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Persone transgender e lavoro, le PMI fanno peggio delle grandi aziende
I diritti e le difficoltà delle persone transgender in ambito lavorativo raccontate dall’attivista Antonia Monopoli, responsabile dello sportello Trans ALA di Milano: “Nelle aziende scarsa formazione sul tema. E c’è ancora lo stereotipo che assimila le persone trans a sex worker”
Stereotipi cristallizzati che si tramutano in pregiudizi, stereotipi scardinati che cedono il passo all’inclusione. Quando parliamo dei diritti in ambito lavorativo delle persone transgender in Italia ci troviamo di fronte a una situazione frastagliata. Se da un lato sono stati fatti diversi passi in avanti sul tema grazie a percorsi di formazione e sensibilizzazione gestiti da attivisti, esperti e associazioni dedicate, dall’altro lato c’è ancora strada per prevenire pregiudizi e discriminazioni.
Un campanello d’allarme è la latitanza di indagini capillari sul tema, e soprattutto il fatto che l’attenzione venga spesso accesa solo in correlazione a eventi drammatici legati alla cronaca. La situazione è in realtà molto più articolata.
Per approfondire le diverse sfaccettature dell’argomento ci confrontiamo con Antonia Monopoli, attivista transgender, scrittrice, attrice teatrale, peer educator e responsabile dello sportello Trans di ALA Milano ONLUS, organizzazione attiva a livello nazionale e internazionale a favore di obiettivi come la tutela della salute, l’inclusione sociale, la lotta alle discriminazioni e la cooperazione.
L’attivista transgender Antonia Monopoli: “Sul lavoro e i pregiudizi qualcosa sta cambiando. Lo dicono i numeri”
Lo sportello Trans nasce nel 2009 e scaturisce proprio dal connubio tra ALA Milano ONLUS e l’accurata esperienza di Antonia Monopoli, cofondatrice del progetto, con un intento chiaro e forte: supportare e tutelare i diritti delle persone transgender sviluppando buone prassi di inclusione sociale e lavorativa, aspetti che, come confermerà la nostra intervista, vanno di pari passo. Un’attenzione particolare è proprio rivolta all’inserimento e al reinserimento lavorativo.
“Nell’ambito dello sportello Trans gestisco colloqui personali e incontri di auto mutuo aiuto”, spiega Antonia Monopoli illustrando la sua attività, attraverso la quale ha potuto carpire nel tempo i cambiamenti cardine riguardanti il tema delle discriminazioni e dei pregiudizi. Parliamo infatti di un corposo lavoro di confronto intrapreso ben 14 anni fa. I numeri sono le prime tracce di questo cambiamento, come conferma la nostra intervistata: “Basti pensare che nel 2009, quando è stato avviato lo sportello Trans, abbiamo registrato circa 40 accessi nell’arco di tutto l’anno, mentre nei primi sei mesi del 2022 c’erano già 150 accessi”.
Un cambiamento che rivela quanto il confronto sul tema sia aumentato, insieme al sostegno a questo tipo di iniziative: “Grazie al finanziamento dell’UNAR abbiamo aumentato l’orario di accoglienza per venire incontro anche alle esigenze lavorative di chi vi accede. Lo sportello è attualmente attivo il mercoledì e il sabato, sia la mattina che il pomeriggio”. Forte adesione è stata inoltre raccolta dall’evento “Trans Lives Matter”, marcia organizzata da Antonia Monopoli in occasione della Giornata internazionale per la memoria dei e delle transgender lo scorso novembre.
Transgender e lavoro: come scrivo il curriculum?
Focalizzandoci sul tema dell’inclusione, ad Antonia Monopoli chiediamo quale sia la problematica più diffusa segnalata dalle persone transgender a livello lavorativo.
