi sistemi c’è qualcuno che potrebbe guadagnarci, il conflitto di interessi è troppo elevato per essere calcolato”. Certo, la salute dei consumatori deve rimanere il principio guida, “ma potendo”, chiosa Colao, “eviterei eventuali ingerenze ambigue al tavolo progettuale”.

Se l’adozione dell’una o dell’altra etichetta rimane un tema divisivo, ce n’è uno su cui appaiono tutti concordi: la necessità di un programma di educazione alimentare sofisticato e multilivello, capace di fornire gli strumenti giusti per una scelta che va ben oltre il carrello del supermercato.

Foto di copertina di Imants Kaziļuns su Unsplash

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