Fatta la LIS, bisogna fare gli interpreti: in Italia sono solo 600

Con il Decreto Sostegni l’Italia riconosce la Lingua dei Segni Italiana, ma gli interpreti sono pochi, mal distribuiti e mal pagati. Serve una formazione ufficiale che passi anche dalle università. Ne parliamo con Francesca Malaspina, presidente Anios.

Ha avuto il via libera anche alla Camera l’articolo 34 bis nel Decreto Sostegni, attraverso cui “la Repubblica riconosce, promuove e tutela la Lingua dei Segni Italiana (LIS) e la Lingua dei Segni Italiana Tattile (LIST)”. L’emendamento, inoltre, riconosce le figure dell’interprete LIS e dell’interprete LIST quali professionisti specializzati nella traduzione e interpretazione rispettivamente della LIS e della LIST.

Siamo a una svolta. Le nostre battaglie hanno finalmente avuto un riscontro istituzionale”, commenta Francesca Malaspina, presidente nazionale di Anios, associazione degli interpreti di lingua dei segni italiana, che da trentacinque anni si batte per il riconoscimento della figura professionale dell’interprete. Finalmente l’Italia rispetta la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

“Le persone sorde meritano, dopo anni di lotte, servizi di qualità e professionisti preparati. Sarà necessario lavorare in ambito sanitario, scolastico, giudiziario, legale e notarile, rivedere l’impianto legislativo.”

Chi sono gli interpreti LIS in Italia? Soprattutto donne, e solo il 5% lavora full time

Facciamo un passo indietro. La figura dell’interprete LIS è quella di un professionista in possesso del titolo di interprete di lingua dei segni, e nasce dalla volontà delle persone sorde di instaurare un rapporto paritetico con la comunità udente. Ha il compito di trasmettere nella lingua che interpreta gli stessi concetti e messaggi del testo originale, al meglio delle sue capacità professionali, rispettando tutti gli aspetti sia linguistici che culturali del testo originale. Secondo il rapporto A comprehensive guide to sign language interpreting in Europe, 2020, di Maya de Wit, in Italia sono circa seicento gli interpreti professionisti di lingua dei segni.

Secondo un sondaggio Anios del 2018 su un campione di circa trecento professionisti (iscritti e non iscritti all’associazione), l’87,7% è costituito da interpreti donne. Tra i settori in cui si trovano principalmente a operare gli interpreti spicca l’ambito educativo (62,7%) all’interno delle scuole. Seguono servizi per organismi e istituzioni del settore privato (48,6%), interpretariato in conferenze (48,3%), per organismi e istituzioni del settore pubblico (48,6%), e a seguire servizi nell’ambito medico (41,1%), accademico (30,8%) e legale (28,1%). Vi è poi una serie di settori meno frequenti, tra cui rientrano quello notarile, turistico, televisivo e religioso.

Non c’è però corrispondenza tra domanda e offerta: gli interpreti sono troppo pochi per la popolazione sorda segnante. Nonostante ciò, solo il 5% dei professionisti lavora come interprete full time. Questo perché le condizioni di lavoro non sono adeguate, e spesso gli interpreti devono rifiutare incarichi perché troppo distanti – ci sono aree del Sud del Paese completamente scoperte – o perché non ricevono una paga adeguata. I nodi da sciogliere sono diversi.

I compensi esigui dell’interpretariato in ambito giuridico

Svolgere un servizio di interpretariato durante un processo, nelle varie udienze, presso un istituto di pena, o nel corso di una perizia tecnico-scientifica affiancata da altro CTU, richiede competenze e abilità cui non corrisponde una retribuzione dignitosa e proporzionata.

Gli interpreti rientrano in quella categoria di esperti di cui il sistema giudiziario si avvale (insieme a periti e consulenti) ma i cui compensi sono bassissimi. Il sistema di calcolo delle prestazioni è basato sulla vacazione: a una vacazione corrispondono due ore di servizio pagate 14,68 euro per la prima e 8,15 euro dalla seconda in poi, per un massimo di quattro vacazioni al giorno.

Il compenso, oltre a essere esiguo e inadeguato, molto spesso viene riconosciuto dopo diversi mesi; in alcuni casi anche anni. Decisamente un paradosso, se si considera il servizio di interpretariato come essenziale.

L’interpretariato in ambito sanitario: mancano consapevolezza e specializzazione

La relazione tra medico e paziente, l’aspetto legato alla sua privacy, l’importanza delle informazioni veicolate durante una visita o un intervento e la natura sensibile di queste informazioni sono tutti aspetti che rendono fondamentale la formazione dell’interprete, che deve possedere una solida preparazione linguistica, culturale e legata alle diverse modalità di comunicazione, etica e deontologica.

