Permessi 104: le discriminazioni che non ti aspetti

La legge 104, che tutela lavoratori e lavoratrici che si prendono cura di una disabilità, troppo spesso è vista come un privilegio sul lavoro. Alcune esperienze di chi l’ha provato sulla propria pelle.

Diritto, non privilegio. Necessità, senza ombra di sfizio. La distinzione tra ciò che riguarda la legge 104/92 e ciò che è ben altro risulta netta e priva di dubbi. A fare da spartiacque è infatti una condizione che non deriva da una volontà, perché la disabilità di certo non si sceglie. Si convive con essa, andando avanti nonostante tutto. Un tutto che comprende il lavoro stesso.

A questo proposito, ci concentriamo sul tema dei permessi retribuiti ai sensi dell’articolo 33 della legge 104, che spettano ai/alle lavoratori/lavoratrici dipendenti, che siano essi stessi disabili o genitori di figli disabili, oppure coniugi, parti dell’unione civile, conviventi di fatto, parenti o affini entro il secondo grado: la gravità della condizione resta un prerequisito fondamentale. Esistono anche possibilità di estensioni specifiche.

In Italia, secondo i dati forniti dall’INPS e aggiornati al 2019, i beneficiari che hanno usufruito dei permessi personali sono 60.841, dei permessi per i famigliari invece 444.525. 1.120 invece coloro che hanno utilizzato il prolungamento dei congedi parentali, 58.094 se parliamo di congedi straordinari.

I permessi 104 – così comunemente chiamati – scaturiscono da una condizione valutata da una commissione integrata ASL/INPS, ma non per questo risultano intoccabili. Anzi, nel mondo lavorativo c’è chi tenta di sgualcire, se non calpestare del tutto, questo diritto. Pregiudizi, malfunzionamento organizzativo interno, dinamiche di prevaricazione o delega, oltre a una chiara mancanza di senso etico, scatenano situazioni di pressione, discriminazioni e soprusi. Numeri precisi non possiamo fornirne, trattandosi spesso di situazioni subdole e sommerse che sfociano anche nella perdita del lavoro del dipendente.

La testimonianza di B.: “In banca discriminazioni e sovraccarichi di lavoro dopo aver ottenuto i permessi 104”

Se da una parte i numeri latitano, le testimonianze di queste derive invece non mancano. Abbiamo deciso di raccontarne due, le più disarmanti.

La prima storia alla quale diamo voce proviene dalla Lombardia e da un contesto ritenuto solitamente tutelato: la banca. La nostra intervistata, che chiameremo B., ha un figlio con certificazione di disabilità che necessita di interventi terapeutici fin dalla tenera età.

“Ho iniziato a usare la 104 per accompagnare il mio bambino al centro di cura la mattina”, racconta. “Faccio un part-time e ho a disposizione quindici ore al mese di permessi, che utilizzo, come consentito dalla normativa, per entrare un’ora dopo in ufficio un giorno sì e un giorno no”.

Non tardano a comparire le prime avvisaglie di insofferenza all’interno del contesto lavorativo. “Quando arrivavo il mio direttore salutava senza guardarmi in faccia ma fissando l’orologio. Poi ha cominciato a buttare in malo modo degli oggetti sulla scrivania e a rispondermi in maniera maleducata. In seguito sono sopraggiunti sovraccarichi di lavoro, come se fossi in debito con lui e con il resto dei colleghi per via della 104”.

Arriva la goccia che fa traboccare il vaso: “Abbiamo trovato un topo in filiale, e invece che lasciarlo libero nel suo ambiente naturale il resto dei colleghi – in particolare una – voleva tenerlo lì. Una situazione per me inaccettabile dal punto di vista della tutela dei documenti, oltre che igienico e della salute. Un giorno, mentre ero alla macchinetta del caffè, è saltato fuori dalla busta dello zucchero: così ho detto ad alta voce che avrei allertato il nostro ufficio organizzativo se la situazione non fosse stata risolta. Il giorno dopo il direttore ha convocato una riunione, e davanti a tutti ha detto testuali parole: ‘B., i tuoi problemi personali devi lasciarli a casa’. E quali sarebbero?, gli ho chiesto. Nessuna risposta”.

