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Il lavoro sentirà presto parlare di Circular Working: definire l’identità lavorativa non attraverso l’appiattimento, ma la valorizzazione delle differenze.
La Grande Azienda vista dal di dentro Nella mia carriera lavorativa mi sono sempre occupata di scrittura professionale come libera professionista e, in passato, molto ho imparato dall’Isvor Fiat, la scuola di formazione manageriale dell’omonimo Gruppo. Adesso l’Isvor non esiste più e il Gruppo si chiama in un altro modo, ma fa lo stesso: le […]
Nella mia carriera lavorativa mi sono sempre occupata di scrittura professionale come libera professionista e, in passato, molto ho imparato dall’Isvor Fiat, la scuola di formazione manageriale dell’omonimo Gruppo. Adesso l’Isvor non esiste più e il Gruppo si chiama in un altro modo, ma fa lo stesso: le cose che ho imparato in quegli anni sono state preziosissime per affrontare i piccoli e grandi clienti di oggi.
Destreggiarmi tra interessi a volte divergenti di capi progetto, fornitori, consulenti tecnici, colleghi e clienti ha contribuito a rendermi una professionista attenta all’importanza delle parole che si usano nella comunicazione. Perché ho iniziato a scoprire allora che certe parole, scritte o pronunciate, non solo rallentano il buon andamento di un processo comunicativo, ma a volte lo stoppano proprio.
Grazie alle lezioni imparate in quegli anni di lavoro, ai successivi studi di neurolinguistica applicati alla scrittura, alle esperienze di questi ultimi anni come freelance con clienti di taglia e dimensioni diverse, posso mettere in fila alcuni tips utili a evitare i nemici della fluida comunicazione.
Come spiega benissimo Samuel L. Jackson ne “Il negoziatore”: “Mai dire no, non voglio, non posso. Il no elimina le opzioni: l’unica scelta che lascia è sparare a qualcuno”.
Certo che se scriviamo in una email un “no” non muore nessuno, però è vero che ripetere il “no” mette chi legge o chi ascolta con le spalle al muro: nessuna via d’uscita. Sarebbe meglio, pur pensandolo, evitarlo.
“Mi dispiace, questa settimana non posso portare a termine il lavoro che mi hai chiesto, proprio non riesco” può diventare “Questa settimana ha 7 giorni e sono quelli che mi servono per chiudere un progetto ormai iniziato. Prometto che lunedì mattina alle 8 sarò già alla scrivania a lavorare per te”.
Questa, invece, è la situazione in cui al posto di affermare qualcosa, neghiamo il suo contrario:
Sarebbe meglio trasformare queste espressioni in messaggi positivi:
Altro caso è quando giriamo al negativo inviti o affermazioni del tutto positivi:
La forma positiva è molto meglio:
Il suggerimento è di evitare tutte quelle espressioni in cui portiamo chi ci legge o chi ci ascolta a soffermarsi proprio su ciò che vogliamo negare o scongiurare:
Trovare la forma positiva per esprimere il medesimo concetto è un ottimo esercizio per il nostro cervello: partiamo dalle parole ma, in realtà, agiamo sui nostri pensieri. Mentre cerchiamo la forma positiva e più aperta nei confronti dell’interlocutore, stiamo già ristrutturando la situazione e forse ci è già balenata la soluzione al problema.
Riflettiamoci un momento: noi siamo abituati a pensare che quando qualcuno scrive o pronuncia la congiunzione “ma”, dopo arriverà la brutta notizia. Il “ma” (come “però” o “tuttavia”) si chiama congiunzione avversativa: già dal nome mette paura. Non so quanto vogliamo davvero usare una parolina che ci pone in contrasto con qualcuno.
Se ad esempio scrivo “Ti credo, ma controllo” ciò che il mio interlocutore percepisce è che non mi fido molto di lui, e gli dispiacerà.
Il suggerimento è quello di trasformare il “ma” nella congiunzione “e”, oppure in una virgola oppure ancora nei due punti.