“Ciò che emerge più spesso sono dinamiche di mobbing e di discriminazione, oltre alle micro-aggressioni verbali. In questi casi ci si può rivolgere allo sportello LGBTQ+ del sindacato CGIL per segnalare la problematica. Per le micro-aggressioni in particolare è importante avere testimoni o comunque una registrazione che possa dimostrarle. Altro aspetto spesso rilevato è la paura di affrontare il colloquio lavorativo, insieme ai dubbi su come affrontarlo. Il dubbio più frequente, per esempio, è se impostare il curriculum al maschile o al femminile.”
In questo caso chi sta effettuando un percorso di transizione come gestisce tale aspetto importante e delicato? “Relativamente alla foto del curriculum vitae, la persona in questione può inserire quella che la rappresenta in quel momento. Riguardo alla menzione del proprio nome nel curriculum vitae, vengono date diverse indicazioni a seconda della situazione in atto: se si è ancora in fase di transizione si suggerisce di fare una voltura, ossia di menzionare il nome di elezione e a fianco, tra parentesi, mettere il proprio nome anagrafico e inserire la dicitura ‘sembianze maschili’ o ‘sembianze femminili’. Se invece a livello anagrafico il nome è già stato rettificato si inserisce semplicemente quello nuovo, senza bisogno di citare altro tra parentesi, e il proprio cognome”.
Esiste infine un’ulteriore soluzione che rispecchia un altro filone di pensiero, come esplicita Antonia Monopoli. “Porto un esempio: nasco maschio ma sto facendo una transizione verso il femminile, dunque scrivo il curriculum al maschile, pubblico comunque una foto attuale, e allego una lettera in cui chiedo che nel contesto di lavoro, da parte di colleghi e responsabili, vengano adottati il nome di elezione e i pronomi adeguati al nome di elezione stesso. Nella lettera si può citare anche il fatto di essere seguite dallo sportello Trans o da un terapeuta, in modo da far capire che il percorso intrapreso è collegato a una rete di servizi, a dimostrazione che nulla è improvvisato”.
Il pregiudizio più ostinato: transgender non vuol dire sex worker
Una persona che effettua una transizione nulla toglie ai diritti altrui, così come ciò nulla toglie alle sue competenze lavorative. Partendo dalla sua esperienza in veste di formatrice e responsabile dello sportello Trans, chiediamo ad Antonia Monopoli perché in alcuni contesti di lavoro permangano situazioni di transfobia che mettono a repentaglio i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici transgender.
“C’è un problema di fondo: la mancanza di una formazione adeguata. Questa si riflette, ad esempio, in diversi contesti di agenzie interinali che poi non sanno come gestire la presentazione del candidato o della candidata transgender all’azienda. C’è inoltre ancora lo stigma che identifica la persona transgender con la prostituzione.”
Uno stereotipo che purtroppo permane, e che oltre a ledere il rispetto della persona stessa, minaccia anche la fase di selezione lavorativa, impedendo l’inclusione e innescando paradossalmente anche la possibile conseguenza della prostituzione, derivante dall’assenza di occupazione. Ma lo stigma ancora una volta viene confutato dalla realtà dei fatti, come afferma Antonia Monopoli, che è anche coordinatrice dell’Unità di Strada di ALA Milano ONLUS rivolta a donne transgender sex worker con l’obiettivo di promuovere la prevenzione alle malattie sessualmente trasmissibili.
“Una volta a settimana usciamo con l’auto la sera per somministrare i test sanitari per l’HIV e la sifilide”, racconta. “Il progetto è attivo dal 2002 e io lo seguo dal 2009, e devo dire che negli ultimi cinque anni non intercetto praticamente più ragazze transgender italiane. Questa riduzione riguarda anche l’attività di sex working in appartamento. Oggi come oggi, pur di evitare la prostituzione come possibilità di sostentamento economico, le giovani transgender cercano di agganciarsi ai servizi o di inventarsi loro stesse un lavoro, anche precario, che garantisce un tenore di vita basso ma che preserva dalla strada. Sono le prime a dirlo: piuttosto che quella soluzione ci si arrabatta con altro”.