Privacy violata, richiesta di un elemento fondamentale come l’igiene rigettata al mittente, sovraccarichi continui di lavoro, atteggiamenti umilianti. I permessi legati alla 104 per B. sembra richiedano il pagamento di un dazio, e anche salato. Per chi non lo sapesse, in banca ci sono anche le cosiddette pagelle di valutazione, e il voto per B., dopo aver ottenuto i permessi, scende improvvisamente a due, che nel contesto equivale al giudizio di parzialmente sufficiente.

Dopo l’ennesima violazione dei diritti la lavoratrice denuncia all’ufficio del personale le discriminazioni subite e le condizioni in cui doveva lavorare. L’ombra di una possibile denuncia mette di punto in bianco fine ai soprusi: “La famiglia prima di tutto, mi ha detto un giorno il direttore, come se nulla fosse successo prima. Gli ho ricordato che avere la 104 non è di certo un privilegio, eppure molta gente ignorante non vuole capirlo, anzi, prova fastidio per chi ce l’ha. Di casi come il mio ce ne sono vari nei luoghi di lavoro, mentre io pagherei per non averla”.

Inutile spiegare il perché.

La testimonianza di F.: “Mi cambiavano continuamente i turni per non farmi usufruire dei permessi”

La seconda testimonianza proviene sempre dalla Lombardia e stavolta non ha un lieto fine, come ci conferma la nostra intervistata F., che per anni ha lavorato come ausiliaria in una casa di cura accreditata dove si effettuano esami specialistici, oltre che ricoveri.

La gestione della struttura è affidata a figure religiose, e sul sito web spicca un richiamo esplicito ai valori del Vangelo, che evidentemente vengono bypassati dinanzi ai permessi 104. F ha un figlio autistico e si scontra con le prime difficoltà quando il bambino frequenta l’asilo.

“Per avere la diagnosi sono dovuta andare in un centro specializzato di un’altra città: già in quell’occasione al lavoro mi avevano fatto pesare la cosa nonostante fossi in ferie”. F. ottiene la 104: “Ho pianto perché ho avuto piena conferma di quanto la situazione fosse veramente grave”. Inizia a usufruire dei giorni di permesso e poco dopo sorgono pressioni da parte della caposala, che le chiede “quando finirà la storia?”, senza rendersi conto che l’autismo è una condizione a tempo indeterminato.

“Ho dovuto persino farmi preparare uno scritto dall’UONPIA che testimoniasse che mio figlio usufruiva del servizio per necessità: era arrivata a dirmi che vedendolo non sembrava che avesse veramente dei problemi”. Oltre a infierire sullo stato emotivo di F., la caposala le chiede di calendarizzare i permessi in giorni precisi: F. va incontro alla richiesta, ma viene avvisata anche che eventuali imprevisti di salute del bambino non sarebbero stati accolti bene.

“La situazione iniziava a diventare allucinante: alcune colleghe si dimostravano disponibili, altre invece mi contrastavano, e c’è stato anche chi ha detto che avrebbe voluto avere la mia stessa agevolazione. Le ho detto che avrebbe dovuto avere un figlio disabile: la caposala ha ripreso me per come le ho risposto”. F viene sempre fatta sentire in debito, tanto che si riduce a non fare più pause e con un monte ore part-time arriva a svolgere le mansioni di un tempo pieno: “Una mia collega se n’era accorta e mi diceva di rallentare”.

La situazione precipita quando deve accompagnare il figlio a una visita urgente e le resta un permesso disponibile, ma in un giorno diverso dal solito. La possibilità le viene negata: “Mi sono dovuta prendere la malattia per non rinunciarvi: assurdo! È anche intervenuto in aiuto il mio medico di famiglia, segnalando la cosa all’ufficio risorse umane”.