Peccato che, attualmente, i percorsi formativi per interpreti LIS non prevedano specializzazioni in ambito medico-sanitario. Quindi il professionista si forma attraverso eventi dedicati che rientrano in un programma di formazione continua normalmente offerto dalle associazioni di categoria professionale in Italia e all’estero, ma anche attraverso l’esperienza diretta di lavoro durante gli incarichi nell’ambito.

L’interpretariato in ambito sanitario è oggetto di studio anche in campo internazionale. Nel 2017 a Tolosa, in occasione del Forum Europeo degli Interpreti di Lingua dei Segni (EFSLI), una delle questioni emerse riguardava l’inconsapevolezza da parte dei sanitari rispetto alle modalità comunicative delle persone sorde, rispetto al ruolo dell’interprete e alle buone prassi da mettere in atto quando si usufruisce di un professionista della comunicazione.

Dalla formazione all’emancipazione degli interpreti LIS

“Il riconoscimento della Lingua dei Segni Italiana, della figura dell’interprete di lingua dei segni, dovrà passare necessariamente attraverso un passaggio fondamentale: la definizione di un percorso formativo accademico che renda omogenea la formazione su tutto il territorio nazionale e che garantisca degli standard qualitativi minimi”, evidenzia Francesca Malaspina.

Serviranno fondi per istituire ricerche sulla lingua dei segni e affinché vengano inseriti lettori sordi all’interno delle università. Finora la formazione degli interpreti LIS è stata delegata ad associazioni private; ora si potrà portare all’università il corso per interprete della lingua dei segni equiparandolo a quello per interprete vocale.

“La Legge del 14 gennaio 2013 n°4 (MISE) demanda alle associazioni la rappresentanza non esclusiva delle professioni non organizzate in albi o collegi, demanda la formazione permanente degli iscritti, il rilascio di un’attestazione di qualità, l’adozione di un codice di condotta e l’istituzione di uno sportello del consumatore a tutela dell’utenza, ma questo non può ritenersi esaustivo in termini di salvaguardia e tutela dei diritti di piena accessibilità delle persone sorde, alla luce del fatto che molti interpreti agiscono al di fuori delle realtà associative e dunque non sono assoggettati da quanto previsto dalla norma”, aggiunge la presidente Anios.

Anios, in quanto già membro del tavolo delle parti sociali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e consulente presso l’Università di Catania, in dialogo costante con il CNR di Roma relativamente ai percorsi afferenti alla professione dell’interprete LIS, rinnova la sua disponibilità a definire, di concerto al Miur e alle università, un percorso formativo che tenga conto delle riflessioni emerse in ambito europeo e dell’intesa tra Anios e AIIC (Associazione Internazionale degli Interpreti di Conferenza).

“Il processo di emancipazione della figura professionale dell’interprete rappresenta un’urgenza: questa garantisce la qualità dell’accessibilità ai servizi e alla vita politica e sociale delle persone sorde. Per questo sarebbe auspicabile dare piena attuazione alla Risoluzione del Parlamento europeo del 23 novembre 2016, in riferimento alla sezione Interpreti di lingua dei segni professionisti e qualificati, relativamente alla creazione di un registro come sistema di accreditamento ufficiale e di controllo della qualità, di enti super partes che non siano mossi da alcun interesse economico derivante dalla gestione degli interpreti”, conclude Francesca Malaspina.

Manifesto degli interpreti di Lingua dei Segni Italiana

  • L’interprete di Lingua dei Segni permette la comunicazione tra lingue, culture e comunità diverse, fa parte di questa comunicazione.
  • L’interprete di Lingua dei Segni è libero nel proprio lavoro, non deve essere vincolato da opinioni politiche e religiose proprie o altrui. Deve avere autonomia di decisione sull’accettazione o il rifiuto dell’incarico, sulle tecniche e sulle modalità di svolgimento dello stesso.
  • L’interprete di Lingua dei Segni è un professionista formato, aggiornato e riconosciuto tale dai propri colleghi e dalla committenza.
  • L’interprete di Lingua dei Segni ha diritto a una paga adeguata al lavoro svolto, a condizioni di lavoro corrette e giuste.
  • L’interprete di Lingua dei Segni è responsabile del proprio lavoro e ne risponde all’utente, ai propri colleghi e alla legge.
  • L’interprete di Lingua dei Segni ha il dovere di dignità e decoro, di riservatezza e segretezza prima, durante e dopo l’attività prestata.
  • L’interprete di Lingua dei Segni ha il dovere di essere leale, corretto e di rispettare la professionalità dei colleghi.

Photo credits: chacoenlineainforma.com

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