Preti smartworker e nuove competenze: anche la Chiesa rischia il digital skill mismatch?

Eravamo abituati alla messa on line degli articoli e dei giornali, ma alla Messa on line – quella sacra – non ci avremmo mai pensato. Professare la cristianità è imprescindibile, forse anche di più in questi tempi che ci chiudono in casa. La Messa è diventata un evento che, mediaticamente parlando, va preparato in chiave […]

Eravamo abituati alla messa on line degli articoli e dei giornali, ma alla Messa on line – quella sacra non ci avremmo mai pensato.

Professare la cristianità è imprescindibile, forse anche di più in questi tempi che ci chiudono in casa.

La Messa è diventata un evento che, mediaticamente parlando, va preparato in chiave nuova e oramai tutto si è spostato su Facebook. Anche le parrocchie italiane più piccole si stanno organizzando con qualche diretta: le foto che precedono il rito, il suono delle campane registrate, l’atmosfera che prepara alla Messa, il video della diretta con smartphone posizionato su un cavalletto e lo sguardo del celebrante puntato dritto in camera per parlare a tutti coloro che seguono la messa dalla cucina o dal salotto di casa.

Insomma: dalla comunità alla community.

Gruppi whatsapp con preghiere, notizie e celebrazioni eucaristiche live, videochiamate alle persone sole o che hanno bisogno di parlare con un sacerdote. Tutto per non sentirsi mai abbandonati, né da Dio né dagli altri.

 

Un lavoro che necessita di nuove competenze: il digitale entra in Chiesa

Un aspetto nuovo per la comunità religiosa è l’affacciarsi con spontaneità a questi sistemi di comunicazione sociale: i sacerdoti in questo momento storico devono formarsi velocemente in nuove competenze; oltre all’empatia, alle doti oratorie, alle capacità di mediazione e alla compassione devono conoscere le tecniche di videomaking, di podcasting e di comunicazione mediatica. Molti di loro pubblicano poi i contenuti sui loro profili social e allargano a dismisura il loro pubblico creando nuove comunità eterogenee che rompono il campanilismo e con le quali si deve imparare a comunicare diversamente dalla piccola realtà.

Molti di loro colgono l’occasione di commentare i principali “trend topic” di Twitter oppure di rispondere ai commenti non proprio bonari di molti follower, diventando così guide spirituali dei credenti online. Nasce quindi il bisogno di saper comunicare in modo nuovo, non più dall’alto di un pulpito in maniera unidirezionale, ma nella mediazione di grandi gruppi comunicativi esponendosi a tematiche e concetti di più ampio respiro.

 

Cosa fa il Vaticano, cosa fanno le piccole parrocchie?

Ora che questo senso fisico di comunità viene meno, come fanno i cristiani a professare la propria religione e a soddisfare le loro necessità spirituali durante la reclusione forzata? È la domanda che i preti delle varie comunità locali si sono posti fin dall’origine delle restrizioni applicate per non espandere il contagio da Covid-19.

Da una parte c’è il Vaticano che ha messo in atto una serie di iniziative per favorire la vicinanza spirituale dei credenti attraverso i sistemi comunicativi già in essere come il canale twitter del Papa (4,9 milioni di follower), i vari siti ufficiali con tanto di podcast quotidiano, TV2000 per le dirette delle celebrazioni e Radio Vaticana che ha messo a punto una trasmissione ad hoc “In prima linea – vivere la fede al tempo del coronavirus”.

“È persino nata la sitcom “Vita di canonica”, come racconta Giacomo Gambassi dalle pagine di Avvenire. “Una sorta di telefilm a puntate che viene proposto su Facebook o YouTube e che racconta il quotidiano dei quattro sacerdoti impegnati nella Chiesa di San Gabriele dell’Addolorata a Roma: don Antonio, don Glenn, don Simone e don Roustaveg. Comprese le pulizie o la preparazione dei pasti.

Dall’altra parte c’è il livello locale, dove gli esponenti del clero si sono trovati costretti a virare le attività quotidiane in pratiche degne del miglior smartworking dando il via a vere e proprie comunità virtuali.

Talvolta si fanno anche parte attiva per aiutare le famiglie in difficoltà, come la recente campagna della Caritas che ha chiesto alle famiglie con più di uno strumento informatico disponibile (tablet o pc portatile) di prestarlo, in occasione della quarantena, ai genitori con problemi economici per supportarli nella didattica a distanza dei figli. 

Le comunità vengono tenute vive e attive, con un impegno spesso gravoso per i sacerdoti che si fanno mediatori di queste realtà, anche nei luoghi dove gli altri non possono recarsi dati gli isolamenti forzati del momento.

Io sono di Lucca e porto ad esempio cosa succede in questa diocesi. Il Vescovo Paolo Giulietti si reca regolarmente presso tutti i monasteri di clausura della provincia di Lucca e li “apre” (un segno anche questo fortemente simbolico per i tempi che stiamo vivendo) attraverso la celebrazione della Messa domenicale trasmessa in diretta sulle televisioni locali. Oppure quando si reca (sempre in diretta televisiva) nel cimitero cittadino, luogo serrato come tutti gli altri luoghi pubblici. Non ultima, la visita che ha fatto domenica scorsa direttamente ai malati in ospedale impartendo una speciale benedizione dotato di mascherina e ostensorio. Scene che non avremmo mai immaginato: portare la fede in diretta, a distanza, e riuscire a farla sentire altrettanto viva.

 

Anche i preti a rischio Covid-19. Il timore per gli over 60

E proprio per questa spinta missionaria, anche i preti sono lavoratori a rischio, se così vogliamo metterla: dall’inizio dell’epidemia infatti sono morti in Italia 96 sacerdoti, di cui la maggior parte proveniente dalla Lombardia, e 12 missionari di Parma.

In Italia, l’età media dei sacerdoti è molto alta e si aggira intorno ai 60 anni (dati CEI) e solo i preti over 80 sono il 16,5% del clero (secondo dati forniti dall’Istituto di sostentamento del clero). A questo punto è lecito chiedersi: alle comunità che hanno alla guida preti over 80, che vivono da soli, magari con un cellulare a tasti grandi, chi ci pensa? Non credo abbiano le competenze tecniche di mettersi a recitare le lodi e i vespri in diretta Facebook. E forse proprio in virtù di questo dato, anche nella Chiesa si parlerà presto di digital skill mismatch?

 

 

Foto di copertina: chiesadimilano.it

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