La deriva non tarda ad arrivare quando F. subisce un pesante ricatto dalla nuova madre superiora: “Con noi lavorava una ragazza disabile che a lei era sgradita. Ha fatto di tutto per farla andare via, arrivando addirittura a pretendere da me e dalla mia collega una lettera in cui dichiaravamo che questa ragazza dava fastidio. Ho denunciato tutto all’assistente sociale, che ha avvisato il direttore sanitario, ma senza effetti”.

Dopo il rifiuto iniziano i soprusi: “Mi sovraccaricavano di impegni e mi cambiavano continuamente i turni, facendomi così perdere i giorni di 104 e impedendomi di portare mio figlio alle terapie. Inoltre invadevano la mia vita privata con continue domande o insinuando che andassi a lavorare per togliermi dei capricci, io che mi alzavo alle cinque del mattino. La superiora mi minacciava dicendo che mi avrebbe trasferito a lavorare a Brescia, e di non osare replicare perché dovevo portare rispetto all’abito che indossava. C’è stato anche chi mi ha detto di lasciare il bambino a un vicino di casa nel caso non fosse stato bene. Ho dovuto prendere due mesi di aspettativa, mi sentivo sconfitta. Sono poi ritornata fino a che un giorno, rincasando, il mio bambino mi ha chiesto un sorriso: ho capito che avevo superato il limite. Tra le terapie di mio figlio e il lavoro ho scelto la sua salute”.

Il presente torce meno lo stomaco, ma non è esente da preoccupazioni: “Mi piacerebbe tornare a lavorare, ma quando nomino la 104 le prospettive si dileguano: le preoccupazioni per il futuro sono pesanti”.

“Informazione e segnalazioni tempestive al sindacato”: le indicazioni per tutelarsi

Resta importante confrontarsi con chi può garantire la tutela di un diritto fondamentale come quello che stiamo trattando. Contattiamo quindi Giovanni Pelizzoni, segretario del sindacato UILTEC di Mantova e membro dell’esecutivo di UIL Cremona-Mantova.

“Capita che ci siano casi di datori di lavoro che non vedono di buon occhio questa normativa”, esordisce. Che cosa si può fare per tutelarsi? “Va detto che non tutti i lavoratori sono ben coscienti dei loro diritti. Quando accadono queste prevaricazioni consiglio di rivolgersi al sindacato per prendere innanzitutto informazioni, al patronato per la parte burocratica, e poi di impostare una cosiddetta vertenza, anche se spesso si raggiunge prima un accordo con la parte coinvolta”.

E nel caso in cui a un lavoratore vengano continuamente cambiati i turni apposta? “Questo è un intento vessatorio che può essere dimostrato. Tra l’altro i giorni di 104 sono a carico dall’INPS, il datore di lavoro li anticipa solo, non sono un impegno economico per l’azienda”. Non dimentichiamo un’altra questione cardine: “Ci sono datori di lavoro che chiedono un preavviso sui giorni di assenza 104 per organizzarsi meglio. Ciò non toglie che in caso di urgenza il lavoratore ha comunque pieno diritto di assentarsi utilizzando il permesso senza dover dare preavviso. Questo è esplicitato nel contratto stesso. Con la buona volontà tutto si riesce a gestire; risulta più complicato fare sostituzioni nelle piccole realtà in quanto scarseggiano risorse umane”.

Una dinamica che è stata resa evidente con l’aumento dei giorni 104 durante il primo lockdown, quando molte famiglie sono state lasciate prive di servizi e senza sapere come conciliare il lavoro con la gestione del famigliare disabile. Sfioriamo infine l’altra faccia della medaglia, i casi frequenti di chi strumentalizza la 104 per fini non reali.

“La legge 104 è un diritto acquisito fondamentale”, avverte Pelizzoni. “Attenzione però: abusandone si rischia che venga messo in discussione, purtroppo anche a danno di chi ne ha veramente bisogno”.

Photo by Aliyah Jamous on Unsplash

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