Cultura dell’inclusione, sui temi LGBTQ+ le grandi aziende fanno meglio delle PMI
Restando sul tema pregiudizi, questi sono più radicati in alcune tipologie di aziende o in determinati settori? “Le grandi aziende presentano meno questo tipo di difficoltà, più diffuse invece nelle piccole e medie imprese. Molto dipende molto dall’apertura mentale dei datori di lavoro e dei colleghi”.
Al di là dell’apertura mentale, che cos’è che fa la differenza in questi luoghi di lavoro a livello di prevenzione dei pregiudizi? “Senz’altro la formazione, la cultura e l’esistenza di politiche aziendali attente al tema LGTBQ+ e alle pari opportunità. Le piccole e medie imprese tendono a sorvolare, alcune non sanno nemmeno che cosa significhi LGTBQ+”.
La formazione resta quindi un aspetto cardine: “Unita alla sensibilizzazione, è importante per dare valore alle diversità. Questo per migliorare il clima aziendale e relazionale. La formazione coinvolge diversi contesti: da quattro anni, ad esempio, sto gestendo un percorso dedicato a operatori sanitari dell’ospedale San Gerardo di Monza”.
Una persona transgender che subisce una discriminazione – di tipo diretto o indiretto – in ambito lavorativo, in che modo può attivarsi per tutelare i propri diritti? “Può rivolgersi all’ufficio del personale, allo sportello Trans o allo sportello LGBTQ+ del sindacato. Sempre grazie a un finanziamento dell’UNAR stiamo aggiornando degli opuscoli sul tema transessualismo e lavoro, coinvolgendo anche figure legali. Si tratta uno strumento informativo che verrà dato ai datori di lavoro e alle agenzie interinali. Il progetto dell’opuscolo nasce nel 2004, è stato aggiornato nel 2011 e nel 2022 abbiamo aggiunto nuove categorie e denominazioni corrette, se pensiamo che ad esempio il termine transessuale risulta ormai obsoleto. A febbraio faremo un evento pubblico in cui verrà illustrata l’iniziativa”.
I progetti dedicati alle persone transgender e ai loro famigliari: il lavoro tra le preoccupazioni maggiori
Concludiamo chiedendo ad Antonia Monopoli se abbia la percezione che negli ultimi anni la consapevolezza sul tema sia aumentata da parte dei datori e delle datrici di lavoro.
“Abbiamo attivo un progetto, chiamato ‘Talent lab’, in collaborazione con l’agenzia ManPower, con l’obiettivo di accompagnare al mondo del lavoro le persone transgender. Io raccolgo i curricula che poi vengono gestiti da un collega, per fare una scrematura sulle esperienze formative e lavorative, puntando poi all’orientamento insieme a ManPower, o anche a un’ulteriore formazione nel caso quella precedente non risulti adeguata, come accade magari nel caso di persone straniere transgender. È importante poter riprendere la formazione a qualsiasi età, nonostante anche qui sia diffuso lo stereotipo che fa credere il contrario.”
Stereotipi e timori vengono affrontati anche attraverso gruppi di auto mutuo aiuto, attivi nell’ambito dello sportello Trans dal 2014 e dedicati all’utenza. “Condividiamo diversi argomenti che ci toccano da vicino, come il coming out o le relazioni affettive. Tra gli argomenti trattati c’è anche il come affrontare il colloquio di lavoro, e devo dire che la partecipazione è aumentata: dai tre partecipanti del 2014 siamo arrivati a una media di trenta”.
I gruppi di auto mutuo aiuto sono attivi anche, in maniera dedicata, ai famigliari delle persone transgender, tra cui genitori, fratelli, sorelle e partner, e anche in questo caso l’argomento lavoro è presente: “Gli stessi genitori sono spesso preoccupati per il futuro lavorativo dei loro figli”, sottolinea Antonia Monopoli. “Si chiedono se saranno felici e realizzati, c’è anche forte il timore nei confronti della strada. Il confronto aiuta molto a rasserenarli e a scardinare questi timori e stereotipi”.
Photo credits: antoniamonopoli.it
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