Che cosa percepisce chi ci legge? Che gli crediamo e che, anzi, controlliamo perché pensiamo che forse l’errore l’abbiamo fatto noi. Non importa se non è così, qui ci vuole un po’ di quella che io chiamo fiction: fingendo di prenderci parte della responsabilità stiamo facendo scendere il nostro interlocutore dal banco degli imputati e lui si sentirà subito meglio, disponibile a venirci incontro e magari, adesso sì, pronto ad ammettere di aver sbagliato.
Quanta orticaria ci provoca la frase “fanno tutti così”? Di solito ci viene da pensare che questi “tutti” noi non li conosciamo e che generalizzare è stupido, molto spesso dannoso.
Ecco, alcune paroline come quelle in neretto (pronomi e avverbi) generalizzano un’esperienza, una situazione, un giudizio: teniamo a mente il fastidio che ci danno e cerchiamo di risparmiarle al nostro interlocutore.
Gli avverbi modali in generale, e quelli che terminano in –mente in particolare, sono un’altra categoria di parole che influiscono in modo abbastanza pesante sul tipo di relazione che si instaura tra un parlante e il suo interlocutore o tra chi scrive e chi legge. Sono infatti avverbi che esprimono l’atteggiamento di chi li usa.
Leggiamo questa sequenza e poi analizziamola.
A. Ha sicuramente ricevuto la mia mail
B. No, non l’ho ricevuta
A. Molto strano che non l’abbia ricevuta
B. Se le dico che non l’ho ricevuta è perché non l’ho ricevuta
A. Ovviamente dovremo verificare
B. Perché cacchio mette in dubbio quello che dico, adesso?
Come si può notare, l’uso ripetuto degli avverbi fa sì che, da una parte, A aumenti la dose di sfiducia nei confronti di B e che, dall’altra, B si senta messo sempre di più sotto accusa e percepisca una conseguente necessità di difendersi.
Chiariamo così.
Avverbi “agiti” dal parlante A
Sicuramente [sono sicuro che l’abbia ricevuta, non può essere che non l’abbia ricevuta, la ricevono tutti]
Molto strano [metto in dubbio la sua affermazione, non può essere che non l’abbia ricevuta, sta mentendo?]
Ovviamente [è ovvio che devo non solo accertarmi che lei abbia ricevuto la mail, ma anche sbugiardarla, lei mente]
Avverbi “subiti” dal parlante B
Sicuramente [perché è così sicuro che l’abbia ricevuta?]
Molto strano [scusi è, ma perché dovrebbe essere così difficile da credere? Succede che le mail si perdano]
Ovviamente [oh ma insomma, basta mettere in dubbio la mia versione, mi sta dando del bugiardo?].
Come si può venir fuori da un’escalation di tal fatta senza lasciare morti sul tappeto? Con una formula come questa:
“Può controllare che la nostra mail non sia finita per sbaglio nello spam? A volte ci è successo. Anche io controllo, meglio!”.
Ecco che in questo modo A e B escono entrambi vittoriosi dal confronto.
A fa tre cose:
Anche qui ci vuole la fiction? Eh sì. Non importa se A sa benissimo che B l’email l’ha ricevuta, in questo caso deve salvargli la faccia per ottenerne la collaborazione e quindi deve fingere di credere alla scusa di B.
B si sentirà sbalzato giù dal banco degli imputati e, da quel momento in poi, accetterà tutto ciò che A gli chiederà di fare, tranquillo come un agnellino. Perché da antagonista è diventato alleato.
I possibili suggerimenti che ho elencato valgono in azienda, tra responsabili e dipendenti o collaboratori; nel mondo dei liberi professionisti, tra collaboratori e aziende clienti. Valgono dovunque si voglia instaurare, oltre che un efficace rapporto di lavoro, anche una buona relazione con le persone: perché è questo l’aspetto che condurrà a un altro rapporto di lavoro e poi a un altro e poi a un altro ancora.
Chiudo dicendo che ogni giorno dobbiamo portarci a casa il nostro obiettivo lavorativo: se ci sono delle strade più facili da percorrere sfruttiamole, facciamo nostre le possibilità che la lingua italiana ci dà per venire incontro alle persone e, soprattutto, stiamo lontani dalle espressioni che rendono la vita di tutti più difficile.
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